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Mauro Raimondi. La meraviglia della Lombardia secondo Alberto Figliolia 
Prefazione a “La Lombardia in 17 sillabe” (Edizioni della Sera, 2024)
15 Maggio 2025
 

Povera terra lombarda.

Colpita dalla maledizione del “produci, consuma crepa”.

I campi divorati giorno dopo giorno, inesorabilmente, da strade inutili, capannoni presto in disuso, spaventosi centri commerciali in cui il senso di disumanizzazione, ormai, nessuno percepisce più.

Le colline sbancate per nuove case, le cittadine montane costellate di condomini, i fiumi e i laghi ridotti a discariche.

Perché in Lombardia tutto ma proprio tutto deve servire a fare i danee.

Povera Lombardia distrutta da un progresso falso e criminale.

Da chi la dovrebbe amare e perciò preservare.

 

Eppure.

Eppure sotto “quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”, la bellezza esiste e resiste.

Nonostante tutto e tutti.

Ed è questa l’enorme importanza del libro di Alberto Figliolia, che ce la mostra, la meraviglia (sopravvissuta) della Lombardia.

Prendendoci per mano con il fascino dei suoi haiku, infatti, il poeta ci porta a visitare quelle mirabilia che molto spesso nemmeno noi lombardi conosciamo. Come il Trionfo e danza della morte nell’Oratorio dei Disciplini a Clusone o gli affreschi del Romanino nella chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne; la Galleria degli Antichi (o Corridor Grande) di Sabbioneta oppure Il Giudizio Universale che si può vedere a Soncino nella controfacciata della chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Flash artistici che illuminano tutte e dodici le province lombarde e che fanno di questo testo (anche) un’originalissima guida culturale e poetica. Perché Figliolia è un viaggiatore, o meglio un flâneur, a cui piace passeggiare scovando quel particolare che ci riporta all’universale. E implicitamente ci invita ad andarli a cercare, quella chiesa, quel castello, quel museo che si trovano in uno sperduto luogo della regione, in un capoluogo (il Torrazzo di Cremona, il Monastero di Santa Giulia a Brescia, la piazza della Vittoria a Lodi, la Cappella di Teodolinda nel Duomo di Monza...) o nella sconfinata e caotica metropoli. La “sua” Milano, che il poeta attraversa partendo (ovviamente) dal Duomo e della sue cinquantacinque vetrate (“Fiori ch’esplodono/ di iride e meraviglia –/ storie di luce”) e da San Maurizio al Monastero Maggiore (con le sue impagabili Storie dell’Arca di Noè), per allargarsi poi alla periferia (I Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer all’HangarBicocca) e ai Comuni limitrofi, come la Villa Annoni di Cuggiono o l’Abbazia di Morimondo (“Sacro silenzio –/ le polle senza tempo/ di marcite e codici”).

 

La bellezza della Lombardia, tuttavia, non sta solo nella sua arte millenaria o nei luoghi originali come Piuro, la Pompei del nord (“Voci di morti/ dai segreti cunicoli –/ la vecchia Piuro un soffio nel ruggito/ dell’Acqua Fraggia duplice”). La si trova pure nelle sue immortali Alpi, nei suoi piccoli fantastici laghi, nella sua pianura, un tempo sconfinata e ancora cullata dalla nebbia (che spesso ritorna, ammaliante, nei versi di Figliolia).

Difficile a dirlo al resto d’Italia che considera la nostra regione soltanto come un mostro senz’anima votato al futuro, con l’anitipatia che si riserva al primo della classe. La Lombardia è splendida anche per la sua geografia, che l’autore ci magnifica con delicatezza. Così, in una sorta di pellegrinaggio naturalistico il poeta illumina la campagna pavese (“Nuvole rosa/ galleggian sul Ticino –/ e il cielo d’oro”) e quella lodigiana (“Svettano pioppi/ in squadriglie schierati / fra ondosi campi”). Mostra, poi, corsi d’acqua come l’Adda (“Placidi voli/ si specchiano al tramonto/ correnti d’ombra nel fiume quasi fermo/ come patti d’amore”) o il Po (“Argento fuso/ storie di sabbia e fango/ segreto scrigno”), laghi e montagne (“Seziona il cielo/ il Monte Resegone –/ dalla ferita piovon smaltate lacrime/ perle di lapislazzuli”). Un itinerario che si sofferma particolarmente su quella Val Chiavenna assai cara a Figliolia, dipingendoci una San Giacomo Filippo dove: “Tagliano i monti/ biancastre cicatrici –/ cascate d'acqua”.

 

Ma non è finita qui.

In questa enciclopedia sentimentale lombarda incontriamo anche personaggi (Eleonora Duse, Tazio Nuvolari, Giacomo Agostini…) e vicende storiche (come la battaglia di Solferino e San Martino del 1859: “La verde piana/ un infinito sangue/ cela alla vista – se scavi a mani nude/ ossa troverai e gridi”). A cui Figliolia affianca l’ennesimo elemento culturale: il cibo. Cantando – come già ha fatto un altro innamorato della Lombardia, il mitico Gianni Brera – il risotto alla lodigiana, l’asparago rosa di Mezzago, la cassœula (“Si leva il fumo –/ aromi lenti, densi/ sapore antico il sole dell’inverno/ nelle verze rugose”), la zucca mantovana e l’immancabile “Polenta e agoni –/ e le onde che leniscono/ l’agra inquietudine”.

 

Infine, come è ovvio che sia, sapientemente inserite tra queste immagini, ci giungono le riflessioni, le impressioni e i ricordi del poeta. Momenti famigliari antichi (“I primi passi del figlio/ titubanti, l’odore del rosmarino/ e la sera, al tramonto il lago bruciare/ come il giovane cuore”) e recenti: “Dormiva Dario/ il respiro pacato/ come le nubi in un silenzio sacro/ fluiva il Lambro accanto”, dedicato al nipote nato lo scroso anno.

Attimi che hanno portato a quello straordinario movimento dell’anima che è la poesia. E che sono avvenuti qui, nella terra che Figliolia ci racconta. Quella Lombardia che è stata – ed è – il principale palcoscenico della sua vita, con la quale, inevitabilmente, lui ha intessuto un legame indissolubile.

Un amore che Figliolia ci trasmette in questo suo libro.

E che ci chiede di condividere.

 

Mauro Raimondi


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