La settimana scorsa, a proposito di un bel film tedesco Berlino Estate 42, ho avuto occasione di accennare alle difficoltà artistiche di raccontare il personaggio di un eroe. Difficoltà analoghe possono esserci a raccontare il personaggio di una vittima: nel senso che l’autore può essere indotto a esaltare la sua purezza, la sua innocenza, con il risultato di farne una figurina angelica e irreale. È un rischio che si è trovata ad affrontare la regista Margherita Ferri rievocando in un film di finzione la nota vicenda, realmente accaduta, di Andrea Spezzacatena, uno studente delle scuole superiori che si è suicidato essendo stato vittima di bullismo omofobo, anche attraverso i social network, da parte di un gruppo di suoi compagni di scuola.
Ora, nel personaggio che racconta l’autrice del film emergono indubbiamente alcune qualità positive: per esempio si tratta di uno studente brillante, sensibile all’arte, alla musica (canta, bene, nel coro della scuola), ma anche alla letteratura e al cinema. Ma l’autrice ha anche avuto il coraggio e l’intelligenza di mostrarci come il male di cui sarà vittima abbia origine anche dentro di lui.
Quel male ha un nome che nel film pronuncia in parte il protagonista stesso, in un commento fuori campo, quando si riferisce al “sadismo” di un suo compagno di classe. Non nomina però l’aspetto complementare di quel sadismo, e cioè il suo proprio masochismo, che però manifesta attraverso i comportamenti e le decisioni che assume.
Quel compagno va male a scuola, ma è bravo nello sport. La sua dote più evidente è la bellezza fisica, di cui è chiaramente orgoglioso, come del fascino che esercita sul protagonista.
Così quando quel “bello” gli manifesta amicizia, apparentemente con lo scopo di farsi aiutare nei compiti a casa e durante le verifiche in classe, il protagonista è entusiasta, come se un suo sogno si realizzasse.
E quando quella supposta amicizia svela il suo aspetto oscuro, quando quel compagno gli rivolge insulti feroci, lo sottopone a pubbliche umiliazioni, l’altro, pur restandone ferito, è disposto troppo facilmente a perdonarlo appena viene da lui di nuovo blandito, a riprendere la relazione con lui.
In un rapporto in cui il sesso è latente, accennato da certi sottintesi, da gesti trattenuti e impacciati, anche forse per la giovanissima età dei personaggi, si crea tuttavia fra loro una spirale propriamente sadomasochistica, nel senso che all’acquiescenza della vittima corrisponde il progressivo accanimento del carnefice.
È una spirale a cui il protagonista cercherà di sfuggire, per esempio attraverso l’amicizia con una sua compagna di classe a cui lo accomuna lo stesso senso di inferiorità, la stessa idealizzazione di quel compagno; ma a cui poi non riesce a resistere, fino alle estreme conseguenze.
Tale introspezione nel personaggio della vittima ha l’effetto di rendere la sua storia tanto più coinvolgente e commovente. Il film si fa portatore di una denuncia sottile, che non riguarda soltanto le possibili conseguenze tragiche del bullismo e del cyberbullismo. Si percepisce, intorno al personaggio, la mancanza di qualcuno a scuola o in famiglia - malgrado una madre amorevole, ma in quella circostanza come cieca - che non soltanto lo difenda e lo protegga, ma che anche lo aiuti a comprendere se stesso e ad agire di conseguenza.
Si tratta di un film molto interessante, che a mio parere ha meritato il successo popolare che ha raccolto quando è uscito nelle sale. Era stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, ed è riproposto da qualche giorno su Netflix.
Gianfranco Cercone
(Trascrizione della puntata di “Cinema e cinema”
trasmessa da Radio Radicale il 29 marzo 2025
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