Vedere questo film è letteralmente essere condotti all’interno del villaggio palestinese di Masafer Yatta e delle vite dei suoi abitanti. Due giovani, Basel Adra, palestinese, e Yuval Abraham, israeliano attivista per i diritti umani, per oltre cinque anni riprendono ogni scena con la telecamera domestica del primo, sfidando i divieti e le prevaricazioni di soldati e coloni israeliani. E lo spettatore, grazie alla ripresa diretta, è lì con loro.
Un docufilm, dunque, che non può evitare di dare un colpo allo stomaco anche a noi che assistiamo dalle poltrone di un cinema alle quotidiane angherie di un esercito armato e impunito che aggredisce, penetra anche nottetempo nelle abitazioni dei palestinesi e le distrugge in un attimo, sbriciolandole e mandando in fumo ogni cosa, suppellettili e animali compresi. Il tutto, appellandosi alla Legge, la legge dei coloni!, viene risposto loro da chi alza la voce, come unica arma di difesa possibile.
Impressiona vedere coi nostri occhi la protervia, la crudeltà dei soldati, dei coloni, che non si fermano davanti a nulla, nessuna accorata richiesta li scalfisce, nessuna umanità. C’è una donna che sta male, lasciateci l’auto per portarla dal medico, sentiamo dire, ma non serve, la macchina viene confiscata. Un ragazzo trattiene un generatore di corrente, indispensabile… lui ha peggior destino: un soldato gli spara ferendolo gravemente. Doha è una piccola bambina bellissima e dai capelli biondi; osserva tutto, attonita, per poi stringersi alla madre. Ecco, anche questo: tutto avviene davanti agli occhi dei bambini, il trauma di questi crimini li accompagnerà a vita.
Basel riprende con coraggio e attenzione; è da quando è bambino che lo fa. Il padre, i genitori, sono attivisti. La sua famiglia ha sempre accolto persone che lottassero per la pace, per i diritti.
Questo padre, come tutti i palestinesi fin da giovanissimi, ha conosciuto l’esperienza del carcere (anche in queste riprese sarà oggetto di un arresto), ma non lo vediamo mai senza un sorriso sul viso, senza una parola amorevole per il suo villaggio, la sua Terra, i suoi figli… ai quali dice: «Non abbiate paura di loro. Noi abbiamo un superpotere, nessuno ci potrà scacciare!».
«Mi spaventa finire come lui», confida Basel a un certo punto del docufilm a Yuval. «Non ho la sua energia. È difficile… a volte mi sento sopraffatto».
Nel villaggio di Masafer Yatta, come avviene in infiniti altri villaggi in Cisgiordania, è tutto un abbattere e ricostruire. Sì, perché l’esercito israeliano rivendica il terreno come zona di addestramento militare (salvo poi costruirci sopra i settlements) e accusa gli abitanti, che sono lì dal 1830 di aver costruito illegalmente. Masafer Yatta è su tutte le mappe, ma gli Israeliani dicono che non esistiamo.
La madre di Basel può dire con soddisfazione di essere lei l’artefice del miglior stratagemma che per un po’ ha permesso agli abitanti di riavere un tetto sulle loro teste: l’idea di far costruire le piccole abitazioni (perché di questo si parla: un perimetro di mattoni, una tenda con un bagno a fianco/ qualche mattone ad alzare qualche muro a ridosso delle grotte, che caratterizzano quel luogo) dalle donne e dalle ragazze, di giorno - che vengono a volte tollerate un po’ di più dai soldati - e di notte dagli uomini e dai giovani. Per poi resistere ancora un poco, fino alla successiva incursione armata.
I due giovani registi hanno ben chiaro che queste loro riprese, condotte per lunghi mesi a coprire anni interi, devono raggiungere il maggior numero di persone: su Instagram, in qualche programma della televisione israeliana… E ci riescono. Li vediamo complimentarsi per gli accessi, per i like. Vediamo Yuval alle prese in dibattiti con coloni ortodossi che lo insultano, sostenendo il loro diritto messianico di proprietà di tutta quei Territori. È difficile, infatti, la sua posizione, delle volte anche nel villaggio dove viene percepito come amico di Basel, come attivista, contrario sì all’agito del suo Paese, tuttavia appartenendovi, e perciò lo vediamo impegnato a volte in discussioni politiche più o meno accese con chi gli contesta che un suo fratello, un suo parente, potrebbe un giorno essere fra le fila di coloro che colpiscono, che arrestano, umiliano, uccidono…
No other Land è un film potente, anche nel suo parlare delle relazioni.
Basel e Yuval stringono un’amicizia forte e indissolubile, pur nella divisione di un mondo che li vuole separati per la loro stessa essenza. In un intenso dialogo Yuval incoraggia l’amico palestinese: – Sei laureato in legge, è una grande cosa!
– Tu dici? Con quella laurea io comunque posso pensare solo di trovar lavoro in Israele, ma a fare l’operaio, il muratore… Io non ho il permesso di lasciare questo posto. Tu puoi viaggiare, spostarti, tu ogni sera se lo vuoi puoi tornare a casa…
L’autenticità di questo docufilm è sottolineata però anche da momenti di gioiosa positività, nonostante tutto: vediamo qualche scena con Elias, il piccolino del villaggio, intimorito da Yuval, ma incuriosito, mentre il nonno lo spinge a condividere i datteri con l’ospite, oppure ci colpisce la battuta dolce-amara della madre di Basel che dice al figlio, che ricercato dai soldati è stato via tutta la notte nascosto e ora tenta di dormire un po’, ti lavo i vestiti così se ti arrestano avrai la borsa pronta.
Non c’è ombra di resistenza armata, in questo girato, al villaggio di Masafer Yatta. C’è la forza dell’amore per la propria Terra, la decisione continua e reiterata dopo ogni assalto di resistere, la consapevolezza che una goccia è poca cosa, ma goccia dopo goccia produrremo il cambiamento, come afferma Basel in una scena.
Come quando, all’indomani della distruzione dell’unica scuola elementare del villaggio, Tony Blair andò a far visita a quei palestinesi che già si erano rimboccati le maniche e lottavano per ricostruirla: la mansuetudine opposta alla violenza. E questa storia di potere, come definita dai registi, riportandola, ebbe come risultato la cancellazione della demolizione di scuole, almeno per un bel po’ di tempo. Il tutto, con sette minuti di visita di un Capo di Stato sul posto…
Cambiare lo stato delle cose si potrebbe. Basel e Yuval ne sono convinti. E con loro, Rachel Szor e Hamdan Ballal; insieme hanno costituito il collettivo che ha saputo creare questo documentario autoprodotto. Un’opera di grande importanza sociale, “fatta in casa”, ma con una tale forza da arrivare a essere candidata agli Oscar per il miglior film straniero e a vincere tantissimi Premi cinematografici importanti.
Occorre che il mondo comprenda come fare la differenza. Non solo commuovendosi per un attimo dopo un video, ma con l’impegno, ci ricordano nel finale. E Basel, in un’intervista aggiunge: «Molti degli spettatori in tutto il mondo non sono poi così lontani da questa realtà, come potrebbero pensare. Anche loro hanno una parte di responsabilità. Senza il supporto dei loro governi, la copertura diplomatica e l’aiuto economico e militare incondizionato, Israele non avrebbe potuto sistematicamente farsi beffe del diritto!».
Possiamo quindi imparare da questo popolo che ci dice: Sapete perché Masafer Yatta esiste ancora? Perché ci aggrappiamo alla Vita!
Annagloria Del Piano
NO OTHER LAND, grazie alla partecipazione numerosissima di pubblico (tutto esaurito!) e alla sua grande valenza sociale verrà riproposto al Cinema Excelsior di Sondrio giovedì prossimo, 27 febbraio.
Si ringraziano l’Associazione Assopace Palestina, promotrice dell’evento, e le associazioni aderenti: Amnesty International Morbegno e GIT Banca Etica.
ULTIME NEWS: Il 25 gennaio scorso un gruppo di coloni mascherati hanno attaccato il villaggio di Tuba, sull’altopiano di Masafer Yatta, incendiando l’unica jeep che porta i bambini a scuola e le persone malate a ricevere soccorso, hanno rotto finestre, saccheggiato e distrutto il mangime necessario per un mese, per gli animali allevati dalle dodici famiglie del villaggio. Il tutto per 34.000 euro di danni. Hanno inoltre ferito una bambina del paese… Chiunque voglia aderire all’iniziativa di raccolta fondi solidale promossa da Assopace Palestina può fare una donazione tramite queste coordinate: BPER BANCA Iban: IT93M0538774610000035162686
Causale: Raccolta solidale per Tuba.
Per info: progetti.assopace@gmail.com