Il leader della Lega Umberto Bossi va all’incasso della cambiale firmata da Silvio Berlusconi in cambio della fedeltà del Carroccio: “Il Piemonte e il Veneto vanno a noi”. Il coordinatore del PdL Ignazio La Russa frena: “Sono solo dei desideri”, e fa sapere che non esiste alcun accordo. Le mire leghiste su Piemonte e Veneto sono solo “dei legittimi desideri”; desideri rispettabili, aggiunge, “ma le decisioni alla fine debbono essere sempre comuni”.
Si può stare tranquilli: un “accomodamento”, prima o poi, lo troveranno. Tanti sono ancora gli appetiti; questo famelico, mai sazio centro-destra, man mano che si avvicinerà il giorno del voto, rivelerà il suo autentico volto: rapace e vorace, arrogante e prepotente; l’unico problema consiste nella spartizione delle quote delle spoglie.
Berlusconi a ogni pié sospinto dice che nessuno lo può ricattare e non è ricattabile. Se ha l’esigenza di dirlo così tante volte, e con tanta energia, una ragione ci deve pur essere. Una delle ossessioni berlusconiane si chiama giustizia: si tratta di individuare un “lodo” che in qualche modo neutralizzi i processi Mills e Mediaset; problema non da poco. A questo si aggiungano la grana costituita dal PdL Sicilia capeggiato da Gianfranco Micciché; e le pessime gestioni amministrative nelle principali città dell’isola. Per quanto il PD sia deficitario e in crisi di persone e di proposta politica, alla lunga lo sgoverno di Palermo, Catania e altrove, peserà.
C’è il nodo costituito dalla situazione economica: si possono sbandierare quanto si vuole i dati OCSE o di qualche autorevole consesso e rivista: è un fatto che il potere d’acquisto generalmente scende, che la disoccupazione cresce, che i consumi sono in frenata, che la pressione fiscale è inalterata se non cresciuta; Berlusconi vuole, alla vigilia delle elezioni, poter sbandierare almeno una parziale riduzione dell’IRAP, ma i conti non tornano; Giulio Tremonti, per quanto abile, non può assicurare a tutti una minestra gratis: qualcuno la deve pagare, e, per inciso, cominciano a venire al pettine i risultati dell’improvvida abolizione dell’ICI: basta vedere i conti in rosso di un qualsiasi comune. Palazzo Chigi lavora in queste ore per un incontro con Benedetto XVI, e sappiamo già quali saranno le richieste che verranno dal Vaticano. Berlusconi si prodigherà in assicurazioni, e farà quanto in suo potere per soddisfare quei desideri, nella speranza di un “perdono” che non gli sarà comunque concesso. La politica vaticana è chiara al riguardo: usa fin che puoi, e poi getta, se non serve più. L’affaire Boffo, nonostante gli sforzi di Gianni Letta, è una ferita tutt’altro che rimarginata.
I rapporti di Berlusconi con gli alleati è in una frase di Fini dell’altro giorno: “Accade che confonda la leadership con la monarchia assoluta”. Significa che Fini, ma anche Bossi, sono al momento leali, ma al momento cruciale, ognuno per sé, e buona fortuna a tutti. Fini sostiene che si parlerà del dopo-Berlusconi quando verrà il momento di farlo, ma ha cura di chiarire: “Un governo del fare ha bisogno di un partito del pensare”.
Tra i “pensieri” di Fini ci sono riforme condivise e che non siano fatte a colpi di maggioranza, perché “servirebbero solo a dividere il paese”; c’è la riforma delle regole, ma tutte, e non solo quelle che tornano utili; c’è una legislazione che favorisca l’integrazione degli immigrati, un welfare inclusivo, laicità dello Stato, libertà economiche. Tutto ciò non è conciliabile con espressioni alla Daniela Santanché (“Maometto era un pederasta”), che appartengono però alla “cultura” leghista e berlusconiana, a quel “pensato” che non si osa dire.
Il PdL è un monolite solo apparente, un colosso di Rodi fragile, che con poco si può frantumare. Purtroppo il PD non sembra in grado di assicurare quel poco; e il “monolite” berlusconesco ancora per parecchio è destinato a fare impunemente, e impunito, danni e guai.
Valter Vecellio
(da Notizie radicali, 9 novembre 2009)