Parole e tragedie si mescolano, senza integrarsi. Povertà, guerra, lotte tribali, persecuzioni, pulizie etniche, fame, disastri ambientali . E poi frontiere, migrazioni, clandestini, naufragi, sbarchi, sfruttamento, respingimento. Le parole e le tragedie non trovano soluzioni accettabili nella politica, la poesia esprime a suo modo il suo sentire civile, cercando “le parole dal profilo elevato d’utopia / le parole di esortazione, aria nella mano / in direzione dei limitari del coraggio” (g.c.)
Ogni civiltà si costruisce contro sé stessa e si inventa dei muri dietro ai quali contenere la sua brutalità. Più di altre, la cultura cosiddetta occidentale è insieme una forza di liberazione e di alienazione; essa si estende al resto del mondo con il prestigio e la violenza della sua scienza e della sua tecnica. E’ un Giano, di rado placato e sempre pronto a rivelarsi mostruoso, anche quando la sua faccia più fosca resta invisibile agli occhi di quegli stessi di cui essa è immagine. Renaud Ego, nato nel 1963, mostra in questo poemetto, come aveva già fatto ne Le Désastre d’éden (Paroles d’aube, 1995), che non c’è terra più straniera, più inaccessibile di quella in cui si vive, tanto essa è simile all’ombra di sé, al di sotto della quale non si salta. La lingua straniera che forgia il poemetto inventerà una nuova distanza, cioè la condizione di un vedere senza veli e di una libertà nuova? (nota redazionale, fonte: La pensée de midi, n. 5-6, autunno 2001)
Porte che danno sulla strada
1
Nodi stradali parcheggi illimitati su un residuo di verde
città magnifiche sono diventate obese
l’untume dell’epoca vi trabocca dappertutto
cianfrusaglie gadgets vesti vettovaglie
che occhi lappano e altri occhi sorvegliano
che è questo specchio dove tutto riflette mancanza
qui l’invidia mette in riga il desiderio
e chi non sta attento abbrutito d’abbondanza
lascia entrare il vuoto dalle nafte sovrane
e ben presto entro non c’è più spazio
io senza saperlo è diventato questo si
che il tempo declina in modo autoritario
- essere e a ogni costo non essere non è questo
oggi il problema
2
O il problema è quello d’una barca
a fondo piatto tra Ceuta e Gibilterra
in cui s’ammassano Noureddin Sherifa
Zeth Abdul Omar Rashid Jamila
e molti altri che hanno cancellato il loro nome
qui val meglio essere nessuno che avere un nome
afflitto dalla sete scarlatta
la barca scivola tra acqua e cielo e tutti guardano
dove nera nasce la linea del fuori
amo il sorgere delle ultime luci
nella desolazione di una lingua di sabbia
malgrado il filo spinato di parole abiette
come soglia di tolleranza immigrazione zero
accompagnamento alla frontiera (l’infamia
tiene il registro dei grumi di biancheria
che il mare abortisce tra due rotoli d’alghe
-- non essere e col rischio di voler essere tutto
non è anche questa
la questione
3
Per quanto tempo il tempo sarà senza tempo
perché le parole non sono più il soprassalto
di sensi che ci fa andare oltre il loro senso
ma l’alibi del conto del nulla, nulla
da godere né da vivere o pensare tutti perdersi
di non parlare più in nome dell’impossibile
tutti
quanto tempo sarà il tempo senza tempo
perché mancano parole di disordine
coniugate al disperato senza rango
le parole dal profilo elevato d’utopia
le parole di esortazione, aria nella mano
in direzione dei limitari del coraggio
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Fuori del lento caos di ardori pietrificati
fuori dei muri dove il pensiero si rintana e non vaga
fuori della paura dove il corpo calcola le probabilità
del disastro
fuori dell’attesa
e la menzogna
e l’apparato della morte in piedi
C’E’
sempre
il limitare d’un altro mondo
non ne so il nome godo del suo slancio
venuto a percuotermi alla velocità
con cui l’affollamento del pensiero è danza
e l’occhio nella sua mandorla è curvatura
dell’universo
basta un infimo movimento dei volumi interiori
o un altro grado al compasso delle differenze
io non ne ho il nome
ne so il brusco strapiombo
dove il viso si denuda
allo strapiombo del mondo
il corpo all’opera a nient’altro che andare
il guado di sé passato in questo mistero
è ascensione nel più aperto chiarore
anche una perfezione di silenzio
una vertigine
niente manca
e sono queste dolcezze
nello sguardo alzato su ogni levarsi di terra
nel tocco subito posato nel vivo dìogni pelle
vivente
non ne so il nome ne conosco solo lo slancio
in cui è bene insinuarsi
dove si è liberi
di essere
l'un l'altro
il viso con l'istante
...
...
...
Tornati da tutto ciò che non avete mai lasciato
che sapete dell'immediato oltre del mondo
da cui vi separa l'intensità
di ogni secondo mondo
di ogni parola aperta all’eco
senza sorgente del suo dire
che sapete dei salvati dal labirinto
dei suoi velluti d’incredibile delta
dov’è giorno grande
e non c'è filo a cui tenersi
perchè la vita è questo filo
della parola donata
al mondo venuto
alle sue uscite
io non impiego il tempo
ma mi chino dove
è essere dello stesso suo sangue
che sboccia e abbandonarsi e essere
l’uno attraverso l’altro
il fuori sorto nel nostro interno
l'estrema bellezza leggera
che decanta le sue intensità
l'asse del mondo oscilla nelle sue navicelle
e non ci sarebbero parole per questo?
ci sarebbe una sola parola
e una sola voce che la cerca
e nulla sarebbe mai finito
la notte si leva d'improvviso. Io sono vivo.
(trad. G. Cerrai, con la preziosa collaborazione di A. Riponi)
http://ellisse.altervista.org
Portes donnant sur la voie
1
Noeud routier parkings vagues sur un reste de vert
les splendides villes sont devenues obèses
le suint de l’époque y déborde partout
bibelots gadgets vêtements victuailles
que des yeux lapent et que d’autres yeux surveillent
qu’est ce miroir où tout a reflet de manque
ici l’envie met à l’ordre le désir
et qui n’y prend garde abruti d’abondance
laisse entrer le vide aux naphtes souveraines
et dedans bientôt il n’y a plus d’espace
je sans le savoir est devenu ce on
que le temps décline aux modes autoritaires
— être et à tout prix ne pas être n’est-ce pas
aujourd’hui la question
2
Ou la question est celle-là d’une barque
à fond plat entre Ceuta et Gibraltar
s’y entassent Nourredine Cherifa
Zeth Abdellah Omar Rachid Djamila
et tant d’autres qui ont déchiré leur nom
ici mieux vaut n’être personne qu’avoir
un nom affligé par la soif écarlate
la barque glisse entre eau et ciel tous regardent
où noire va naître la ligne du dehors
j’aime que se lèvent des lumières ultimes
dans le désolé d’une langue de sable
malgré le barbelé de mots abjects comme
seuils de tolérance immigration zéro
reconduite à la frontière (l’infamie
tient le registre des caillots de linge
que la mer avorte entre deux rouleaux d’algues)
— n’être pas et au risque de tout vouloir être
n’est-ce pas
là aussi la question
3
Combien de temps le temps sera-t-il sans temps
parce que les mots ne sont plus la secousse
de sens qui nous fait devancer leur appel
mais l’alibi des additions du rien, rien
à jouir ni à vivre ou penser tous se perdre
de ne plus parler au nom de l’impossible
tous
combien de temps le temps sera-t-il sans temps
parce que manquent les mots de désordre
conjugués à l’éperdu sans condition
les mots au profil avancé d’utopie
les mots de porte battante, air à la main
en direction des orées de l’audace
4
Hors le lent chaos des ardeurs pétrifiées
hors les murs où la pensée se terre et n’erre pas
hors la peur où le corps calcule les probabilités
du désastre
hors l’attente
et le mensonge
et l’apparat de la mort debout
IL Y A
toujours
l’orée d’une seconde-monde
je n’en sais pas le nom je jouis de son élan
venu me percuter à la vitesse
où l’affolement de la pensée est danse
et l’oeil en son amande la courbure
de l’univers
il suffit d’un bougé infime des volumes intérieurs
ou d’un autre degré au compas des écarts
je n’en ai pas le nom
j’en sais le brusque à-pic
où le visage se dénoue
à l’à-pic du monde
le corps à l’oeuvre à rien d’autre qu’aller
le gué de soi passé en ce mystère
ce sont montées au plus nu de la clarté
une perfection de silence aussi
un vertige
rien n’y manque
et ce sont des douceurs
dans le regard levé sur chaque lever de terre
dans le toucher posé à même l’à-vif de toute peau
vivante
je n’en ai pas le nom j’en sais juste l’élan
où il fait bon se couler
où il fait libre
d’être
l’un l’autre
le visage avec l’instant
…
…
…
Revenus de tout qui ne vous êtes jamais quittés
que savez-vous de l’immédiat delà du monde
dont vous sépare l’intensité
de toute seconde-monde
de tout mot ouvert à l’écho
sans source de son dit
que savez-vous des retirés du labyrinthe
de ses velours d’incroyable delta
où il fait grand jour
et il n’est aucun fil où se tenir
car la vie est ce fil
de la parole donnée
au monde venu
en ses issues
je n’emploie pas le temps
mais me penche où
c’est être de sang avec lui
que d’éclore et se quitter et être
l’un par l’autre
le dehors surgi en nos dedans
l’extrême beauté légère
déposant ses volumes
l’axe du monde oscille en ses nacelles
et il n’y aurait pas de mot pour cela ?
il y aurait un mot seul
et une seule voix à le chercher
et rien ne serait terminé
la nuit se lève à tout instant. Je suis vivant.
Renaud Ego