Durante lo sciopero agrario del 1897
Sui manifesti che hanno affisso ai muri
nei pressi del palazzo comunale
è scritto che, con effetto immediato,
devono terminare le adunanze
di folla e, sotto pena dell’arresto,
si intima inoltre ai lavoratori
di far ritorno ai fondi per riprendere
la roncatura del riso interrotta.
Ma i contadini analfabeti, avvolti
nelle mantelle nere, duri i visi
di cuoio e gli occhi fiammei per le febbri
malariche e il vino inacidito,
rimangono impassibili davanti
allo squadrone di cavalleria
chiamato qui dal commissario regio
per mantenere l’ordine. Schierati
come formiche brulicanti lungo
lo stradone che taglia l’abitato,
non alzano la voce. Solamente
cani randagi abbaiano ai gendarmi,
quando ad un tratto sguainano le sciabole
corrusche contro il sole meridiano,
e proprio nell’istante che precede
la carica, qualcuno al sommo della
torre sventola, rossa, una bandiera.
Notizia dell’alluvione del 1902
Riversata dagli argini dell’Idice,
l’acqua che adesso inonda le campagne
autunnali continua a tracimare
da savenelle e gore, e piano smotta
zolle arate e scoline, sommergendo
gli alberi radi e i pali del telegrafo,
desolati ancoraggi per le barche
che vanno lente alla deriva in mezzo
ai casolari, riaffioranti dallo
specchio cavo del cielo come isole
attorno a una laguna. Nelle corti
rurali o sopra i botri dove il flusso
più ristagna, si allungano i ragazzi
e a mani nude afferrano le anguille
e le carpe fangose, imprigionate
tra le buche ricolme e le barriere
dei canneti schiomati. Scivolando
nella corrente, dirigono verso
la piazza del paese – che ora sembra
una baia in bonaccia – larghe zattere
caricate di stie e di masserizie,
mentre, simili a uccelli di palude,
braccianti torvi e silenziosi, dritti
a bordo di leggeri sandolini,
si sostengono ai remi. C’è con loro
Giuseppe, l’uomo dalla barba rossa.
Buffalo Bill a Bologna nell’aprile 1906
La figura a grandezza naturale
dal cartellone osserva gli abitanti
del villaggio: in sella ad un cavallo
bianco, porta un cappello a falda larga,
un fucile a tracolla e baffi e barba
color argento. Intorno a lui altri uomini
stanno obliqui nell’aria, a torso nudo,
con il volto dipinto e copricapi
di penne variegate. C’è anche scritto
che hanno alzato le tende appena fuori
dalla città, ai prati di Caprara.
Ma di notte, nei sogni dei bambini,
discendono furtivi giù dai muri
per correre al galoppo lungo i greppi
e le andane falciate, in mezzo agli olmi
e ai campi di granturco, senza sproni
né redini, finché senza più forma
tra le gaggìe scompaiono nel nulla.
La chiamata alle armi del 1916
Molti di quei ragazzi senza scarpe,
prole riottosa di mezzadri, i corpi
anfibi ricoperti dallo smalto
delle lenticchie d’acqua, divenuti
coscritti, in fretta devono lasciare
il tepore di fienili e stallatici,
i gracili vigneti da irrorare
col solfato di rame, i canapai
odorosi di pollini, le semine,
le trebbiature. Adesso anche Francesco,
padre futuro a numerosi figli
tra cui mia madre, ostenta baffi a punta
e mollettiere strette alle caviglie,
e ha le mostrine verdinere dell’
artiglieria da montagna. Più in alto
saliranno i soldati contadini,
traversando all’addiaccio cenge e forre,
portando a spalla o sul dorso dei muli
pezzi d’obice da 75
e mitraglie smontate fino alla
prima linea. Nel buio, accovacciati
simili a serpi dentro le trincee,
nascoste le sigarette nel palmo
calloso delle mani, guarderanno
le righe sibilanti degli shrapnel
fendere il cielo illune, come fanno
i fulmini d’estate giù in pianura.
L’organico della banda municipale nel 1921
(e’ bà de mi bà)
Intanto, in un paese non lontano
della Romagna finitima eppure
di sentimento differente, Enrico,
figlio di un fabbricante di cordami,
detto “Ricóni” per l’alta statura,
famoso per le burle e qualche vaga
simpatia socialista, anche lui reduce
dal fronte, in quell’ansioso dopoguerra
entra a far parte della banda come
clarinetto soprano in Si bemolle.
Frequenta dunque il maestro di musica
Domenico M. e la famiglia che abita
un’ampia casa signorile lungo
la spessa cinta delle mura antiche –
vi fu sepolta, dice una leggenda,
una pentola piena di marenghi
d’oro –, e in modo discreto ma deciso
ne corteggia la figlia occhimelata
e trepida, cui il padre diede il nome
di un’eroina d’opera e soltanto
tra le pareti domestiche suona
il pianoforte. Nelle stanze ingombre
di cimeli e spartiti alla rinfusa,
lei sottovoce gli racconta di avi
garibaldini e di un coltello a scatto
dal manico di corno, appartenuto
al bandito Pelloni. Ma nel vano
di una finestra aperta, all’improvviso,
ondeggiante sul prato dove un tempo
era il fossato del castello, appare
un labirinto di lenzuola stese
ad asciugare, sbiancate nel ranno,
vele gonfie di vento, abbacinanti
schegge di luce nel meriggio estivo.
Rapporto del 4 ottobre 1923
Stamani, verso le ore sette e trenta,
al Cantalupo, lungo il terrapieno
erboso che divide le risaie
lucide d’acqua dall’alveo del Lòrgana,
nascosto dentro il folto delle canne
piumate, i pescatori hanno trovato
il corpo morto di un uomo. Avrà circa
trent’anni, niente documenti, solo
un fiore scarlatto di proiettile
dischiuso sopra la camicia (forse
lo hanno ucciso i fascisti, oppure è una
vendetta d’interesse od un oscuro
delitto passionale), e poiché qui
nessuno lo conosce, informeremo
la prefettura. Dicono che quando
hanno steso il cadavere sul ciglio
del sentiero, gli svolavano intorno
le libellule, attratte dall’odore
dolce del sangue, e non si allontanavano.