Telluserra
Claudio Pasi, Nella Bassa.
08 Gennaio 2006
 
Breve autopresentazione. Claudio Pasi è nato a Molinella (Bologna) nel 1958. Vive e lavora a Camposampiero, in provincia di Padova. Ha esordito con la raccolta In linea d’ombra, Bologna, 1982. Nel 1993, presso Book Editore, è uscito il volume di versi La casa che brucia. Ha inoltre pubblicato l’edizione d’arte Periplo, una breve silloge di poesie in latino con nove disegni di Luca Caccioni (Modena, 1994). Altre poesie sono apparse su varie riviste e nell’edizione bolognese della «Repubblica». Ha collaborato a “Poesia” con traduzioni da Ponge, da Ovidio (Halieutica), dall’Antologia Palatina e dai Carmina Latina Epigraphica, mentre versioni da Mallarmé sono state pubblicate in “Testo a fronte”. Sul versante critico, si è occupato di poesia contemporanea e di lirici minori dell’Ottocento. Segue da qualche anno il lavoro di alcuni giovani pittori, per i quali ha curato mostre e scritto testi di presentazione.
 
 
 
Nella Bassa
 
 
Già la stazione spariva, dietro gli argini, e nel treno affocato, guardavo dal finestrino la campagna verde e umida, i piccoli canali d’acqua affioranti dai campi. Gli argini del Reno ci seguivano ancora, come muri di terra a toccare il cielo d’estate. Il treno correva. Passavano le prime case di Molinella.
(Giuseppe Raimondi, La valigia delle Indie)
 
 
 
Un temporale estivo del 1880
 
 
All’Albarein a jé una gran casouna
presso una strada rettilinea dove,
ospiti del dottor Ferrari, sono
arrivati i poeti da Bologna
per la festa dell’ultima domenica
d’agosto. Sulla tavola imbandita
di fagiani e frutta di stagione
scorrono madrigali e molto vino.
La notte, insonni per il temporale,
rimangono in ascolto degli scrosci
di pioggia sulle livide vetrate,
e lo schianto dei tuoni quando fanno
tremare i travi del soffitto. All’alba
silenziosi contemplano due pioppi
squassati da un fulmine alla base
del tronco, che protendono le chiome
grigie oltre la sponda del canale.
 
Per quelle fronde riverse nell’acqua,
per i nidi distrutti delle alzàvole,
per le morti precoci, per l’ignoto
dolore di coloro che verranno,
ora la Zena geme un lungo pianto.
 
 
 
Int’ la Basa
(alla fine dell’Ottocento)
 
 
Amzulèra, Miravàl,
Barabèna, Baracàn,
Ulmòn, Pòndga, Pas Murgòn,
Mezastrè, Buriél, Zvagnòn,
Vdrèna, Vióla, Zenzalén,
Cavdòn, Guèrda, Giaradén,
La Cunfina, Camaròn,
Rundanina, Pòunt Stupén,
Casón, Vólta, San Martén,
Al Galtén, Duràzz, Buscòusa,
Baratén, Giarón, Spadòuna,
Mulinèla, Melburghèt,
Cantalòuv, San Pir, Traghèt,
Funsón, Còrla, La Valàza,
Codfióm, Borra, Tamaròza,
Curtél, Lèrga, La Malvèzza,
Bòtt, Marmórta, Cavalira,
Alberén, Punta Varèna,
Sèlva, Giura, Diól, Brusé
 
 
 
Epigrafe per il pittore Gino Marzocchi,
nato l’8 febbraio 1895
 
 
che il ricordo di chi volle dipingere
con antico talento non conforme
ai modi del suo tempo la serena
bellezza dei paesaggi e delle donne
almeno non scompaia dalla casa
di pietra rossa dove venne al mondo
 
 
 
Durante lo sciopero agrario del 1897
 
 
Sui manifesti che hanno affisso ai muri
nei pressi del palazzo comunale
è scritto che, con effetto immediato,
devono terminare le adunanze
di folla e, sotto pena dell’arresto,
si intima inoltre ai lavoratori
di far ritorno ai fondi per riprendere
la roncatura del riso interrotta.
Ma i contadini analfabeti, avvolti
nelle mantelle nere, duri i visi
di cuoio e gli occhi fiammei per le febbri
malariche e il vino inacidito,
rimangono impassibili davanti
allo squadrone di cavalleria
chiamato qui dal commissario regio
per mantenere l’ordine. Schierati
come formiche brulicanti lungo
lo stradone che taglia l’abitato,
non alzano la voce. Solamente
cani randagi abbaiano ai gendarmi,
quando ad un tratto sguainano le sciabole
corrusche contro il sole meridiano,
e proprio nell’istante che precede
la carica, qualcuno al sommo della
torre sventola, rossa, una bandiera.
 
 
 
Notizia dell’alluvione del 1902
 
 
Riversata dagli argini dell’Idice,
l’acqua che adesso inonda le campagne
autunnali continua a tracimare
da savenelle e gore, e piano smotta
zolle arate e scoline, sommergendo
gli alberi radi e i pali del telegrafo,
desolati ancoraggi per le barche
che vanno lente alla deriva in mezzo
ai casolari, riaffioranti dallo
specchio cavo del cielo come isole
attorno a una laguna. Nelle corti
rurali o sopra i botri dove il flusso
più ristagna, si allungano i ragazzi
e a mani nude afferrano le anguille
e le carpe fangose, imprigionate
tra le buche ricolme e le barriere
dei canneti schiomati. Scivolando
nella corrente, dirigono verso
la piazza del paese – che ora sembra
una baia in bonaccia – larghe zattere
caricate di stie e di masserizie,
mentre, simili a uccelli di palude,
braccianti torvi e silenziosi, dritti
a bordo di leggeri sandolini,
si sostengono ai remi. C’è con loro
Giuseppe, l’uomo dalla barba rossa.
 
 
 
Buffalo Bill a Bologna nell’aprile 1906
 
 
La figura a grandezza naturale
dal cartellone osserva gli abitanti
del villaggio: in sella ad un cavallo
bianco, porta un cappello a falda larga,
un fucile a tracolla e baffi e barba
color argento. Intorno a lui altri uomini
stanno obliqui nell’aria, a torso nudo,
con il volto dipinto e copricapi
di penne variegate. C’è anche scritto
che hanno alzato le tende appena fuori
dalla città, ai prati di Caprara.
Ma di notte, nei sogni dei bambini,
discendono furtivi giù dai muri
per correre al galoppo lungo i greppi
e le andane falciate, in mezzo agli olmi
e ai campi di granturco, senza sproni
né redini, finché senza più forma
tra le gaggìe scompaiono nel nulla.
 
 
 
La chiamata alle armi del 1916
 
 
Molti di quei ragazzi senza scarpe,
prole riottosa di mezzadri, i corpi
anfibi ricoperti dallo smalto
delle lenticchie d’acqua, divenuti
coscritti, in fretta devono lasciare
il tepore di fienili e stallatici,
i gracili vigneti da irrorare
col solfato di rame, i canapai
odorosi di pollini, le semine,
le trebbiature. Adesso anche Francesco,
padre futuro a numerosi figli
tra cui mia madre, ostenta baffi a punta
e mollettiere strette alle caviglie,
e ha le mostrine verdinere dell’
artiglieria da montagna. Più in alto
saliranno i soldati contadini,
traversando all’addiaccio cenge e forre,
portando a spalla o sul dorso dei muli
pezzi d’obice da 75
e mitraglie smontate fino alla
prima linea. Nel buio, accovacciati
simili a serpi dentro le trincee,
nascoste le sigarette nel palmo
calloso delle mani, guarderanno
le righe sibilanti degli shrapnel      
fendere il cielo illune, come fanno
i fulmini d’estate giù in pianura.
 
 
 
L’organico della banda municipale nel 1921
 
(e’ bà de mi bà)
 
Intanto, in un paese non lontano
della Romagna finitima eppure
di sentimento differente, Enrico,
figlio di un fabbricante di cordami,
detto “Ricóni” per l’alta statura,
famoso per le burle e qualche vaga
simpatia socialista, anche lui reduce
dal fronte, in quell’ansioso dopoguerra
entra a far parte della banda come
clarinetto soprano in Si bemolle.
Frequenta dunque il maestro di musica
Domenico M. e la famiglia che abita
un’ampia casa signorile lungo
la spessa cinta delle mura antiche –
vi fu sepolta, dice una leggenda,
una pentola piena di marenghi
d’oro –, e in modo discreto ma deciso
ne corteggia la figlia occhimelata
e trepida, cui il padre diede il nome
di un’eroina d’opera e soltanto
tra le pareti domestiche suona
il pianoforte. Nelle stanze ingombre
di cimeli e spartiti alla rinfusa,
lei sottovoce gli racconta di avi
garibaldini e di un coltello a scatto
dal manico di corno, appartenuto
al bandito Pelloni. Ma nel vano
di una finestra aperta, all’improvviso,
ondeggiante sul prato dove un tempo
era il fossato del castello, appare
un labirinto di lenzuola stese
ad asciugare, sbiancate nel ranno,
vele gonfie di vento, abbacinanti
schegge di luce nel meriggio estivo.
 
 
 
Rapporto del 4 ottobre 1923
 
 
Stamani, verso le ore sette e trenta,
al Cantalupo, lungo il terrapieno
erboso che divide le risaie
lucide d’acqua dall’alveo del Lòrgana,
nascosto dentro il folto delle canne
piumate, i pescatori hanno trovato
il corpo morto di un uomo. Avrà circa
trent’anni, niente documenti, solo
un fiore scarlatto di proiettile
dischiuso sopra la camicia (forse
lo hanno ucciso i fascisti, oppure è una
vendetta d’interesse od un oscuro
delitto passionale), e poiché qui
nessuno lo conosce, informeremo
la prefettura. Dicono che quando
hanno steso il cadavere sul ciglio
del sentiero, gli svolavano intorno
le libellule, attratte dall’odore
dolce del sangue, e non si allontanavano.
 
 
 
 
Note
 
Le terre della Bassa bolognese, assediate da nebbie e calure, generose ed inospiti insieme, hanno spesso costituito lo scenario in cui vissero ed operarono numerose figure di ribelli, divenute talora leggende di popolo e patrimonio collettivo di storia civile. Le vicende qui riportate – tradotte in versi – fanno riferimento non soltanto a rivoluzionari autentici, quali furono i promotori delle prime lotte sociali o i tenaci avversari del totalitarismo, ma anche ad oppositori inconsapevoli, come certi artisti minori, marginali ed emarginati, che mai risultarono al passo con il proprio tempo. E soprattutto vogliono ricordare i volti e le voci, famigliari o anonime, di tanti uomini comuni: braccianti, bambini, musicisti dilettanti, soldati mandati ad uccidere e a morire; ognuno dei quali alimentò forse, fuori e dentro di sé, una sua “involontaria rivolta”.
 
Un temporale estivo del 1880
All’Alberino, nella casa paterna di Severino Ferrari, filologo, poeta e discepolo prediletto del Carducci, convenivano ogni estate gli amici letterati; l’episodio cui si fa riferimento è menzionato in G. Carducci, Lettere. Vol. XIII. 1880-1882, Ediz. Naz., Bologna, Zanichelli 1951 (5ª ed.) pp. 173-174; il primo verso (in dialetto) e l’ultimo sono del Ferrari (cfr. S. Ferrari, Tutte le poesie, a cura di F. Felcini, Bologna, Cappelli 1966); Zena è il nome di un canale.
 
Int’ la Basa
Ovvero, appunto, “nella Bassa”; è un inventario ritmato di toponimi dialettali, a tutt’oggi in uso.
 
Epigrafe per il pittore Gino Marzocchi, nato l’8 febbraio 1895
Pittore figurativo e caricaturista, nato a Molinella e morto a Bologna nel 1981.
 
Notizia dell’alluvione del 1902
L’Idice è affluente di destra del Reno; “l’uomo dalla barba rossa” è Giuseppe Massarenti, pioniere del socialismo emiliano e animatore delle lotte agrarie d’inizio secolo.
 
La chiamata alle armi del 1916
A p. 179 del volume di Mario Mariani, Sott’ la naja. Vita e guerra d’alpini, Milano, Sonzogno, 1916, appartenuto a mio nonno, leggo: “Sui biancori sconfinati, traverso le nebbie impenetrabili passava solo, a quando a quando, la riga sibilante d’uno shrapnel”.
 
L’organico della banda municipale nel 1921
In esergo, la perifrasi e’ bà de mi bà, consueta nel dialetto romagnolo, significa “il padre di mio padre”; il “paese non lontano” è, per la precisione, Solarolo, in provincia di Ravenna.
 
Rapporto del 4 ottobre 1923

I toponimi Cantalupo e Lòrgana indicano, rispettivamente, una località e un canale.


TELLUSfolio - Supplemento telematico quotidiano di Tellus
Dir. responsabile Enea Sansi - Reg. Trib. Sondrio n. 208 del 21/12/1989 - R.O.C. N. 7205 I. 5510 - ISSN 1124-1276