Il mattone del forno chiude una fiamma di sonno arretrato, molle come il pizzaiolo nelle pieghe della camicia a quadri. Questo posto pare non avere tempo o solamente quello lasciato fermo, c’è odore di chiuso –spazio e ritmo di semplice soffice ovatta–; c’è il ronzare di non so cosa da un’asola nel soffitto, dici “come fosse un…”. Ci sono quattro cavalli al galoppo nell’intrico del quadro alla cassa. Resterò qui come cliente abituale: seduto come l’ometto al tavolo che fa angolo, le mani sotto il mento, le parole sopra il calice ed i pensieri a far briciole.
Francesco Osti
Nel perimetro di questa attesa tutti sfuggono a tutto,
piantando i piedi uniti o piantandosi in quelle pose di serie b;
il luogo non è solo l’attesa della pizza veloce,
perché gli sguardi obliqui
appoggiano su ogni particolare dell’intonaco,
del soffitto, del forno asportando tutto ciò di asportabile
e depositando i pensieri più veloci, i pensieri più scheletrici come in una discarica.
E le persone come le canzoni nella radio sono di tutti i tipi,
diverse dall’uniformità delle lattine nel frigo, o dall’omogeneità dei prezzi,
non resta che un senso di asciuttezza
e nelle pareti un desiderio di resurrezione
mai svelata, che si svela, ripensandoci, e chiama, ora
prosciugando tutto quanto è intercorso nella sosta
fino alle mani che bloccano i portafogli,
fino al sorriso della ragazza al banco cassa e ai cartoni
caldi che appena chiude fra le mani.
Massimo Bevilacqua
(da 'l Gazetin, dicembre 2005)