Sono tra quelli che non si rallegrano per l'assegnazione del nobel per la Pace all'ex vice Presidente USA Al Gore, cui è stato riconosciuto il merito per le iniziative sui cambiamenti climatici e le denunce contro l'inquinamento.
È chiaro che Al Gore ha compreso e con grande sagacia usato quella che sempre più si presenta come una priorità irrinunciabile delle politiche di governo: l’attenzione al rapporto “ecologico” tra uomo e natura e alla sostenibilità ambientale dello sviluppo tecnologico e scientifico. È chiaro che la maggioranza dell’opinione pubblica avverte il degrado ambientale come una minaccia e chiede (giustamente) alla politica risposte concrete. Ma è altrettanto vero che l’ambientalismo ufficiale preferisce instillare, coltivare e cavalcare questa paura, piuttosto che affrontarla in modo razionale. E di questo ambientalismo sentimentale e irrazionale Al Gore rappresenta una delle icone più care alla sinistra europea.
Le “scomode verità” che l’ex vice-presidente statunitense ha raccontato sul global warming hanno ormai tutta l’aria di non essere “verità” e di non essere neppure “scomode”. Sono al contrario stereotipi politicamente corretti di un ambientalismo datato. Ma l’ambientalismo europeo (a cui l’Accademia svedese ha dato voce) predilige proprio i “feticci ideologici” più inconsistenti dal punto di vista scientifico e più equivoci dal punto di vista politico: in primo luogo, il global warming (per cui si denuncia ma non si dimostra un’origine essenzialmente antropica dei mutamenti climatici).
Non voglio qui dilungarmi, ma il protocollo di Kyoto è l'emblema di un ambientalismo che cerca buona coscienza prima che risultati concreti. Che non si pone il problema di adeguare gli strumenti agli obiettivi e neppure di valutare la congruità degli obiettivi alle necessità. L'obiettivo di Kyoto è diventato il protocollo in sé, dal momento che è assai dubbio, usiamo un eufemismo, che anche qualora, cosa che non sta accadendo, i tagli alle emissioni venissero effettivamente realizzati essi avranno una incidenza reale sugli andamenti climatici. Quindi non fare nulla? No, investire in ricerca sulle fonti di energia, tornare all'opzione nucleare: non demonizzare la crescita e l'industrializzazione, perché da essa devono venire le risposte. Un ambientalismo diverso, liberale e di mercato non solo è possibile, ma necessario.
Benedetto Della Vedova
(per 'l Gazetin, ottobre 2007)
www.benedettodellavedova.com