Diario di bordo
Al Gore, icona di un ambientalismo che cavalca la paura
13 Ottobre 2007
 

Sono tra quelli che non si rallegrano per l'assegnazione del nobel per la Pace all'ex vice Presidente USA Al Gore, cui è stato riconosciuto il merito per le iniziative sui cambiamenti climatici e le denunce contro l'inquinamento.

È chiaro che Al Gore ha compreso e con grande sagacia usato quella che sempre più si presenta come una priorità irrinunciabile delle politiche di governo: l’attenzione al rapporto “ecologico” tra uomo e natura e alla sostenibilità ambientale dello sviluppo tecnologico e scientifico. È chiaro che la maggioranza dell’opinione pubblica avverte il degrado ambientale come una minaccia e chiede (giustamente) alla politica risposte concrete. Ma è altrettanto vero che l’ambientalismo ufficiale preferisce instillare, coltivare e cavalcare questa paura, piuttosto che affrontarla in modo razionale. E di questo ambientalismo sentimentale e irrazionale Al Gore rappresenta una delle icone più care alla sinistra europea.

Le “scomode verità” che l’ex vice-presidente statunitense ha raccontato sul global warming hanno ormai tutta l’aria di non essere “verità” e di non essere neppure “scomode”. Sono al contrario stereotipi politicamente corretti di un ambientalismo datato. Ma l’ambientalismo europeo (a cui l’Accademia svedese ha dato voce) predilige proprio i “feticci ideologici” più inconsistenti dal punto di vista scientifico e più equivoci dal punto di vista politico: in primo luogo, il global warming (per cui si denuncia ma non si dimostra un’origine essenzialmente antropica dei mutamenti climatici).

Non voglio qui dilungarmi, ma il protocollo di Kyoto è l'emblema di un ambientalismo che cerca buona coscienza prima che risultati concreti. Che non si pone il problema di adeguare gli strumenti agli obiettivi e neppure di valutare la congruità degli obiettivi alle necessità. L'obiettivo di Kyoto è diventato il protocollo in sé, dal momento che è assai dubbio, usiamo un eufemismo, che anche qualora, cosa che non sta accadendo, i tagli alle emissioni venissero effettivamente realizzati essi avranno una incidenza reale sugli andamenti climatici. Quindi non fare nulla? No, investire in ricerca sulle fonti di energia, tornare all'opzione nucleare: non demonizzare la crescita e l'industrializzazione, perché da essa devono venire le risposte. Un ambientalismo diverso, liberale e di mercato non solo è possibile, ma necessario.

 

Benedetto Della Vedova

(per 'l Gazetin, ottobre 2007)

www.benedettodellavedova.com


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