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Fabiano Alborghetti trova Vincenzo Della Mea 
Cercando l'oro 9
Vincenzo Della Mea
Vincenzo Della Mea 
05 Marzo 2007
 

Eravamo approdati a Gennaio in Valtellina con Silvia Monti. Spostiamoci ora, rimanendo bene o male sull’asse montano ed arrivando in Friuli, verso l'incontro con Vincenzo Della Mea. Questo articolo doveva essere pubblicato per Febbraio ma a causa del mio eterno trasloco è slittato ad oggi. Confido però - e come detto in precedenza - che questo scarto nel calendario porti bene alla mia rubrica, al poeta, a TELLUSfolio e all'Editrice Labos che edita la rivista-annuario TELLUS diretta da Claudio Di Scalzo (tutte le informazioni le trovare nel sito e vi consiglio caldamente l’acquisto perché i numeri annuali editi sono – oltre che massicci per contenuto – anche straordinariamente ben composti). Di Vincenzo Della Mea ha parlato anche Stefano Guglielmin, in Poesia & Blog, "Ascoltare le voci". E questo è il nostro gioco di squadra, oh yes. (fa)

 

 

Vincenzo Della Mea, nato nel 1967, è ricercatore universitario nel campo dell’Informatica Medica e delle Tecnologie Web a Udine; vive poco distante.

È per molti una voce conosciuta sia a livello poetico che per altro: sua è – ad esempio – la creazione del PoEcast, un aggregatore di siti poetici (in cui è inserito anche TELLUSfolio).

Per spiegarlo in parole povere (accessibili anche a chi – come me – di informatica è digiuno) è un programma che “pesca” le notizie dai siti di poesia e che le offre su un’unica pagina tramite un indice. Al posto di visitare 200 siti per vedere cosa c’è di nuovo in poesia, basta digitare www.poecast.it ed ecco che appare l’elenco.

Nel 1999 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, L’infanzia di Gödel nella collana La Barca di Babele del Circolo Culturale di Meduno.

La sua seconda raccolta è Algoritmi, pubblicata nel 2004 dall’editore Lietocolle di Como, con prefazione di Franco Buffoni (ricordiamo che Algoritmi ha vinto il premio biennale di poesia “Nelle terre dei Pallavicino” 2005, ed è stato tra i finalisti del Premio “Lorenzo Montano” 2005).

Sue poesie sono apparse anche su diverse riviste tra cui Caffè Michelangiolo, Almanacco del Ramo d’Oro, Daemon (di cui è redattrice Azzurra d’Agostino, e TELLUSfolio se ne occupò tempo addietro), Corrispondenze.

Proprio per la rivista Daemon ha contribuito a realizzare il n. 13, dedicato al rapporto tra scienza e arte.

Il rapporto tra scienza e arte è anche oggetto di un incontro da lui organizzato alla fine di aprile 2006 con la cooperazione dell’Università di Udine e dell’associazione culturale Don Pressacco dove il poeta e narratore Ennio Cavalli (nonché collaboratore della RAI) ha dialogato con il fisico Marco Fabbrichesi sul rapporto tra le due culture. Il coordinamento dell’incontro è stato di Mario Turello ed una lettura di poesie “scientifiche” è stata effettuata dall’attore Loriano Della Rocca.

Per l’editore Lietocolle ha recentemente curato un’antologia tematica su poesia e computer dal titolo Verso i bit e nel numero 34 della rivista Nuovi Argomenti (la rivista fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci e diretta sino a pochi mesi or sono da Enzo Siciliano – ora scomparso –) sono apparsi estratti inediti da i sogni della guerra

 

La prefazione a L’infanzia di Godel scritta dal poeta Elio Grasso già bene indicava la peculiarità di Della Mea: «un poeta che tra parole e teoremi, accelera la sua economia mentale (…) per effettuare un’osmosi fra storia e leggenda, fra eventi quotidiani e semplici illuminazioni poetiche».

La raccolta è sostenuta da stile e racconto, tra immagini “quasi cinematografiche” dove le parole sono date dal distogliere lo sguardo e impiantare cosi un processo di visione che lascia alla geometria dell’operazione l’assicurarsi i diritti sulla sceneggiatura. Sono ancora una volta parole di Elio Grasso ma ha perfettamente ragione, ritrovando lo sguardo di Della Mea focalizzatissimo sull’evento anche negli inediti apparsi su Nuovi Argomenti nell’Aprile del 2006.

Discorso differente eppure simile per la curatela dell’Antologia Verso i bit. Da un concorso aperto a tutti – il tema era affrontare il mondo del computer tramite la poesia – ecco la pubblicazione di una antologia composta dalle voci più diverse, alcune radicalmente ancorate alla non comprensione del mezzo informatico, altri cosi addentro da comporre poesie tramite il linguaggio macchina (usato è infatti il rigido linguaggio di programmazione) o per mezzo delle modalità che muovono la composizione del linguaggio macchina. Edito è infine il volume (dopo aver valutato invii per oltre 300 composizioni) che ancora una volta mette in relazione il mondo del computer e la poesia.

Del 2004 è Algoritmi, ed è qui che sorprendiamo: usando un linguaggio riferito al mondo del computer (chiamiamolo cosi - per semplificare -) vi è ancora una volta un’analisi attentissima al fatto minimo non scevra di una acuta morale che lascia interdetti. Portando in parallelo quello che è il nascosto mondo del linguaggio macchina, delle operazioni di movimento, usando il linguaggio tecnico ecco che sovrappone ciò che è l’Universo-Mondo dell’uomo, le medesime azioni, gli stessi fondamenti di stoccaggio che regolano il flusso e che ci installano o rimuovono dal continuum, da quell’inspiegabile programma chiamato vita.

Denominiamo noi stessi componendo nome e cognome come fossero nome utente e password, configuriamo nell’esistenza tramite processi d’installazione, conosciamo qualcuno e vi accostiamo per poco o per sempre come se aggiungessimo un nuovo account.

Apparentemente parrebbe una poesia algida, scevra di emozionalità, composta addirittura secondo i dettami della spersonalizzazione. È invece l’assoluto contrario, vi è confluenza, immersione. I versi sono la matematica con la quale Della Mea scrive, la casistica matematica e il caos umano sono i frattali (i frattali compaiono nello studio dei sistemi dinamici e nella teoria del caos, ma è la natura nel suo complesso a produrre un numero infinito di forme. Un abete ad esempio ha ogni ramo approssimativamente simile all’intero albero e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo, secondo una logica progressiva di auto-similarità).

E cosi che Della Mea ci vede e compone, appunto come algoritmi (risoluzione di un problema in un finito numero di passaggi) ed è qui che accade l’inversione: come uomini non siamo definibili in un dato numero di passaggi ma siamo la sorpresa, il virus del nostro stesso sistema che stravolge il sistema operativo, lo cambia, lo porta ad altro.

 

 

Da L’infanzia di Gödel (La barca di Babele, Meduno 1999)

 

 

Le ville oltre il valico di Vencò

potrebbero ospitare una mia zia:

tendine alle finestre canarini

nanetti nel giardino e rose rosa

il Toni con la spesa sopra l’Ape

la birra di mio zio e le nazionali.

 

Oltre le case di Vencò la sera

mio cugino stupra mia cugina

sbraita spacca piatti sbatte porte.

Bevesse meno sospira mia zia

ma è come il nonno e chiude gli scuri

sperando che non sentano i vicini.

 

 

Padre 

 

Duro alle lusinghe, col muso rotto

dalle rughe e la calce nei capelli

lavati di sabato con l’aceto,

nel giorno del riposo t’alzi presto

bestemmiando fumo, poi spacchi legna

con i jeans della festa finché stai male.

Ma tu sai - l’ho capito -

che non è quello il male

che ci porterà via.

 

 

Volo BA589 - I.

 

Sembrano quasi semplici le istruzioni

per la salvezza del corpo e magari

dell'anima nel manuale mimato

da un'hostess che per averlo studiato

imita con un certo ottimismo

l'agonia della morte per macchina.

Sprecando così in maschere e giubbetti

i minuti per dirsi e per urlare

prima di lamiere arse o del mare.

 

 

Volo BA589 - II.

 

È da un po' che il din-don dell'atterraggio

mi ha distratto stringendomi al sedile,

ma dentro al latte del cielo di Londra,

come in vecchi sogni di neve, ogni distanza

è ignota ed è domanda: sa il pilota

dove siamo? Quanto alto voliamo?

È solo un attimo, che dalle nuvole

rassicuranti casette giocattolo

risolvono ma senza soluzione:

non basso o alto, né a destinazione.

 

 

 

 

Da Algoritmi (Lietocolle, Como 2004)

 

 

Una vita

 

Nascoste bene dentro il disco rigido

ci stanno sette miliardi di lettere.

Meno di settecento è quant’è lunga

questa poesia, per breve che sia

non più di quel che serve per descrivere

il giorno medio di ozio e iterazione

di un normale funzionario, la cui vita

ariosamente dichiarata arriva

ai venti megabyte. Come dire

niente, ed ancora meno comprimendo

la ridondanza che ci fa uguali

nel ciclo standard dal parto alla morte,

escludendo quel bit che ci distingue

che ci fa valere un nome di file.

 

 

Invecchiare

 

Come un vecchio programma scritto in Fortran

troppo ingombrante per la riscrittura

utile quel che basta per tenerlo

così, con i bachi, i dati persi,

i messaggi d'errore incomprensibili:

ecco il paradiso della pensione.

Non grafica, intelligenza artificiale,

ma la sopravvivenza in sala macchine

il tepore del condizionatore

pochi utenti fedeli via seriale.

 

 

Rumore

 

Informazione è la differenza

tra quel che sai e quello che so io.

È inutile quindi, amore mio,

che leggi con timore e ti preoccupi

se non trovi tue tracce in ciò che scrivo:

già lo sai benissimo, anche meglio

di me cosa a te mi lega e perché.

Se ne scrivessi, sarebbe rumore;

però tu non smettere mai di dirmi

l’ovvio bene che bene mi fa stare.

 

(a T.)

 

 

 

I sogni della guerra (da Nuovi Argomenti, nr. 34 – Aprile 2006)

 

I

Sapevamo che stavano arrivando

ma non il come:

solo riassunti di puntate precedenti.

La paura era di sabbia

Di vischio nel letto, la notte

attendendo il segnale dell’uomo di guardia.

E l’inaspettato sono stati i missili

da guerra chirurgica, i fischi

i traccianti lisergici per la ricerca;

la fuga in piazza sdraiati per terra

ridotta l’altezza alla dimensione

che l’ordigno intelligente disdegna.

Solo uno è in piedi

e il radar lo vede e a nulla vale l’avviso e

 

l’esplosione della suoneria.

Ma il lutto rimane

quasi a svegliarsi col radiogiornale.

 

 

II

I dischi volanti

erano dischi e volavano

vedevamo bene

ma meno tra rami ed arbusti

cosi correvamo sulle colline di Attimis

seguendo le tracce dei caprioli

sbocciando fiori rossi sui rovi

comunque meglio dei mucchietti di carbone

fumanti sulla strada aperta.

Ed il brutto era che non si capiva

Il perché, ne la lingua

né che fare dopo la fuga,

né se era la nostra fine

o la fine di tutto.

 

 

IV

 La notte contavamo le scatolette;

del giorno rimaneva una pioggia di bombe

la paura senza rimedio degli anziani

alle scosse, alle luci intermittenti

e più niente da fare

aspettare l’appiglio di un altro disastro

 

(episodi finti, lo so: zapping

tra I sopravvissuti ed un film di sottomarini)

 

 

V

Io comunque sopravviverò

nel mio rifugio antiatomico

sepolto al primo piano di un condominio

l’aria pulita del condizionatore

dietro i doppi vetri che filtrano

l’occhio nemico del kamikaze.

Alla tele sono effetti speciali

magnificati dall’home theatre:

brontolii cupi e scariche lontane

come un’afa immobile carica di fuoco

che passerà, ne sono certo.

Ma a Udine

d’estate, può durare

settimane.

 

 

 

Poesia Inedita

 

 

Il bambino che si era perso

trovato dal padre dettaglia

il lungo percorso e poi il dubbio

il ritorno veloce

l’incontro vicino al rifugio

tornata la madre ritrova

tutte le lacrime raccolte nella corsa

senza parole racconta un’altra versione.

 

Che lingua è? Eppure

anche noi l’abbiamo parlata.


Foto allegate

Algoritmi
Verso i Bit
Gödel
 
 
 
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