Eravamo approdati a Gennaio in Valtellina con Silvia Monti. Spostiamoci ora, rimanendo bene o male sull’asse montano ed arrivando in Friuli, verso l'incontro con Vincenzo Della Mea. Questo articolo doveva essere pubblicato per Febbraio ma a causa del mio eterno trasloco è slittato ad oggi. Confido però - e come detto in precedenza - che questo scarto nel calendario porti bene alla mia rubrica, al poeta, a TELLUSfolio e all'Editrice Labos che edita la rivista-annuario TELLUS diretta da Claudio Di Scalzo (tutte le informazioni le trovare nel sito e vi consiglio caldamente l’acquisto perché i numeri annuali editi sono – oltre che massicci per contenuto – anche straordinariamente ben composti). Di Vincenzo Della Mea ha parlato anche Stefano Guglielmin, in Poesia & Blog, "Ascoltare le voci". E questo è il nostro gioco di squadra, oh yes. (fa)
Vincenzo Della Mea, nato nel 1967, è ricercatore universitario nel campo dell’Informatica Medica e delle Tecnologie Web a Udine; vive poco distante.
È per molti una voce conosciuta sia a livello poetico che per altro: sua è – ad esempio – la creazione del PoEcast, un aggregatore di siti poetici (in cui è inserito anche TELLUSfolio).
Per spiegarlo in parole povere (accessibili anche a chi – come me – di informatica è digiuno) è un programma che “pesca” le notizie dai siti di poesia e che le offre su un’unica pagina tramite un indice. Al posto di visitare 200 siti per vedere cosa c’è di nuovo in poesia, basta digitare www.poecast.it ed ecco che appare l’elenco.
Nel 1999 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, L’infanzia di Gödel nella collana La Barca di Babele del Circolo Culturale di Meduno.
La sua seconda raccolta è Algoritmi, pubblicata nel 2004 dall’editore Lietocolle di Como, con prefazione di Franco Buffoni (ricordiamo che Algoritmi ha vinto il premio biennale di poesia “Nelle terre dei Pallavicino” 2005, ed è stato tra i finalisti del Premio “Lorenzo Montano” 2005).
Sue poesie sono apparse anche su diverse riviste tra cui Caffè Michelangiolo, Almanacco del Ramo d’Oro, Daemon (di cui è redattrice Azzurra d’Agostino, e TELLUSfolio se ne occupò tempo addietro), Corrispondenze.
Proprio per la rivista Daemon ha contribuito a realizzare il n. 13, dedicato al rapporto tra scienza e arte.
Il rapporto tra scienza e arte è anche oggetto di un incontro da lui organizzato alla fine di aprile 2006 con la cooperazione dell’Università di Udine e dell’associazione culturale Don Pressacco dove il poeta e narratore Ennio Cavalli (nonché collaboratore della RAI) ha dialogato con il fisico Marco Fabbrichesi sul rapporto tra le due culture. Il coordinamento dell’incontro è stato di Mario Turello ed una lettura di poesie “scientifiche” è stata effettuata dall’attore Loriano Della Rocca.
Per l’editore Lietocolle ha recentemente curato un’antologia tematica su poesia e computer dal titolo Verso i bit e nel numero 34 della rivista Nuovi Argomenti (la rivista fondata da Alberto Moravia e Alberto Carocci e diretta sino a pochi mesi or sono da Enzo Siciliano – ora scomparso –) sono apparsi estratti inediti da i sogni della guerra
La prefazione a L’infanzia di Godel scritta dal poeta Elio Grasso già bene indicava la peculiarità di Della Mea: «un poeta che tra parole e teoremi, accelera la sua economia mentale (…) per effettuare un’osmosi fra storia e leggenda, fra eventi quotidiani e semplici illuminazioni poetiche».
La raccolta è sostenuta da stile e racconto, tra immagini “quasi cinematografiche” dove le parole sono date dal distogliere lo sguardo e impiantare cosi un processo di visione che lascia alla geometria dell’operazione l’assicurarsi i diritti sulla sceneggiatura. Sono ancora una volta parole di Elio Grasso ma ha perfettamente ragione, ritrovando lo sguardo di Della Mea focalizzatissimo sull’evento anche negli inediti apparsi su Nuovi Argomenti nell’Aprile del 2006.
Discorso differente eppure simile per la curatela dell’Antologia Verso i bit. Da un concorso aperto a tutti – il tema era affrontare il mondo del computer tramite la poesia – ecco la pubblicazione di una antologia composta dalle voci più diverse, alcune radicalmente ancorate alla non comprensione del mezzo informatico, altri cosi addentro da comporre poesie tramite il linguaggio macchina (usato è infatti il rigido linguaggio di programmazione) o per mezzo delle modalità che muovono la composizione del linguaggio macchina. Edito è infine il volume (dopo aver valutato invii per oltre 300 composizioni) che ancora una volta mette in relazione il mondo del computer e la poesia.
Del 2004 è Algoritmi, ed è qui che sorprendiamo: usando un linguaggio riferito al mondo del computer (chiamiamolo cosi - per semplificare -) vi è ancora una volta un’analisi attentissima al fatto minimo non scevra di una acuta morale che lascia interdetti. Portando in parallelo quello che è il nascosto mondo del linguaggio macchina, delle operazioni di movimento, usando il linguaggio tecnico ecco che sovrappone ciò che è l’Universo-Mondo dell’uomo, le medesime azioni, gli stessi fondamenti di stoccaggio che regolano il flusso e che ci installano o rimuovono dal continuum, da quell’inspiegabile programma chiamato vita.
Denominiamo noi stessi componendo nome e cognome come fossero nome utente e password, configuriamo nell’esistenza tramite processi d’installazione, conosciamo qualcuno e vi accostiamo per poco o per sempre come se aggiungessimo un nuovo account.
Apparentemente parrebbe una poesia algida, scevra di emozionalità, composta addirittura secondo i dettami della spersonalizzazione. È invece l’assoluto contrario, vi è confluenza, immersione. I versi sono la matematica con la quale Della Mea scrive, la casistica matematica e il caos umano sono i frattali (i frattali compaiono nello studio dei sistemi dinamici e nella teoria del caos, ma è la natura nel suo complesso a produrre un numero infinito di forme. Un abete ad esempio ha ogni ramo approssimativamente simile all’intero albero e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo, secondo una logica progressiva di auto-similarità).
E cosi che Della Mea ci vede e compone, appunto come algoritmi (risoluzione di un problema in un finito numero di passaggi) ed è qui che accade l’inversione: come uomini non siamo definibili in un dato numero di passaggi ma siamo la sorpresa, il virus del nostro stesso sistema che stravolge il sistema operativo, lo cambia, lo porta ad altro.
Da L’infanzia di Gödel (La barca di Babele, Meduno 1999)
Le ville oltre il valico di Vencò
potrebbero ospitare una mia zia:
tendine alle finestre canarini
nanetti nel giardino e rose rosa
il Toni con la spesa sopra l’Ape
la birra di mio zio e le nazionali.
Oltre le case di Vencò la sera
mio cugino stupra mia cugina
sbraita spacca piatti sbatte porte.
Bevesse meno sospira mia zia
ma è come il nonno e chiude gli scuri
sperando che non sentano i vicini.
Padre
Duro alle lusinghe, col muso rotto
dalle rughe e la calce nei capelli
lavati di sabato con l’aceto,
nel giorno del riposo t’alzi presto
bestemmiando fumo, poi spacchi legna
con i jeans della festa finché stai male.
Ma tu sai - l’ho capito -
che non è quello il male
che ci porterà via.
Volo BA589 - I.
Sembrano quasi semplici le istruzioni
per la salvezza del corpo e magari
dell'anima nel manuale mimato
da un'hostess che per averlo studiato
imita con un certo ottimismo
l'agonia della morte per macchina.
Sprecando così in maschere e giubbetti
i minuti per dirsi e per urlare
prima di lamiere arse o del mare.
Volo BA589 - II.
È da un po' che il din-don dell'atterraggio
mi ha distratto stringendomi al sedile,
ma dentro al latte del cielo di Londra,
come in vecchi sogni di neve, ogni distanza
è ignota ed è domanda: sa il pilota
dove siamo? Quanto alto voliamo?
È solo un attimo, che dalle nuvole
rassicuranti casette giocattolo
risolvono ma senza soluzione:
non basso o alto, né a destinazione.
Da Algoritmi (Lietocolle, Como 2004)
Una vita
Nascoste bene dentro il disco rigido
ci stanno sette miliardi di lettere.
Meno di settecento è quant’è lunga
questa poesia, per breve che sia
non più di quel che serve per descrivere
il giorno medio di ozio e iterazione
di un normale funzionario, la cui vita
ariosamente dichiarata arriva
ai venti megabyte. Come dire
niente, ed ancora meno comprimendo
la ridondanza che ci fa uguali
nel ciclo standard dal parto alla morte,
escludendo quel bit che ci distingue
che ci fa valere un nome di file.
Invecchiare
Come un vecchio programma scritto in Fortran
troppo ingombrante per la riscrittura
utile quel che basta per tenerlo
così, con i bachi, i dati persi,
i messaggi d'errore incomprensibili:
ecco il paradiso della pensione.
Non grafica, intelligenza artificiale,
ma la sopravvivenza in sala macchine
il tepore del condizionatore
pochi utenti fedeli via seriale.
Rumore
Informazione è la differenza
tra quel che sai e quello che so io.
È inutile quindi, amore mio,
che leggi con timore e ti preoccupi
se non trovi tue tracce in ciò che scrivo:
già lo sai benissimo, anche meglio
di me cosa a te mi lega e perché.
Se ne scrivessi, sarebbe rumore;
però tu non smettere mai di dirmi
l’ovvio bene che bene mi fa stare.
(a T.)
I sogni della guerra (da Nuovi Argomenti, nr. 34 – Aprile 2006)
I
Sapevamo che stavano arrivando
ma non il come:
solo riassunti di puntate precedenti.
La paura era di sabbia
Di vischio nel letto, la notte
attendendo il segnale dell’uomo di guardia.
E l’inaspettato sono stati i missili
da guerra chirurgica, i fischi
i traccianti lisergici per la ricerca;
la fuga in piazza sdraiati per terra
ridotta l’altezza alla dimensione
che l’ordigno intelligente disdegna.
Solo uno è in piedi
e il radar lo vede e a nulla vale l’avviso e
l’esplosione della suoneria.
Ma il lutto rimane
quasi a svegliarsi col radiogiornale.
II
I dischi volanti
erano dischi e volavano
vedevamo bene
ma meno tra rami ed arbusti
cosi correvamo sulle colline di Attimis
seguendo le tracce dei caprioli
sbocciando fiori rossi sui rovi
comunque meglio dei mucchietti di carbone
fumanti sulla strada aperta.
Ed il brutto era che non si capiva
Il perché, ne la lingua
né che fare dopo la fuga,
né se era la nostra fine
o la fine di tutto.
IV
La notte contavamo le scatolette;
del giorno rimaneva una pioggia di bombe
la paura senza rimedio degli anziani
alle scosse, alle luci intermittenti
e più niente da fare
aspettare l’appiglio di un altro disastro
(episodi finti, lo so: zapping
tra I sopravvissuti ed un film di sottomarini)
V
Io comunque sopravviverò
nel mio rifugio antiatomico
sepolto al primo piano di un condominio
l’aria pulita del condizionatore
dietro i doppi vetri che filtrano
l’occhio nemico del kamikaze.
Alla tele sono effetti speciali
magnificati dall’home theatre:
brontolii cupi e scariche lontane
come un’afa immobile carica di fuoco
che passerà, ne sono certo.
Ma a Udine
d’estate, può durare
settimane.
Poesia Inedita
Il bambino che si era perso
trovato dal padre dettaglia
il lungo percorso e poi il dubbio
il ritorno veloce
l’incontro vicino al rifugio
tornata la madre ritrova
tutte le lacrime raccolte nella corsa
senza parole racconta un’altra versione.
Che lingua è? Eppure
anche noi l’abbiamo parlata.