“La poesia è mio fratello
pazzo e fastidioso”
La poesia è un uccello
che vola alto nella mente degli altri.
La poesia è un fiore
in un mondo di fango.
La poesia è un cristallo che cresce,
luminoso, lasciandoti stupito.
La poesia è l’oceano calmo,
rasserenante e tranquillo.
La poesia è mio fratello
pazzo e fastidioso.
La poesia è una diga rotta
e il fiume è l’immaginazione.
La poesia è una ragnatela
che cattura le emozioni.
La poesia è il primo
Fiocco di neve eccentrico.
Io sono
Sono un piccione viaggiatore
Che cerca sempre di tornare a casa
Sono una polpetta prelibata
Che non ricambia chi la morde
Sono un vecchio saggio
Che vuol sempre dare consigli
Sono una sedia allo stadio
Che aspetta sempre il sollievo del goal
Sono un verme sdrucciolevole
Che scende senza causare problemi
Sono una timida mangusta
Sempre pronta ad indietreggiare
Sono il primo
fiocco di neve
eccentrico
Le poesie sono state scritte a quattordici anni da Jonathan Branch Carr. Quando aveva tre anni, la sua famiglia si era trasferita da Viterbo a San Diego, USA. Di carattere sveglio e attivo aveva dimostrato grandi capacità di osservazione coniugando ragione ed immaginazione e riscuotendo successi anche nello sport. Ma fu soprattutto la scrittura lo spazio nel quale espresse il suo primo sentire. Jonathan la avverte come forza inestinguibile, un fiume in piena, “una diga che straripa”, che in sé contiene anche il nostro “altro”. Anche il nostro altro che non vorremmo oscillante tra la fissità di una “sedia” e lo scatto di “un goal”. I versi “bambini” che riportiamo colgono una molteplicità della struttura che alterna, ad una stesura tradizionale, versi che, nella maiuscola iniziale respirano forte, ricominciano un percorso, un pensiero, un sogno e l’“eccentricità” atemporale del fiocco di neve.
Si iscrisse all’università di medicina con entusiasmo e determinazione ma proprio allora comparvero i primi sintomi della malattia mentale, della schizofrenia, della difficoltà a percepire la realtà nella sua interezza.
Parlò da subito del suo malessere con la madre, con la quale ebbe sempre un rapporto privilegiato (è stata lei ad inviarmi gli scritti che sto trascrivendo) ed iniziò con fasi alterne tante “stazioni del dolore” nonostante le quali negli ultimi suoi anni di vita era riuscito anche a riprendere gli studi e continuare lo sport.
La fede lo sostenne per molto tempo e gli diede conforto e serenità.
La sua vita si interromperà il 18 Gennaio del 2014 per un arresto cardiaco, causato probabilmente dalla reazione tra il dosaggio dei farmaci e il suo fisico molto debilitato.
Le poesie che seguiranno saranno un omaggio a Jonathan e un abbraccio da parte di tutta la redazione della nostra rivista a sua madre.
Patrizia Garofalo