Poesia forte, originale, “apocalittica”, anche nel senso di rivelazione, profonda, drammatica, senza sconti. C'è la sofferenza del “mestiere di vivere”, ma c'è anche l'ironia. Manuela Bonò è una falsa esordiente poiché in lei la poesia sedimenta, germoglia e sgorga da anni. Fra frustrazioni e slanci, cadute e riprese, com'è di dovere per ogni opera creativa, nel silenzio/strepito dell'anima, nell'alcova dei ricordi, nella potenza della visione.
Lunghi anni di meditazione e di lima e ora, finalmente, la sua fatica poetica, il suo labor, vede la luce. Tra il costato e la voragine... fra il sé più profondo, amniotico, che tenta di emergere per guardare un altro abisso. Quell'abisso di rumori, suoni, relazioni, casi e cause, viste, speranze e delusioni che la vita è. Da un buio all'altro? Però squarci di luce, soavemente violenta o violentemente soave, accendono la scena sul cinguettare parentale/ dello stormo umano. E la noncuranza dell'appartenenza è solo apparente... sento crescere una spina/ nitida e cinica/ tra il costato/ e la voragine. Si dipanano i capitoli dell'esistere fra... Costernazione, Scissione, Diluizione, Cristallizzazione, Agglomerazione, Aberrazione, Deprivazione, Estraneazione, Rarefazione, Dissipazione le finali, ma riparabili dall'invincibile tessuto esistenziale, Fratture scomposte. Perché... covi in parti uguali/ l'agonia e la salvezza.
Verso la fine di novembre
gli eremiti
vengono a fare provviste
quando li vedo sussulto e mi dico
“È già passato un altro anno!”.
Comprano le stesse cose
da che mondo è mondo:
un falcetto ben affilato
due crisalidi di farfalle
e una stecca di nera liquirizia
Mi guardano solo un attimo
ogni volta non so
se mi sorridono mi deridono
mi invitano o mi disprezzano
ma quel che invece temo
è che non mi riconoscano
Quando se ne vanno
resto sola e disperata
più vile che mai
ogni giorno apro bottega
in preda alla discordia
Solo verso primavera
un poco mi placo
Il tempo si sgrana fra eroismi e codardie, scansione allucinante e iper-realista di eventi interiori, fra paure e desideri, Inferni e Arcadie, stranite quotidianità e proiezioni oltre, atavici orizzonti, respiri cosmici e l'incombente senso dell'infimo e del provvisorio. L'eterno con il transeunte. Cangianti giostre...
Io non bevo acqua
patisco la sete degli avi
li vedo sfilare
la notte
e non mi danno più pace.
La terra agli albori
mi era parsa così rigogliosa
feconda
cavalli a dondolo amici
girandole
trottole
vorticavano
in un civile protagonismo
Poi la forza
d'inerzia
s'impose
mi arrese
e più nulla si mosse.
Angeli turbati
ad uno ad uno
volarono via
non mi diedero mai
spiegazioni
Premonizioni
fatali
o casuali combinazioni
Yo no sé
L'anima ventriloqua, le sue vaghezze, i vaneggiamenti, qualche volta il sollievo, una benefica e benevola stasi, un placido e sereno bagnarsi nelle cose semplici del mondo, come la bellezza dell'autunno...
Di indole inquieta e solitaria
sa come nessuno
rompere i ricci del tuo cuore
per sentire crepitare
palpitanti caldarroste
La sua voce è profonda
di terra radici
generosa come linfa
che esplode in mille colori
prima dell'addio
Ti guarda con occhi umidi
l'autunno
il suo canto è calamita
come il fuoco nel camino
ti narra storie senza inizio senza fine
Anche se talvolta il pensiero pare inverno. Nebbioso, duro, crudo, di brina strinato, gelida parabola. Una cappa di bianco-grigio dolente. Ma, sopra, son sempre le stelle ardenti, la potenza del sogno che riscatta, anche se la riflessione intellettuale marcia impietosa e spietata...
Siamo uno di fronte all'altro
controfigure di un tempo mietitore
con la falce sempre appresso
cristallini e iridi riflessi
una messa a fuoco che stordisce
sedotti
come cobra abbindolati
da zufoli danzanti
coalizzati
come due fiocchi di neve
troppo lontani da casa
E l'ironia stempera quella che pare implacabile tensione...
Immersa nella vasca
l'acqua preme per entrare
gonfia di pelle
mi sfaldo
sordido sciabordio di orifizi
nel palesarsi di ascelle gocciolanti
sgorgano le ironie dei destini
Avevamo detto anche apocalittica...
Si vedono
sciami di uomini locusta
divorare la terra
defecando scorie perenni
cetacei bonzi
immolarsi su pire di arene
stormi kamikaze
impattare come falene
volatili
che non hanno mai spiegato le ali
tramare guerre batteriologiche
Ma il domestico è pur sempre in agguato...
Sei nel tratto indecoroso
dei giorni che non verranno
nella cucina fantasma
con le tapparelle giù
nell'armadio
ancora pieno di vestiti
negli oggetti sonnambuli
nei marmi crepati
nelle ciabatte
dentro fuori
in ogni parte delle suole
in tutto ciò che hanno calpestato
negli odori inutili
nei cigolii vani
Un'altalena senza rimedio, un incessante correre e scorrere fra contrastanti sentimenti, arrivi e partenze, un gioco inesausto di posizioni sempre vecchie e sempre nuove. Il pensiero dubitante, il dubbio del pensiero...
Non potendo essere
per formazione parentale
e incapacità caratteriale
degna seguace
del pensiero positivo
pienamente consapevole
d'altronde
degli infiniti danni
di quello negativo
nutro grandi speranze
nel pensiero neutro
Lo spazio del dolore, magicamente ottuso, terribilmente vivo...
Nonostante abbia stretto viti e bulloni
il mio lavandino
continua a gocciolare.
Nonostante abbia ingoiato vitamine ed ormoni
il mio ventre
continua a sanguinare:
entrambi soffriamo d'anemia,
entrambi continuiamo a perdere.
Siamo bambini di fronte all'ignoto, con tutto quel che ciò comporta, che sia l'ancestrale paura o l'infinita meraviglia, la sottile angoscia o lo stupito amore, la comprensione di come la bellezza sappia essere ineffabile lieve crudeltà e, nel contempo, assoluta libertà dal bisogno...
Quel giorno
non volendomi trovare impreparata
scelsi con cura
l'abito e l'umore:
blusa blu e bianca per l'evento
un tripudio di sensi trepidanti
e la mente già pronta a ricordare.
Quel giorno
non volendomi trovare impreparata
cercai di immaginare
quel nostro primo incontro
io piccola col cuore sorridente
lui immenso ma accogliente.
Ma quel giorno
quando fui al suo cospetto
mi sorpresi del tutto impreparata
scoprendomi
nuda e disarmata
costretta
a fissare quella pelle gocciolante
a contenere l'ignoto senza fine
la sua eterna inquietudine.
E quegli orridi suoi abissi
dove tutto è tempesta e gelo e morte
ancora oggi mi reclamano.
Ma quel giorno
ero solo una bambina
e non volli sentire altro
che il rumore del mare.
Non è consolatoria l'arte poetica di Manuela Bonò – né lei lo vorrebbe mai – ma catartica sì. Mai algida, seppur sapiente. Istintivamente sapiente e nutrita di idee. Metafore, mente e puro amore.
Alberto Figliolia