Prodotti e confezioni [08-20]
In libreria/ Manuela Bonò. Tra il costato e la voragine
29 Novembre 2013
 

Poesia forte, originale, “apocalittica”, anche nel senso di rivelazione, profonda, drammatica, senza sconti. C'è la sofferenza del “mestiere di vivere”, ma c'è anche l'ironia. Manuela Bonò è una falsa esordiente poiché in lei la poesia sedimenta, germoglia e sgorga da anni. Fra frustrazioni e slanci, cadute e riprese, com'è di dovere per ogni opera creativa, nel silenzio/strepito dell'anima, nell'alcova dei ricordi, nella potenza della visione.

Lunghi anni di meditazione e di lima e ora, finalmente, la sua fatica poetica, il suo labor, vede la luce. Tra il costato e la voragine... fra il sé più profondo, amniotico, che tenta di emergere per guardare un altro abisso. Quell'abisso di rumori, suoni, relazioni, casi e cause, viste, speranze e delusioni che la vita è. Da un buio all'altro? Però squarci di luce, soavemente violenta o violentemente soave, accendono la scena sul cinguettare parentale/ dello stormo umano. E la noncuranza dell'appartenenza è solo apparente... sento crescere una spina/ nitida e cinica/ tra il costato/ e la voragine. Si dipanano i capitoli dell'esistere fra... Costernazione, Scissione, Diluizione, Cristallizzazione, Agglomerazione, Aberrazione, Deprivazione, Estraneazione, Rarefazione, Dissipazione le finali, ma riparabili dall'invincibile tessuto esistenziale, Fratture scomposte. Perché... covi in parti uguali/ l'agonia e la salvezza.

 

Verso la fine di novembre

gli eremiti

vengono a fare provviste

quando li vedo sussulto e mi dico

È già passato un altro anno!”.

Comprano le stesse cose

da che mondo è mondo:

un falcetto ben affilato

due crisalidi di farfalle

e una stecca di nera liquirizia

Mi guardano solo un attimo

ogni volta non so

se mi sorridono mi deridono

mi invitano o mi disprezzano

ma quel che invece temo

è che non mi riconoscano

Quando se ne vanno

resto sola e disperata

più vile che mai

ogni giorno apro bottega

in preda alla discordia

Solo verso primavera

un poco mi placo

 

Il tempo si sgrana fra eroismi e codardie, scansione allucinante e iper-realista di eventi interiori, fra paure e desideri, Inferni e Arcadie, stranite quotidianità e proiezioni oltre, atavici orizzonti, respiri cosmici e l'incombente senso dell'infimo e del provvisorio. L'eterno con il transeunte. Cangianti giostre...

 

Io non bevo acqua

patisco la sete degli avi

li vedo sfilare

la notte

e non mi danno più pace.

La terra agli albori

mi era parsa così rigogliosa

feconda

cavalli a dondolo amici

girandole

trottole

vorticavano

in un civile protagonismo

Poi la forza

d'inerzia

s'impose

mi arrese

e più nulla si mosse.

Angeli turbati

ad uno ad uno

volarono via

non mi diedero mai

spiegazioni

Premonizioni

fatali

o casuali combinazioni

Yo no sé

 

L'anima ventriloqua, le sue vaghezze, i vaneggiamenti, qualche volta il sollievo, una benefica e benevola stasi, un placido e sereno bagnarsi nelle cose semplici del mondo, come la bellezza dell'autunno...

 

Di indole inquieta e solitaria

sa come nessuno

rompere i ricci del tuo cuore

per sentire crepitare

palpitanti caldarroste

La sua voce è profonda

di terra radici

generosa come linfa

che esplode in mille colori

prima dell'addio

Ti guarda con occhi umidi

l'autunno

il suo canto è calamita

come il fuoco nel camino

ti narra storie senza inizio senza fine

 

Anche se talvolta il pensiero pare inverno. Nebbioso, duro, crudo, di brina strinato, gelida parabola. Una cappa di bianco-grigio dolente. Ma, sopra, son sempre le stelle ardenti, la potenza del sogno che riscatta, anche se la riflessione intellettuale marcia impietosa e spietata...

 

Siamo uno di fronte all'altro

controfigure di un tempo mietitore

con la falce sempre appresso

cristallini e iridi riflessi

una messa a fuoco che stordisce

sedotti

come cobra abbindolati

da zufoli danzanti

coalizzati

come due fiocchi di neve

troppo lontani da casa

 

E l'ironia stempera quella che pare implacabile tensione...

 

Immersa nella vasca

l'acqua preme per entrare

gonfia di pelle

mi sfaldo

sordido sciabordio di orifizi

nel palesarsi di ascelle gocciolanti

sgorgano le ironie dei destini

 

Avevamo detto anche apocalittica...

 

Si vedono

sciami di uomini locusta

divorare la terra

defecando scorie perenni

cetacei bonzi

immolarsi su pire di arene

stormi kamikaze

impattare come falene

volatili

che non hanno mai spiegato le ali

tramare guerre batteriologiche

 

Ma il domestico è pur sempre in agguato...

 

Sei nel tratto indecoroso

dei giorni che non verranno

nella cucina fantasma

con le tapparelle giù

nell'armadio

ancora pieno di vestiti

negli oggetti sonnambuli

nei marmi crepati

nelle ciabatte

dentro fuori

in ogni parte delle suole

in tutto ciò che hanno calpestato

negli odori inutili

nei cigolii vani

 

Un'altalena senza rimedio, un incessante correre e scorrere fra contrastanti sentimenti, arrivi e partenze, un gioco inesausto di posizioni sempre vecchie e sempre nuove. Il pensiero dubitante, il dubbio del pensiero...

 

Non potendo essere

per formazione parentale

e incapacità caratteriale

degna seguace

del pensiero positivo

pienamente consapevole

d'altronde

degli infiniti danni

di quello negativo

nutro grandi speranze

nel pensiero neutro

 

Lo spazio del dolore, magicamente ottuso, terribilmente vivo...

 

Nonostante abbia stretto viti e bulloni

il mio lavandino

continua a gocciolare.

Nonostante abbia ingoiato vitamine ed ormoni

il mio ventre

continua a sanguinare:

entrambi soffriamo d'anemia,

entrambi continuiamo a perdere.

 

Siamo bambini di fronte all'ignoto, con tutto quel che ciò comporta, che sia l'ancestrale paura o l'infinita meraviglia, la sottile angoscia o lo stupito amore, la comprensione di come la bellezza sappia essere ineffabile lieve crudeltà e, nel contempo, assoluta libertà dal bisogno...

 

Quel giorno

non volendomi trovare impreparata

scelsi con cura

l'abito e l'umore:

blusa blu e bianca per l'evento

un tripudio di sensi trepidanti

e la mente già pronta a ricordare.

Quel giorno

non volendomi trovare impreparata

cercai di immaginare

quel nostro primo incontro

io piccola col cuore sorridente

lui immenso ma accogliente.

Ma quel giorno

quando fui al suo cospetto

mi sorpresi del tutto impreparata

scoprendomi

nuda e disarmata

costretta

a fissare quella pelle gocciolante

a contenere l'ignoto senza fine

la sua eterna inquietudine.

E quegli orridi suoi abissi

dove tutto è tempesta e gelo e morte

ancora oggi mi reclamano.

Ma quel giorno

ero solo una bambina

e non volli sentire altro

che il rumore del mare.

 

Non è consolatoria l'arte poetica di Manuela Bonò – né lei lo vorrebbe mai – ma catartica sì. Mai algida, seppur sapiente. Istintivamente sapiente e nutrita di idee. Metafore, mente e puro amore.

 

Alberto Figliolia


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