Questo testo è stato utilizzato più volte per eventi multimediali in ricordo di Renzo Nanni (1921 – 2004). La prima volta l’evento si è svolto nell’Antico Casale di Colle Ionci a Velletri (Rm) il 1° aprile 2009, a un lustro dalla scomparsa del poeta, con più voci recitanti, il coro Nikolajewka e la proiezione di foto di repertorio e di brani del film Italiani brava gente del ‘65.
Torneranno forse...
Rinnovate carezze d'alghe,
anfratti di teneri indugi,
sabbie rifatte limpide,
miracoli di nuove vite. Svaniti
i fondali di cenere
dei troppo ingordi barconi di nafta.
Ragnatele tremule di rugiada,
intrighi d'aghi gocciolosi
nel tempo mutevole
della cerca dei funghi.
Amarsi all'alba
e tornare a dormire
sognando bambini
come grappoli d'uva.
Passi a incrinare il ghiaccio
contro questi inverni
sfiniti di scirocchi.
Le murette delle chiocciole
di fine temporale, striscianti
lente manovre d'antenne
nei giri brevi infiniti
dei miei quattro passi fuori casa.
Torneranno a rami di bosco
gli scoiattoli imbalsamati nei bar.
Le gocciolanti grigliate
e il fraterno bere al fiasco,
prima dei bicchieri di plastica.
Il senso estetico
del mangiare.
I nostri canti inascoltati,
i canti che furono bandiere.
La terra coi suoi biondi
capelli di grano, rose accese
di sangue recuperato: mai più
le schiere di fucili a mietere.
Renzo Nanni
(Da Una vita quasi un secolo, Caramanica Editore, 2003)
Le Divisioni Alpine dall’ARMIR (Armata Italiana in Russia) partirono dall’Italia nel giugno 1942, convinti tutti di essere diretti al Caucaso.
Invece superiori ordini comandarono l’interruzione del viaggio a Jsjum, sul fiume Donez, e gli Alpini dovettero, senza armi e mezzi adatti alla guerra di pianura, raggiungere con lunghe marce la linea del fronte che correva sulla riva del Don.
Combattimenti di particolare violenza si ebbero nella seconda metà di dicembre, finché il 15 gennaio 1943 iniziò la ritirata, dovuta non ad uno sfondamento frontale da parte dei russi ma ad un arretramento, forse preordinato, di reparti tedeschi e, sembra, ungheresi, ai lati estremi dello schieramento italiano.
Così si formò la “sacca” e, in essa, più sacche minori, ossia accerchiamenti rapidamente effettuati da carri armati, che bloccarono i punti di passaggio obbligato lungo le poche “piste” che si snodavano sui dossi delle colline (gli avvallamenti erano troppo colmi di neve) verso occidente.
L’accerchiamento, sconvolgendo le retrovie e i Comandi superiori, tolse possibilità di collegamento e coordinamento tra Divisioni e persino tra Battaglioni, tanto che si formarono, nel costretto ripiegamento, più colonne e diversi furono gli itinerari seguiti.
Punto di passaggio d’obbligo, sulla via di Belgorod, fu per tutti Nikolajewka, al limite della grande sacca. Qui infuriarono i maggiori combattimenti, culminati in quelli leggendari del 26 gennaio.
Fuori dalla sacca, in giorni e giorni di marce per villaggi distrutti o semivuoti, la decimazione fu compiuta dal gelo, dal sonno, dalla fame, finché al termine della prima decade di febbraio può dirsi che i superstiti, raggiungendo a Belgorod la prima ferrovia funzionante, poterono contare sulla salvezza.
Poche centinaia d’uomini di contro ai quasi centomila morti.
(Nota tratta da Minuscoli su pagina bianca, Forum/Quinta Generazione, 1982; di Renzo Nanni, fra i superstiti della leggendaria Divisione Julia, Ottavo Reggimento)
Solo dopo diversi decenni, e la pubblicazione di alcune altre raccolte poetiche, Renzo Nanni riuscirà a raccontare col poemetto “Minuscoli su pagina bianca” la tragica avventura della guerra in Russia, iniziando dalla partenza alla stazione di Udine.
Alla voce del poeta Nanni si aggiungeranno, man mano che la disperazione renderà delirante il vano girovagare nella steppa russa, le voci dei poeti del ‘900 che, per assonanza o contrasto, saranno richiamati alla mente.
“Dimensione di tempi concordi/ discordi”
sulle nevi di Russia
La partenza
…affacciati
alla carrozza quel tiepido mattino
friulano. Il giugno del via,
tutta la città assiepata a contare
“la mejo zoventù”, toccando i troppi lutti
i troppo sacri destini consumati
in troppo dolorosi mondoboia.
Ciao, pais. Addio,
strade dell’ultima notte
di sante sbornie a sparare
a gara contro i lampioni.
Incontro col padre
Cancellata natura, tutto
è punto strategico, doloranti
boscaglie devastati greti nevi
scolorate di cielo. Quel bosco
a Nikolajewka: sparavano
gli alberi all’ordine di correre
contro un centro di fuoco. Le maglie
della sacca cercavamo
– lepri braccate – lo squarcio
verso il caldo di casa.
In questo convulso confondersi
di date, di legnose cadenze trascinando
piedi secchi di gelo, perenni ciglia
serrate, in questo mio
ritornante girovagare per vaste
steppe degli anni
dubbiosi dei laceranti dolori
risolutivi, trovo memoria di te
padre che le guerre
l’hai fatte tutte – dicevamo ridendo – da quelle
garibaldine. Nitida memoria: ore tredici
del 16 gennaio, ti vidi
dopo l’interminabile notte vidi
la tua colonna d’appuntamento. Località
Marijewka sotto vasta solenne
collina ondosa.[…]
Mi attendevi sapevi della nostra
colonna tenevi in serbo l’ultima
cotoletta con patate l’ultima
mensa di fortuna. […]
…fu proprio
ai primi bocconi, la neve
della collina mosse fiamme,
ombre soverchiarono il filo
dei cieli. La Julia in sacca, forse
la fine delle glorie straccione
la serpe
d’uomini sparsa: dissolte grida dissolta
la vita da correre a perdifiato.
Ora passi maldestri ubriachi,
lontani i giorni delle
occasioni perdute a dire tanto
il tempo è tutto domani
su svelti a fare gli eroi,
la striscia d’eroi lucertola zoppa…
Nella steppa
Inseguivamo miraggi
di binari impossibili
nel vuoto fatto alle spalle
dalla fuga tedesca, prevista
ritirata strategica. Noi
a intralciare le piste a tardare
l’armata rossa noi fanti muli carri
così utili rottami a coprire
i reparti del terzo Reich. Fiutavamo
“direzione occidente”…
…Amore di vita fu
l’inedito spiarsi a file parallele
coi lupi rasente la boscaglia,
pazienti lupi accordati ai nostri
disperati viaggi alle nuove
paure: finirà come in giochi
di circo finirà con lo schiocco
di frusta fuori tempo maldestro
di un invisibile domatore.
Difficile a mani gonfie strappare
carne di mulo intascarla
dosarla masticarla tipo chewing–gum
ridere inebetiti cercando
carcasse monumentali. Più facile
finire il cavallo insonnolito
di gelo, già immobili gli occhi
acquosi di fratello d’armi, eco
di ariostesche contese reminiscenza
di banchi di scuola…
…mie
lontane memorie riaccostate
a intiepidire questo illogico inverno
questa pena di gesti impreveduti.
Amore, ancora non ipocrita menzogna
ancora fuori dai ruoli coltivati
sulla conta dei giorni di servizio ancora
la sequela dei giorni elementari:
bicicletta nuvole capelli
di ragazze ventosi, questi i desideri
evocati per reggerti in piedi quando
cadevi con tonfo di sonno…
Majakovskij
Due frasi.
Pesanti come un colpo.
“A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”.
Ma uno
come me
dove potrà ficcarsi?
Dove mi è apprestata una tana?
Saba
…un angolo
cerco nel mondo, l’oasi propizia
a detergere voi con il mio pianto
dalla menzogna che vi acceca. Insieme
delle memorie spaventose il cumulo
si scioglierebbe, come neve al sole.
Nella steppa
Chi cadeva come sorreggerlo
come leggere il nome sul piastrino
come chinarsi a rischio
di restare sul bordo della strada
straccio di mantellina cappello
col solo nome disperso? Allora
su in piedi fingendo
trapassati traguardi di ombrelloni
di prima fila, stravaccati a riva,
rovesciati nel salso, la sete di te.
Majakovskij
S’io fossi
piccolo
come il grande oceano,
sulla punta delle onde m’alzerei,
carezzerei la luna col mio flusso.
Dove trovare un’amata
che mi somigli?
Saba
La vita è così amara,
il vino è così dolce;
perché dunque non bere?
Ogni triste pensiero
tu abbia nella mente
ti si muta in letizia.
Quasimodo
Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:
povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
Nella steppa
Memorie, via. Sopraffatte dall’urlo viscerale:
il cibo il latte il tiepido
rifugio dove passare la notte.
Guai se non scorgevi quel fumo
di piccoli gruppi d’isbe.
Stanarle dagli ammassi di neve,
evocati riposi per tornare,
nell’attimo di veglia, uomini.
Saba
La stazione ricordi, a notte, piena
d’ultimi addii, di mal frenati pianti,
che la tradotta in partenza affollava?
Una trombetta giù in fondo suonava
l’avanti;
ed il tuo cuore, il tuo cuore agghiacciava.
Quasimodo
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Penna
Amavo ogni cosa nel mondo. E non avevo
che il mio bianco taccuino sotto il sole.
La morte di Mariano
Questa a te, Mariano, che non vidi morire,
Mariano invadente fratello
dei banchi di scuola compagno
a dividere insieme l’ascolto
dei nostri versi forsennati d’aria
sillabati sui fossi delle rane
nel campo di tuo padre. […]
… fosti il primo
disperso brandello di me.
Quasimodo
… a questa quiete di cieli in rovina
accade l’infanzia inesistente.
Nei moti delle solitudini stellate,
al rompere dei grani,
alla volontà delle foglie,
sarai urlo della mia sostanza.
Penna
Giunto fra un incrociar di lenti carri
stretti fra un indugiar di lenti affetti.
Sotto il cielo mirando i caldi tetti
esitavo nel sole fra i ramarri.
Montale
E tu camminante
procedi piano; ma prima
un ramo aggiungi alla fiamma
del focolare e una pigna
matura alla cesta gettata
nel canto; ne cadono a terra
le provvigioni serbate
pel viaggio finale.
I dispersi
Si chiamava Nowj–Oscol: la teoria
dei mutilati supplichevoli ai bordi
della nostra sfilata. Mollati
da un ospedale tedesco. Lasciarono
i nostri – sono gli ordini – sono
i nostri questi fanti della beffa
questi corpi di gelo dimezzati
queste secche mani nel vento
a sventolare fogli timbrati valevoli
trasferimento in altri ospedali: provate,
via libera, grattate la neve, fatevi
trascinare dai vostri, quel branco
di noi punti neri all’orizzonte.
Penna
Una cadenza insiste: quasi lento
respiro di animale, nel silenzio,
salpa la valle se la luna sale.
Altro respira qui, dolce animale
anch’egli silenzioso. Ma un tumulto
di vita in me ripete antica vita.
Più vivo di così non sarò mai.
Montale
Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
Ungaretti
Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire, se sperate di non perire.
Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore/ del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.
I dispersi
…Svanivano
i punti neri con brevi
brusii, qualche nota di appelli
inutili, a volte qualche
frase di canto deformata
su strofe da osteria (le gioiose
taverne affumicate di sigari
e grappa, tra i monti di casa:
Tolmezzo Tarcento e tu
la più distrutta, Gemona dei sempre
terremotati.
Cantava
un vecchio ragazzo, sulla neve così
uguale e lontana:
“Motorizzati/ a piè – la plume sul ciapel –
gli zaini sfracellati – l’alpin
l’è sempre quel”.
Montale
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Ungaretti
Una donna s’alza e canta
la segue il vento e l’incanta
e sulla terra la stende
e il sogno vero la prende.
Questa terra è nuda
questa donna è druda
questo vento è forte
questo sogno è morte.
Hikmet
E nevica.
E forse
I tuoi piedi nudi gelano.
Nevica…
Ed ecco
in quest’istante
che io penso a te con tutto il mio cuore,
forse
una pallottola spezzerà la tua vita
e per te non ci sarà più
neve
né vento
né notte
né giorno…
Márusa
Rivedo Márusa, la maestrina
bionda di Popowka, le nostre
divertite prove di parole, il libro
dove tra storie di feudali soprusi
mostravi soddisfatta lo storico
legame tra noi, la figura
veneranda di Garibaldi ritratto
come santo da icona.
…Rabbiose
memorie: ora so di certo quanto
risolutivi quanto valorosi
quegli strazi di carne rivelata
quanti solchi segnaste per i passi
futuri quando a ritmo cosacco
sarete voi, alpini di Boves,
a intonare “fischia il vento”, nell’impeto
di scarpe rotte a ricominciare la storia.
Ungaretti
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto attaccato
alla vita.
Hikmet
Tra noi due, fratello,
ci sono i mari e i monti,
e le mie maledette catene,
e le prescrizioni
del comitato di non intervento…
Non posso venire da te,
non posso mandarti di qui
né una cassa di cartucce
Né uova
né un paio di calze di lana…
Elsa Morante
I mandolini
saranno massacrati nel grand–guignol fanciullesco
delle rivoluzioni, delle erbe assassine e delle fami,
quando una mezzanotte, fra bestemmie adoranti,
la stella in forma d’aquilone si staccherà
dal carro di Boote.
O adolescenti, buffoni di Dio!
La scelta alpina
… Amici addio,
fratelli degli ultimi
mesi di interrogative scoperte, voi
boscaioli saltuari minatori snidati
dai confini di casa, fortunati incontri
della mia scelta alpina quando
recluta stordita di campeggi
piombai dalle piazze variopinte
delle parate (nientemeno
dalla Capitale – liceo classico – romanità
nel fondo della valle dove scritte
alterate ironizzavano “ch’a cousta
lon ch’a cousta via da l’Aousta…”
Hikmet
È notte.
Nevica.
Davanti a te hai l’armata dei nemici,
che è venuta per uccidere
tutto ciò che c’è di più bello:
la libertà,
il sogno,
la speranza
e i ragazzi. E nevica.
Pavese
Uno crede che dopo rinasca la vita,
che il respiro si calmi, che ritorni l’inverno
con l’odore del vino nella calda osteria,
e il buon fuoco, la stalla, e le cene. Uno crede,
fin che è dentro uno crede.
Elsa Morante
E le frutta raccolte dalle nuvole esperidi
saranno bevute sulla terrazza nella vicinanza della sera
quando la pace d’esser nati si celebra
come dopo una vittoria.
La scelta alpina
… Perdono
per gli alalà, fratelli sterminati
quei giorni sotto zero, i giorni
delle follie. Pazzo perfino
il cappellano militare dell’ “adeste
fideles” uscito di fila
occhi vuoti alla cerca
di chissà che orizzonti trasognati, tuffato
nel suo mare di tacite
indecifrate visioni…
Luzi
Io sono qui, persona in una stanza,
uomo nel fondo di una casa, ascolto
lo stridere che fa la fiamma, il cuore
che accelera i suoi moti, siedo, attendo.
Tu dove sei? sparita anche la traccia…
Garcia Lorca
Sbagliar strada
è arrivare alla neve
è arrivare alla neve
è pascolare per venti secoli le erbe dei cimiteri.
Montale
Ora sia il tuo passo
più cauto. A un tiro di sasso
di qui ti si prepara
una più rara scena.
Sotto i colpi della katiuscia
Altri solchi, vangate d’odio
aprì “Katiuscia” – dolce nome – la grigia
katiuscia mortaio a trentasei colpi.
Nikolajewka lamento presente,
Nikolajewka delle cacce tra l’isbe,
del rimpiattino equivoco, di te
Rigoni Stern – peccato che allora
non ti vidi, questione d’ore, non seppi
quel sapore di zuppa consumata
tra amici–nemici, la donna
tacita nel rito di pace.
Pavese
...nella nebbia d’inverno
l’uomo vive tra muri di strade, bevendo
acqua fredda e mordendo un pezzo di pane.
Garcia Lorca
Ma se la neve sbaglia cuore
può venire il vento ostro
e poiché il vento non bada ai gemiti
dovremo pascolare ancora le erbe dei cimiteri.
Campana
Trovo l’erba: mi ci stendo
a conciarmi come un cane:
da lontano un ubriaco
canta amore alle persiane.
La pagina bianca
Automezzo sventrato: corre l’occhio
al grigio oggetto imprevisto,
fantastico incontro, emozione di vecchi
progetti coltivati ragazzo al lume
di fortuiti tavoli di studio. “Adler”,
magica etichetta, proprio lei
tra le marche insperate, una
macchina da scrivere, solida
fabbricazione tedesca. Due ore
ansimammo a turno con mio padre
trascinando per scivoli di neve
lo scrigno di parole inespresse, l’attesa
di me votato a battere pagine
di tracce durature…
Garcia Lorca
Vogare, vogare, vogare, vogare
verso il battaglione di punte disuguali
verso un paesaggio di agguati polverizzati.
Sibilla Aleramo
Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con lo stesso ritmo andavamo,
liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Neruda
E io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso, ruotai insieme alle stelle,
il mio cuore si distese nel vento.
La pagina bianca
… E scrivi,
dunque, batti ora l’ascolto delle grida
che spuntano sul bianco come fiamme
di parole che contano, lascia
che parli questa pagina bianca,
questa terra incontrata sulla mia
guerra ventenne, d’ora in poi
la più ardua proposta, il coraggio
di soffrire parole semplici.
Neruda
Io non sapevo che cosa dire, la mia bocca
non sapeva
chiamare per nome,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa pulsava nella mia anima,
febbre o ali perdute…
E. F. Accrocca
…quando il suono
delle parole avrà il significato reale
delle cose…
bruceranno le caserme dell’anima.
…Quel giorno cresceranno ragnatele
dentro le canne dei fucili.
Emily Dickinson
E’ poca cosa il pianto,
sono brevi i sospiri:
pure, per fatti di questa misura
uomini e donne muoiono!
Conclusione provvisoria
… Dovevo
scrivere lo vedete dovevo finire
di colmare di me quella pagina bianca
lontana pagina, recuperare
canzoni, rabbia d’amore, attese
d’altri approdi nel tempo
fatto allora spazioso, tutto il mondo
da dire, con tutte
le mie memorie tornate a esplodere.
––––––––––––––––––––––––––
Presto ci desteremo
Presto ci desteremo
coi morti sulle labbra
divenuti canzoni, in un sole
che spianerà le borgate
di baracche e le memorie
logore come vecchie tute operaie.
Renzo Nanni
(da L’avvenire non è la guerra, Il Canzoniere, 1952)
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