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“Donne in manicomio” – 1. La cosa fissa che mi sta sempre in mente
07 Luglio 2011
 

Cara Rina

ho ricevuto gli abiti che mi mandasti. Non mi piacquero niente affatto. Come mai vuoi che io possa mettere simili abiti? Non lo sai che sono vecchia e che certe cose non mi stanno più bene? Dunque per prima cosa vorrei vedere il papà e poi che mi decideste ad andare via di qui, perché non mi sento amata e mi pare che anche nel caso che dovessi morire, morirei sempre meglio vicino a voi. Non oso domandarvi di papà, perché certo temo lo disturberei troppo e non mi vedrebbe volentieri con i miei occhi spalancati e fissi, che son buona da far niente, peggio di quando ero a casa. Una cosa fissa mi sta sempre in mente scappare e poi scappare. Aiutami tu, tutti e vi benedirò fino all’ultima ora. Mi amate ancora spero di sì. Io vi amo malgrado dei vostri piccoli difetti e mi sembra di ritornare in questo momento una cara mammina.

Ernesta Faccio

 

La lettera di Ernesta Cottino Faccio, madre di Rina, in arte Sibilla Aleramo, è senza data e seguita da una nota dei sanitari: «Per la completa volubilità la signora Ernesta descrive stamani brutti gli abiti che ieri le parevano belli».

 

«Dalle lettere di Ernesta Cottino Faccio emergono disagio e sofferenza. Il rifiuto iniziale nei confronti del ricovero e il successivo adattamento all’ambiente di cui parla ripetutamente sembra più il risultato dell’avvenuta manicomializzazione che di un ritrovato “equilibrio”. Spingersi oltre non è facile». (Sebastiano Franco Veroli).

 

 

[Estratto da: Sebastiano Franco Veroli, Donne in manicomio. Le ricoverate a S. Croce nel decennio 1890-1900 – “Il caso di Ernesta Cottino Faccio”, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea “M. Morbiducci”, Macerata 1998

 

Scelta dei testi di Patrizia Garofalo ed Elisabetta Andreoli

Fotografia di Elisabetta Andreoli]


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