Penso che prima di capire il concetto delle mie opere, si abbia una reazione emotiva ad esse.
Per me è questa la giusta risposta all’arte.
Deve emozionarti in un certo modo.
(Marina Abramović)
Lo spazio è decisamente attrezzato e spettacolare nella sua commistione di archeologia industriale e idee di apertura a manifestazioni ed esposizioni artistiche. gres art 671 il suo nome, un nuovo polo culturale e per l’arte contemporanea a Bergamo... “mostre ed eventi, installazioni e workshop. Per una nuova visione dell’interazione tra arte e città, a favore di una cultura di comunità”.
Perciò è una scelta oltremodo indovinata che siano la figura e le invenzioni-installazioni-performances-opere di Marina Abramović a inaugurare gres art 671. L’itinerario consta di lavori storici dell’artista belgradese chiudendosi con il suo ultimo film operistico, Seven Deaths, un autentico capolavoro per l’immaginativa e la fusione dei più disparati elementi, fra pittura, scenografie, musica, presenza attoriale, concettualità, visioni.
“Seven Deaths è un’esperienza cinematografica immersiva che esplora sette morti premature che Marina Abramović subisce sullo schermo, accompagnate dagli assoli di Maria Callas”, che la Abramović ha sempre amato sin dal primo incontro con la voce della divina cantante lirica statunitense-ellenica: Non capivo le parole – erano in italiano – ricordo che mi alzai in piedi, sentendo della scariche elettriche attraversare il mio corpo, e con questa incredibile sensazione di emozioni che mi attraversavano. Ho iniziato a piangere in modo incontrollabile, ed è stata un’emozione così potente che non l’ho mai dimenticata. Invero non si tratta di un mero omaggio in questo questi sette “spezzoni”, ciascuno compiuto e autoconclusivo, sono una riflessione estetica ed esistenziale, sino alle estreme conseguenze, che riguardino l’individuo o il genere umano. Marina Abramović, come sempre non si risparmia. Non risparmia il proprio corpo (qui è affiancata da uno splendido sofferente intensissimo Willem Dafoe) che sia in stanze metafisiche o ai confini fra vita e morte o in un panorama apocalittico o nell’indagine sul concetto di identità, sul conflitto fra l’interiore e l’apparenza, sul doppio.
Seven Deaths è alla fine del percorso. Prima di arrivarvi il visitatore deve passare attraverso le altre “prove fisiche e psicologiche estreme”, di cui Marina è protagonista: e non da sola, ma con il pubblico, in un’interazione visiva e, per l’appunto, fisica. Come in Lips of Thomas, in cui “il suo corpo si trasforma in oggetto dell’atto artistico, sottoponendosi a un dolore fisico interrotto dall’intervento del pubblico presente […] L’arte di Marina Abramović non è solo un riflesso delle sue lotte interiori, ma un impegno diretto e viscerale con il mondo che la circonda, che fa emergere tematiche quali la vulnerabilità, la resistenza e la condizione umana”.
Non è facile approcciarsi all’arte della Abramović, tanto forte, sovente ai limiti: scuote, anche brutalmente; costringe a pensare. La mostra si suddivide in quattro “capitoli”: The Breath-Il respiro, The Body-Il corpo, The Other-L’Altro e The Death-La morte, quasi un percorso iniziatico per una catarsi finale. Il concettuale, l’intento “ideologico”, convive, nell’arte di Marina, con una sorta di elevatissimo “sciamanesimo” spirituale, in una ricerca che va oltre il comune senso (anche del pudore, in senso lato), oltre le catene del pregiudizio e della superficialità. In una connessione con la Natura e i suoi più intimi segreti.
Quaderno di dolore e sangue. Meditazione sul tema della violenza che (s)popola l’anima e il mondo. Spirit House-Dissolution (1997) “cattura la natura effimera del corpo e i processi di decadimento e trasformazione, invitando così il pubblico a riflettere sulla transitorietà dell’esistenza fisica e sulla misura spirituale della dissoluzione”.
Scomoda, urticante, cruda, e invasa di purezza al tempo stesso, è l’opera-soma di Marina Abramović. Tornando a Lips of Thomas (1975-1993)... “La performance prevedeva una serie di azioni intense e rituali che includevano il consumo di miele e vino, la rottura di un bicchiere, la fustigazione di sé stessa, l’incisione di un pentagramma sul ventre e il distendersi su una croce di blocchi di ghiaccio con una stufa puntata sullo stomaco. Dopo 30 minuti sul ghiaccio parte del pubblico, incapace di sopportare l’evolversi della situazione, decise di intervenire e metterla in salvo”.
E ancora: il pettinarsi aggressivo di Art Must Be Beautiful (1975), in cui angoscia e dolore si mescolano indissolubilmente con la ricerca della bellezza nell’arte; il modello scala 1 a 10 di House wiith Ocean View, riproduzione in miniatura dell’ambiente in cui l’artista digiunò per ben dodici giorni di fila abitando tre stanze dentro una galleria: stanze non invisibili al pubblico, ma nel contempo totalmente isolate, quindi con l’impossibilità di qualsivoglia comunicazione/interazione; Imponderabilia (1977-2017), dal geniale presupposto, in cui Marina e il suo compagno Ulay “si trovavano in piedi e nudi l’uno di fronte all’altra, costringendo i visitatori a infilarsi nello stretto spazio tra di loro per poter accedere alla mostra, entrando così inevitabilmente in contatto fisico con i loro corpi”.
In sostanza il pubblico è parte integrante dell’opera, sviscerando tutte le dinamiche psichiche che si possono generare con l’altro: comprensione o conflitto, disagio o appartenenza, ma sempre, in ogni caso, nell’essere con. Dal Sonetto 18 di Shakespeare: finché ci sarà un respiro od occhi per vedere,/ questi versi avranno luce e ti daranno vita.
Un’esperienza indimenticabile è poi quella di Seven Deaths (sette cortometraggi di sette minuti l’uno in riproduzione continua): un trionfo emozionale, fra dramma/tragedia/morte e, grazie all’arte, resurrezione. Fuori dalle pareti nere del cinema sei rilievi in alabastro e una foto rispecchiano e anticipano le situazioni delle proiezioni (ciascuna accompagnata, come detto, da un assolo della Callas).
Una mostra che non si spiega, ma si dispiega potente, penetrando ogni fibra, sollecitando moti dell’anima e ricreando vibrazioni emotive dimenticate, castrate dalla burocrazia dell’esistere che spesso ci è imposta. Per rivivere sempre.
Alberto Figliolia
Marina Abramović, between breath and fire. Fino al 16 febbraio 2025. Mostra e testi a cura di Karol Winiarczyk. gres art 671, via San Bernardino 141, Bergamo.
Orari: da mercoledì a domenica 10-20 (ultimo ingresso 19:30).
Info: https://gresart671.org/it.
Biglietti: intero 13 euro, ridotto 10 euro (no pagamento in contanti).