Lo scaffale di Tellus
Maeba Sciutti: Un'altra lettura de “Le api migratori” di Andrea Raos
11 Novembre 2009
 

Le api migratori è un viaggio artistico che esce dalle pagine del foglio entro cui la scrittura rimane usualmente confinata. Andrea Raos (foto) struttura l'opera in modo coeso, inseguendo un percorso immaginario e possibile, costruisce un libro complesso in cui si intrecciano diversi elementi e svariate intenzioni. L'elemento immediatamente tangibile è quello di un percorso, il percorso è quello effettivo, il movimento di uno sciame che viene reso sul foglio dall'inserimento di elementi spaziali. Raos usa l'interpunzione e lo spazio per rendere al lettore l'immagine dello spostamento. La poesia proposta in questo testo non è solo un'esperienza visiva ma, prima ancora, è una forma sensoriale. L'autore allerta i sensi del lettore sia attraverso l'inserimento di immagini sia attraverso la formazione di suoni (che trema, questa rena; non si ferma, non frena; - come faglia/ come cielo/ come abbaglia -/ sciame. però staglia/ lame/ questo vento, e taglia; Sciame nello sciame/ ti, contorco come carne, come scarna, sciame; particella, piena/tra particola e particola, da parte a parte, vena; E' soli al mondo chiedere, o chiedete,/e a quello che vi dico, non credete./E' soli al mondo credere,/e a chi non crede, a chi, chi chiedere.) e rende effettiva la possibilità della parola di estendersi oltre i limiti del substrato che la ospita.

L'estraniazione del poeta, che si fa portavoce di un evento, è solo apparente. Quello che viene raccontato da Andrea Raos è un fatto di cronaca ma, in modo del tutto inusuale, il poeta non osserva gli eventi con distacco fotografico, non intende fermare una realtà che lo esclude come potrebbe far pensare l'uso metaforico dello sciame. L'intento realistico si ferma alla quarta di copertina dove viene enunciato il fatto a cui si attiene, con encomiabile coerenza, tutta l'opera: nel 1956 un gruppo di ricercatori brasiliani importò dall'Amazzonia delle api per incrociarle alle innocue api produttrici di miele. In seguito a una serie di mutazioni nacque una razza particolarmente aggressiva che risalì il Messico e raggiunse la California. All'inizio degli anni Ottanta la paura degli scienziati era che queste api generassero il panico mentre si spostavano lungo il continente americano.

Ma la necessità realistica abbandona ogni pretesa oggettiva nel momento in cui, fin dai primi versi, la voce del poeta aderisce a quella dello sciame migrante. L'esito è l'atto creativo possibile solo quando la visione artistica si fonde, trasfigura e anima l'oggetto che vuole raccontare. L'intimità apparentemente preclusa è, in realtà, intensa, dolorosa, talvolta straziante:


non amarmi, mondo, non mi chiedere

di ricominciare, con te, a vivere -

non prendermi per mano, nel mio vuoto

anaerobico, anaffettivo non c'è spazio

per altri che per questo stare – eppure, manca quanto, quanto manca

il giorno tiepido, tua notte, tuo frusciare

meraviglie, sussurrati

inviti... ”


Vento carezzare sciame è male, è ciò che fa, male,

essere, vento non aiuta. Aria non decide. Non dice.

E' come quando non si vede nulla, fuori, di questo male che nemmeno

in te tu vedi. Eppure senti.

Strazia contrariato il mio soffiare e non posarmi.

Accarezzare, aria.


Ci sono abituato, credimi,

a questo male che non vedi dentro,

che ti insegue mentre soffi, quando volo.

Dove soffio.

Perché voli ”


Libero alle ombre oscuro vado,

ombra anch'esso, io,

la palpebra tagliata che mi tiene,

e trattiene, di strada fradicia,

asfalto che non c'era, ricoprono

non vedo. Stanza fradicia,

che piena, ne smottano carte,

e paralisi. ”



ODIUM FUTURI


Odio il futuro, sì, tutto me stesso,

questo luogo di vincoli e catene

che è lo stare al vivere, di dire.


Odio la pace che ne tengo

e la stretta alle membra.

Cadi a me, non chiedi, vita, ottieni.


Questi


pieni

vuoti

empi

.



Le api migratori è frutto della rara unione di una profonda cultura poetica con una notevole capacità percettiva. Nessuna parola è casuale, ognuna è funzionale a più scopi, primi fra tutti il suono, il movimento, il senso. Raos non si lascia mai dominare dall'emotività, la modula dentro delle forme metriche rigorose e verso timbri ritmici ponderati, dando luce a un mondo poetico che difficilmente trova dei termini di riferimento. Lo spazio lasciato al caso è nullo, l'esondazione è un ossimoro dominato dalle esigenze formali. Il compimento è un'opera talmente ricca di punti di vista e di elementi costitutivi da non poter essere presa alla leggera. Le api migratori diventa un punto di riferimento per la poesia contemporanea quando questa vuole andare oltre lo sfogo privato, fondamentale per conoscere un modo nuovo di fare poesia in cui il lavoro formale, gli elementi di congiunzione e mescolanza con la musica e l'arte figurativa premettono la possibilità di un'arte globale.

 

Maeba Sciutti

 

 

 

Andrea Raos

Le api migratori

Oèdipus, 2007, pagg. 135, € 7,50


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