Ritratti
Attilio Ferraris IV, il leone di Highbury
23 Ottobre 2009
 

Il Biondino di Borgo Pio, un nomignolo gentile. Ma forse lui preferiva... Il leone di Highbury, soprannome affibbiatogli dopo la celeberrima e furibonda partita del 14 novembre 1934 disputata dall'Italia nello stadio dell'Arsenal contro i bianchi di quella che il regime definiva la Perfida Albione. Nelle brume londinesi Attilio Ferraris, noto altresì come Ferraris IV, accanito fumatore e laterale di ferro, incallito giocatore di carte e agonista superbo, sfrenato donnaiolo e freschissimo campione del mondo, nonché spirito di squadra indomito, si rimboccò le maniche dopo lo 0-3 del 12' e trascinò, con il portiere Ceresoli che parò un rigore e Peppino Meazza che segnò due gol nella ripresa, a un 2-3, una semivittoria soprattutto dal punto di vista morale, che venne allora dipinto dei colori della leggenda.

Ferraris IV, Il leone di Highbury... «fu un personaggio singolare, forse il più singolare stravagante e mirabile esemplare di calciatore che l'Italia abbia mai avuto. Se il nostro football avesse un Hemingway, non sapremmo raccomandargli protagonista più affascinante. Era ardente, impetuoso sul campo quanto scanzonato e anarchico nella vita. Insofferente di ogni disciplina atletica, disposto ai sacrifici più rigidi e alle orge più sfrenate, perfino nelle ore della vigilia, attaccato con eroico furore ai colori sociali e nazionali, finì la sua vita splendidamente come l'aveva vissuta, senza avarizia né risparmio. Aveva già cessato la carriera di calciatore e viveva di curiosi espedienti (fu tra l'altro croupier in un casinò alla moda), quando volle partecipare a una partita tra “vecchie glorie”, come Caligaris. Ed esattamente come lui, fu schiantato di colpo da un aneurisma». Un ritratto, come sempre, perfetto by Antonio Ghirelli.

Attilio Ferraris era un uomo del popolo – il padre gestiva un negozio dove si dedicava a riparare bambole –, un personaggio che non sarebbe affatto dispiaciuto al cantore della romanità Giuseppe Gioacchino Belli. E un sonetto perfetto e feroce fu la gara romana del 15 marzo 1931 allorché la squadra capitolina, che desiderava entrare nel novero delle grandi, subissò con cinque clamorosi sigilli a zero la Juventus di Combi e Raimundo Orsi, quella che avrebbe dominato il quinquennio. Ferraris IV mise quel giorno in campo un furore gladiatorio – gli avversari in rotta, lui sulla giusta rotta – che con la classe, lo stile e l'eleganza di Fulvio Bernardini, autore di due reti (una su rigore), annichilì il povero Mumo, il quale non riuscì quel giorno a suonare il violino delle sue sublimi giocate. Anzi, Orsi si lamentò del trattamento ricevuto dal laterale romano. Da quella partita – le altre marcature furono di Lombardo, Rodolfo Sigghefrido Volk e Fasanelli – scaturì anche un film. Inutilmente in passato Ferraris IV era stato concupito dalla Juve. Lui rifiutò di andare nella città del Po pensando che avrebbe giocato in una grande squadra sulle rive del Tevere antico.

Davvero in campo i 170 cm x 70 kg di Ferraris IV, cuore di Roma (era anche amico di Renato Rascel), mettevano paura e davano la svolta alle partite. Ben lo sapeva il commissario tecnico (o unico) azzurro Vittorio Pozzo che si avvalse più che spesso delle prestazioni del suo gladiatore. Dopo l'esordio datato 9 maggio 1926 (3-2 a Genova contro i rossocrociati elvetici) e dopo il bronzo olimpico di Amsterdam '28, Pozzo lo recuperò in extremis, dopo quasi due anni di assenza dai ranghi, per i vittoriosi Mondiali '34. Entrato nella ripetizione dei quarti di finale Italia-Spagna (1-0), Attilio consegnò la sua foga anche ai 90' di Italia-Austria (1-0) e una splendida vis pugnandi alla finale Italia-Cecoslovacchia (2-1). Campione del mondo! E subito dopo Highbury... 28 in totale le maglie azzurre di Ferraris IV, nato a Roma il 26 marzo 1904 e morto a Montecatini Terme l'8 maggio 1947 durante una partita fra vecchie glorie. Attilio fu sepolto al Cimitero del Verano, a Roma, e Fulvio Bernardini, giocatore da lui così diverso ma complementare (i due erano grandi amici), colui che lo aveva sostituito come capitano dei giallorossi, lesse nella dolorosa circostanza un commosso necrologio.

Si concludeva così l'avventura umana e calcistica di uno assolutamente fuori dalle righe e dal coro, ma, con la sua generosità, attaccatissimo alla squadra. Laterale, terzino o anche centromediano prima nella Fortitudo (61 presenze e 3 gol), una delle antenate della futura Roma, al Quartiere Prati, campo dell'Istituto Pio X, vicino a Castel Sant'Angelo, quindi nella Roma (210 partite e 3 gol), nella Lazio (39 gettoni) – un trasferimento non molto gradito dai suoi vecchi tifosi –, nel Bari (54) e nel Catania (15 in serie B).

Per la verità Ferraris IV giocò sino ai quarant'anni e avrebbe giocato ancora se un giorno il carattere e l'immenso temperamento non l'avessero tradito: picchiò un arbitro e fu squalificato a vita. Tre anni dopo la morte, come forse lui stesso l'avrebbe voluta e sognata. Su un campo di calcio dove la sua natura generosa, verso i compagni, e leale, verso chiunque, si spiegava liberamente, senza mai cedimenti di sorta.


Alberto Figliolia


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