È arrivata l’estate.
Dopo la voce di Liliana Zinetti, chiudiamo la sessione accompagnati dalle parole di Anila Resuli, poeta italo-albanese che con noi resterà sino a Settembre. Cercando l’oro va infatti in vacanza ma consiglia –ovunque voi siate– di avere buona compagnia: libri (qualunque essi siano) e perché no? anche poesia e meglio ancora, tutto Tellusfolio (poesia compresa) disponibile qui: http://labos.valtellina.net/tellus/29.html
Ancora una volta e come anche accadrà nelle puntate a venire, lo spazio è per la sola voce dell’autore, autore a nudo e senza la mediazione della domanda, autore lanciato nel vuoto e che arriva a noi per mezzo di una autopresentazione, cui seguirà una scelta di testi e solo in ultimo una breve nota bio-bibliografia.
AUTOPRESENTAZIONE in forma di dialogo di Anila Resuli
“Se mi chiedono cosa scrivi?, rispondo senza esitare la stessa poesia continuamente.
Il mio percorso con la poesia ha radici nella mia infanzia.
Allora non era un percorso vero e proprio quanto un desiderio di sfuggire a quella opprimente idea di bambina senza un vero e proprio mondo. La mia curiosità verso la scrittura prese piede soprattutto dopo che mio padre scoprì dei miei scritti all’età di 12-13 anni –credo- dicendomi che se avessi continuato a scrivere, avrebbe fatto tutto per me. Quelle parole al tempo non ebbero altro significato che l’importanza di essere un passo più vicina a mio padre.
Il cambiare paese e quindi cambiare lingua d’uso ha influenzato molto le mie ricerche e ha capovolto i miei punti di riferimento a livello artistico. Nel mio paese d’origine non avevo punti di riferimento fissi e determinati e questo anche per l’età, non certo matura.
Il cambiamento ha dato un’impronta molto importante alle mie letture, concentrando il mio sguardo su diverse letterature straniere: da quella inglese a quella americana, da quella tedesca a quella francese, oltre a quella italiana che decisamente ha influenzato il mio iter.
La mia poca conoscenza della lingua italiana però, inizialmente mi ha dato una spinta in più verso l’approfondimento: il desiderio di rendere nello studio del latino ha fatto si che il mio lessico italiano si arricchisse sempre più.
Tendenzialmente le mie ricerche e le mie letture dovevano portarmi verso una scrittura espressionistica e alquanto minimalista. Non sempre questo combaciava però con lo studio della lingua. Lo studio della poesia ermetica soprattutto, non presentava nella scrittura i risultati sperati.
Il percorso nel quale che ancora oggi persevero e cerco di mantenere è quello dell’ermetismo curato nei dettagli; è la parola del quadro minimalista che in quel poco che esprime è di assoluta importanza.
In questo quadro poche sono le voci e spesso il dualismo “uomo-donna” prende forma nell’unica immagine riconoscibile per tali soggetti: l’amore, carnale o spirituale.
Di certo i miei studi di orientalistica e cultura orientale, dove la donna e l’uomo hanno delle accezioni diverse, hanno influito moltissimo con la mia visione di poesia del dettaglio: hanno reso il quadro “uomo-donna” una più fine rappresentazione dell’ ”amore piaga”, amore carnale e viscerale ma pur sempre portatore di sofferenza.
Mi trovo quindi spesso a riprodurre lo stesso quadro, con le stesse ombre, sotto gli stessi ventagli; una coerenza quasi disarmante di immagini che prende forma solo nel fiato e nelle parole cantate ad alta voce.
La lettura sicuramente aiuta a capirne i suoni e la percezione di un mondo che ha inizio e fine negli stessi dettagli di sempre.
Poesie
e dimmi come fai a piangere, ché non so come:
una volta ero altra e ora, qui, sono pietra
rotta a metà, aspettando il mare
sorprendi per come la palpebra inganna
ciò che di te assesta il giorno sopra la mia ombra:
tutto ha volto qui e tutto ha bocca. masticare –
a granelli appena – l’anima, è darle un nome nuovo
e corpo altro; forse nuovi sappiamo dove arrivano
gli occhi, il colore delle bocche, la pelle smistata
al sole, le case che una nell’altra prendono forma
in noi, le nostri mani silenziose; le pietre guardano
e io so nulla di te. distacco solo un ciglio dal battito
per rendere viva la ragione.
*
la frontiera qui è un calco, un sordo
silenzio volto e rivolto, come un origami
dipinto sulla sedia: lì s’appoggia il tuo profumo,
la tua sorpresa di prendere forma ogni dove
v’è luce. attesa è pure il tuo occhio alla parete
e il tuo dire il vivere contro tempo (contro spazio)
ha cosi tanta dimora in me, che mi manco.
*
non lasciarmi qui da amante, ma da carne
silenziosamente appesa per essere presa
e tormentata: il gioco sta nel sacrificio; il sordo
della parola non nega la sillaba, la conca parete
che dà al suono e l’ordine delle corde che muta.
la stanza dimentica forse dove fossimo
un’anca e un uscio chiuso, una parete
circolare sulle teste pietrificate al buio.
*
per aver riavvolto la nostra distanza negli occhi ,
ricordami perché il braccio si fa corto e si sbuccia
la mano, unghia per unghia, dieci volte quanto le teste
tormentate nel mio grembo; rispondi, come la lente leviga
lo sguardo e poi lo piega. la pupilla, una volta sola,
rammenta il tuo fiato sorpreso al seno e il tuo bacio,
dente accostato al collo – si consuma – si trascina nel sonno.
*
il sesso mi si addice ad ore alterne
con la sigaretta a marcare le mie rughe,
l’odore delle cosce immerso nei tuoi occhi.
così è la fame
e ce n’è tanta.
tanto come il buio che in questa stanza
porta quiete, ma mai dimora.
*
questo è il mondo,
una pellicola lunga un dito
con i tuoi occhi spessi intorno
tanto
tanto da non averne mai abbastanza;
riconosco qui la mia fine - in lunghe
e strette pareti la mia prigione
ha corde dove legare il collo
e l’inguine così asciutto da far male
sorprende ancora col saper
tormentarsi di ogni pianto.
*
mi sposo con l’abito rosso
lungo fino a strozzare le caviglie piene di nodi;
per saldare la mia fede e farne un corpo nuovo
come fossi altra io sopra quelle scale a salire
che curvano il dorso per farmi cadere.
rimarrò lì, da sempre già moglie,
a strappare il velo al vento
perché tu possa guardare.
*
la tua terra
racconti ‘è grande’,
una giornata tutta volta a reggere
quanto abbia di te quel luogo.
ed è piccola spesso
la tua mano
quando disteso il tuo pensiero
mi inghiotte lontano
a non finire.
*
mi neghi e io addosso tengo cuciti mille risvegli;
come nodi di corde tutte in fila, gli anelli
sulla mia schiena restano stretti, stretti
agli occhi della mia carne. avessi tempo
come fummo piccoli in altre dimore, tempo
curvo nelle stesse ore, domani sarei qui
un giardino ubriaco di magnolia, un corpo cortese
e gigante, con la ruga sul volto, che t’implora.
*
e un bacio ancora
uno stampo aggiunto all'anima:
ti porto oltre gli occhi
l'orbita distanzia e trascina
dove non vi sono vie d'uscita
se non il confine della palpebra
staccata appena dal sonno.
Anila Resuli nata in Albania nel 1981, trasferitasi in Italia nel ‘97, scrive poesie fin dai tempi dell’infanzia. Attualmente vive con il marito in provincia di Milano, dove continua gli studi di Mediazione Linguistica e Culturale, dedicandosi alla lingua cinese e alla lingua giapponese.
In ambito poetico collabora con Roberto Ceccarini sul progetto lettura di Oboe Sommerso leggendo diversi testi poetici di autori contemporanei editi e non; con Antonio Diavoli per una possibile raccolta a quattro mani e altro in ambito di audiopoesia; con Stefano Guglielmin sul sito Blanc de ta nuque per la rubrica e le traduzioni di poesia albanese contemporanea.
È citata da Maurizio Cucchi sulla rivista “Specchio” inserto de La stampa ed è presente con una ampia selezione di poesie sulla rivista Le voci della Luna marzo 2007 e una ampia selezione appare nell’antologia Nella borsa del viandante (con nota critica di Chiara De Luca, Fara Editore, 2009).
Nel 2009 fonda la casa editrice Clepsydra (e-book di poesia e fotografia, senza scopo di lucro).