Diario di bordo
Vittorio Giorgini. Catastrofi Naturali
18 Maggio 2009
 

Il nostro pianeta è un organismo che vive secondo regole che lo hanno accompagnato nello scandirne tempi e modi. Con lo svilupparsi delle tecniche e dei conseguenti comportamenti le genti si sono sempre più allontanate dalla natura, organizzandosi vite artificiali, ed anzi in molti casi con questa contrastanti. Quelle che noi chiamiamo catastrofi sembrano tali perché le genti ne sono colpite. Un'alluvione distrugge ed uccide, una eruzione brucia, soffoca e ricopre, un maremoto ed un terremoto affogano, sconquassano e distruggono.

Da tali eventi le genti si ritengono danneggiate e li demonizzano come colpevoli e responsabili delle perdite e delle pene da questi provocate, anche in seguito alla nostra abitudine a voler trovare per forza un capro espiatorio. Ciò affonda le radici in quei tempi arcaici nei quali tali catastrofi erano attribuite a potenze demoniache (i demoni erano stati confinati sotto terra), mentre quelle che stavano sopra punivano i peccati dell’umanità. Perciò la superstizione intendeva tali avvenimenti o come punizione o come vendetta. Forse, se fossimo saggi come dovremmo essere, rispetteremmo tali eventi come comportamenti logici, come in effetti sono, simile al respirare di un organismo o al suo digerire e come il rinnovarsi delle cellule.

Noi siamo parte di queste cellule e dovremmo accettare e capire questi fenomeni e le loro conseguenze, rendendoci conto che molti aspetti di tali danni sono prodotti dal nostro stesso comportamento e dalla mancanza di rispetto che abbiamo del pianeta che ci nutre. Le nostre egoistiche avidità e spesso il nostro fare presuntuoso, possono produrre effetti nocivi per i quali possiamo solamente biasimare noi stessi. Nelle nostre attività ciò che conta è il beneficio personale del quale ignoriamo i danni che si produrranno. È qui necessario ricordare che col nostro fare abilis per averne maggiori vantaggi ci siamo inventati l’economia dell’espansione; quante più persone quanto più potere. Vincono gli eserciti più numerosi, vincono le industrie, vincono le multinazionali, le religioni che hanno più clienti, ma dimentichiamo che da quello che è stato chiamato mondo o regno minerale, vegetale, e di tutte le specie viventi esistono ferree leggi che si chiamano territoriali. Quando il numero degli individui di una specie, supera i limiti di sostenibilità del territorio sul quale si trovano, o migrano o sciamano in cerca di un territorio adatto a sostenerli, o si estinguono. Con le tecniche che ci siamo inventati siamo oggi nella condizione che estinguersi sia il pianeta. Se uno tsunami si abbatte su un territorio più cose vi trova e più ne distrugge, è logico che un terremoto a San Francisco produca danni maggiori di un terremoto nell’Irpinia, visto che la quantità dei danni è in funzione alle densità e alle collocazioni scelte per gli insediamenti.

Quando si fanno costruzioni ai piedi di colli o monti, o sulle pendici di questi, e su terreni inconsistenti, ci si lamenta poi dei danni e delle vittime. Quando le correnti del fiume o le onde del mare dilaveranno le opere costruite, non dovremmo poi lamentarci. Pompei fu costruita con altri insediamenti ai piedi del Vesuvio cosi come oggi si continua a fare, per poi demonizzare un avvenimento del tutto naturale, quale un’eruzione.

Disseminiamo nell’ambiente le nostre attività senza capirne le conseguenze. Costruiamo non solo nei luoghi sbagliati ma anche senza quelle condizioni di sicurezza richieste dalle diverse situazioni.

Il danno che il pianeta procura alle genti è nullo in confronto al danno che l’esplosione demografica ha prodotto e produce al pianeta. Auspicando una possibile contrazione demografica, è opportuno anche pensare ad un utilizzo delle nostre tecniche più intelligente e meno avido ed egoistico di quanto non abbiamo fatto finora. Bisognerebbe rendersi conto che le tecniche sono solo degli strumenti, e che in quanto tali non debbano essere demonizzati. Non posso non pensare a quanti individui dal più umile al più potente, si interessino di cose vane piuttosto che di argomenti più appropriati alla sopravvivenza del pianeta. Penso ai discorsi dei bar di periferia non dissimili da quelli da un presidente d’industria o addirittura del governo, che io chiamo discorsi di “bullismo” e comunque di quel comportamento che con tale nome si intende per darsi un tono, per richiamare interessi e per dare spettacolo dalla propria capacità umoristica, critica e/o polemica. Si va dalle battute più o meno opportune, specialmente nei confronti delle donne ma anche dei diversi, discorsi ed invettive che oltre ad essere spesso volgari e razziste denotano uno spessore sottilissimo, un’assoluta mancanza di presa di coscienza, ignoranza della quale soffrono sicuramente anche molti di coloro che la società dovrebbero educare, per non parlare delle violenze altrettanto volgari e ignoranti relative alle tifoserie che più endemiche non potrebbero essere. Accanto a ciò aggiungiamo gli interessi relativi ai “favori” che condizionano le decisioni in funzione di benefici personali a carattere monetario ma anche nepotistico. Tutte queste energie meglio sarebbero dirette nei confronti dell’ambiente e di ciò che si fa. Penso a molti amministratori e politici che si incensano vantando la propria sapienza nelle numerose comparse in riunioni, convegni e media che poi subito dopo di fronte a tavole imbandite, fra lazzi e invettive, danno sfoggio del proprio “bullismo” e sono pronti a scambiarsi favori. Sono gli stessi che si arricchiscono distribuendo concessioni edilizie errate, che nulla fanno contro l’abusivismo o che hanno ottenuto posizioni alle quali non erano preparati.

Criminalizziamo gli squali per un qualche attacco a nuotatori ma non pensiamo a quanti squali siano soppressi da pescatori poco preparati ad una attività anche questa divenuta distruttiva. Lo stesso vale per le tante altre nostre attività che più di qualunque catastrofe, per la nostra miope cupidigia, stanno portando alla distruzione molto più catastrofica di tutte le altre delle specie viventi.

Penso che titoli professionali e quindi le abilitazioni ad operare in situazioni che oggi dobbiamo ritenere pericolose, debbano essere controllati con molta più severità, affinché le professionalità massificate assumano le dovute responsabilità. Parliamo di professionalità e di onestà che divengono criminali in seguito all’avidità e alla presunzione che per mancanza di una coscienza sociale perde di vista i propri doveri.


Vittorio Giorgini


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