Lo scaffale di Tellus
Sulla raccolta: Le stanze del cielo. Domande a Paolo Ruffilli di Patrizia Garofalo
Patrizia Garofalo e Paolo Ruffilli
Patrizia Garofalo e Paolo Ruffilli 
21 Marzo 2009
 

Ossessione della libertà. L'ossessione è motivo emozionale della coscienza, la libertà invece razionale costruzione di se stessi e responsabilità di scelta. Nel contrasto fra essi elementi nasce forse la tipologia strettamente originale della tua poetica?

 

La tua interpretazione mi convince e mi chiarifica il mio stesso rapporto conflittuale con l’ossessione della perdita della libertà. Probabilmente comincio a prenderne via via coscienza, dopo la pubblicazione del libro e la serie di affondi perlustrativi che si sono messi in moto a lavoro creativo concluso.

 

Immaginazione. L’immaginazione non è intesa come fantasia ma come aderenza alle cose che rimandano NELLA LORO REALTÀ a guardare altre possibilità che da essa scaturiscono. Il leopardiano “io nel pensier mi fingo” e “la molteplicità del reale” di scuola metafisica tedesca possono spiegare meglio la parola “immaginazione” e sottrarla al termine del fantastico poco insito nella tua poesia?

 

Analizzando la mia poesia, Pier Vincenzo Mengaldo ha scritto che la realtà, per me, è in fondo tale solo se pensata dal soggetto. E credo che abbia colto nel segno. Ribadendo tuttavia che non c’è nessun disprezzo della realtà. Ma gli oggetti per me contano come specchi della mente. Io che ho la felice ossessione delle etimologie non posso dimenticare che tutta la famiglia delle parole "speculare", "speculatico", "specola", rimanda a specchio, cioè alla radice indoeuropea SPEK, che indicava il guardare durativo, focalizzato e fisso. Ecco, allora, che qualsiasi genere cambia genere. Perché, in ogni caso, scrivere per me significa usare l’immaginazione, nel senso che intendeva Einstein di capacità di penetrazione conoscitiva in cui l’intuizione pesca su un fondale tutt’altro che arbitrario. Dunque per me la realtà non è mai quella che si vede e si tocca (non sono un realista). Come realtà pensata, il tessuto informativo trova un momento di risoluzione in quelli che chiamerei "topoi della mente". Ciò non di meno, non avverto come più importanti questi rispetto a quello. C’è una connessione indissolubile, anzi parlerei di orchestrazione, usando un termine musicale. Perché, in poesia,  per me la musica è tutto o quasi. Senza contare che per me l’autobiografismo, anche in poesia, conta poco o niente, visto che da sempre ho la tendenza a rovesciarmi nella vita degli altri.

 

Le stanze del cielo” è un titolo capace di sezionare il concetto di infinito in meravigliosi spazi appartenenti all’uomo. In questo consiste la laicità-spirituale del poeta o meglio il suo panteismo espanso all’“indefinito”?

 

Non ci avevo pensato, ma mi ritrovo in questa tua ipotesi.

 

La libertà quindi è la religione dell’uomo della quale però egli può essere privato anche senza propria volontà dalla malattia fino alla constatazione dell’insufficienza della parola?

 

Sì, è così. E ancora di più. Perché ci sono le limitazioni e le catene che ognuno impone quotidianamente alla propria libertà, costringendosi a non vivere come vorrebbe. Può anche darsi che sia impossibile vivere nel pieno la libertà…

 

Si può parlare anche in te di correlativo oggettivo? I condannati del libro stanno alla libertà come ossi di seppia allo scheletro dell’uomo?

 

Qualcuno ne ha parlato a proposito della mia poesia. Ma non saprei dire se a ragione oppure no. In ogni caso, per me la realtà è quella pensata: sempre e solo quella. Ed è una realtà, evidentemente, carica di simboli e di riferimenti.

 

La mancanza di paesaggi e colori nella tua poesia connotano una visione esistenziale che si analizza da dentro senza consolazioni esterne? L’amore per gli interni quindi potrebbe essere la ricerca di una stanza del cielo o comunque l’area di concentrazione –forte del verso poetico?

 

Non è nominando i colori che fai colore, così come con gli odori o i sapori. A stimolare i sensi funziona di più l’allusione o la reticenza… Sarà per questo che un mio critico di qualche anno fa, Luigi Baldacci, ebbe a scrivere che a leggermi “si scatenano vista, olfatto, udito, gusto e perfino sensazioni tattili”. In ogni caso, è vero che prediligo gli interni agli esterni. Ma, in entrambi i casi, non descrivo mai. Immagino…

 

Senti di poterti avvicinare nei tuoi scritti poetici ad un’adesione verso la poesia congetturale di Borges?

 

Borges è stato uno dei miei scrittori di riferimento, in particolare per la sua dimensione di pensiero. Anche per me la scrittura è sempre avventura mentale, di pensiero e immaginazione, come ti dicevo.

 

Avverto nei tuoi testi una mediazione molto bassa con il tema trattato e con la voce parlante quindi il poeta è fingitore in quanto anche menzognero o solo perché “nel suo pensier si finge” le stanze del cielo?

 

Sì, è proprio così. Del resto, la citazione da Pessoa è lampante. E non a caso Pessoa è uno dei miei scrittori preferiti. Condivido la sua stessa famelica tendenza a rovesciarsi nelle vite degli altri e a rappresentarla attraverso la “finzione” che è l’unico vero modo per conoscere. Il discorso ci riporta all’immaginazione. È l’immaginazione che riesce a rendere tutto più vero del vero, ma non realistico. L’importante è mantenersi in equilibrio tra conscio e inconscio e, a questo fine, l’unica facoltà capace di aiutarti è appunto l’immaginazione. L’unica in gradi di sfuggire al vincolo dei sensi e della ragione e di mettere in rapporto il mondo della psiche e quello della materia.

 

Più esperienze artistiche convergono nei tuoi testi, quella cinematografica con Fellini è quella che si avverte di più nell’icasticità della parola e nel montaggio degli interni, hai mai pensato di portare in teatro i tuoi ultimi due testi?

 

Io non ci ho mai pensato, ma ci hanno pensato gli altri. Ho anche scritto per il teatro, sia di prosa (un paio di commedie, appunto rappresentate) sia musicale (un paio di libretti d’opera, appunto musicati e cantati). Però scrivendo poesia non mi sono mai posto il progetto di teatralizzazione. Lo hanno fatto gli altri (registi e adattatori) sia per Piccola colazione sia per La gioia e il lutto e perfino per Le stanze del cielo.

 

Patrizia Garofalo

 

 

 

da Le stanze del cielo di Paolo Ruffilli

  

Il tuo mistero

 

Ecco che ditta dentro

la voce oscura

e ti cancella il cielo,

la via e la casa

in cui hai vissuto,

il viso dei tuoi cari…

Ma c’è un abisso

tra quello che promette

e ciò che dà davvero:

una voragine che non

si può riempire,

che ti sottrae in partenza

quanto ti ha promesso.

Eppure già sapendolo

tu ti ci butti dentro

fini in fondo

e quello è il baratro

del tuo mistero.

Fuori dal mondo.


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