Diario di bordo
Piermario Puliti. Mamma, ho perso la nave!
Il Corsaro Nero, vendicatore delle ingiustizie
Il Corsaro Nero, vendicatore delle ingiustizie 
05 Marzo 2009
 

Nell’autunno del 1962, compiuti i sei anni, entrai, a pieno titolo, nel mondo della scuola.

Prima elementare, grembiulino nero, colletto bianco inamidato, maestro unico, triste, dal naso rosso, forse per il freddo, forse per qualche bicchierino di grappa in più, di quelli bevuti troppo in fretta, giusto per combattere il freddo, dimenticare la solitudine ed esorcizzare la tristezza.

Ricordo i compagni di classe.

Se mi concentro ho l’illusione di percepire gli odori di quei giorni, quello della vernice nera del banco o dell’inchiostro rovesciato con noncuranza dalle mani tremanti della bidella nell’apposito contenitore, sul lato destro del banco di scuola.

Sono sicuro di ricordare l’odore della cellulosa e della colla del primo album di figurine, quello dei pirati.

Ricordo che scambiai la prima figurina doppia del pirata Barbarossa con il mio compagno di banco che mi dette in cambio quella del temibile Olandese.

Non riuscii a completare l’album, non trovai mai la figurina più ambita, così rimase una casella tristemente vuota, quella del Corsaro Nero.

Nelle pagine dell’album si potevano leggere le avventure dei pirati e per noi, nati ai tempi del grembiulino dal colletto inamidato e del maestro unico, quelle pagine, adornate di inquietanti disegni, rappresentavano una rara opportunità per viaggiare nella fantasia, fin sulle prue di navi intente a solcare mari minacciosi.

Erano tempi in cui bastava chiudere gli occhi per godersi un viaggio estremamente low cost sull’intrigante Isola della Tortuga.

La maestra di catechismo cercò di convincermi a collezionare santini invece delle immagini di malvagi ladri e assassini ma non ci fu niente da fare, non riuscì mai a convincermi, così continuai a preferire le barbe e le bende dei miei pirati alle immagini dei santi martiri.

Molti anni più tardi, in età ormai matura, mi trovai, in una calda notte tropicale, a parlare, su una bianca spiaggia corallina della Dancalia, con un capitano di nave container, un indiano, che come molti suoi connazionali non riusciva a tenere ferma la testa mentre parlava. Si trattava sicuramente di un personaggio singolare. Mi confidò, sottovoce, di avere un progetto. Aveva intenzione di smettere di parlare.

Voleva trascorrere gli ultimi anni della sua vita ad ascoltare gli altri senza replicare.

Mi ricordò antichi filosofi greci che, raggiunta un’inattesa terza età, si facevano accecare per non distrarre la mente, impegnata in profondi pensieri. Ad un certo punto iniziò a raccontarmi storie di pirati, di attacchi subiti dalle sue navi nell’Oceano Indiano e mentre parlava mi tornarono alla mente i disegni del mio primo album di figurine. Fino a quel momento non conoscevo niente della moderna pirateria e lo ascoltai con estremo interesse, fino a tarda notte.

Quando pochi anni più tardi un piccolo aereo mi portò sull’Isola di Socotra, nell’Oceano Indiano, ebbi l’impressione di aver coronato il mio sogno di bambino e di essere finalmente approdato nella Tortuga dei nostri giorni. Dicono, infatti, che l’Isola di Socotra, un’isola affascinante, tanto che gli antichi la chiamarono l’Isola della Felicità, sia oggi la base usata dai pirati somali per attaccare le navi provenienti dal Mar Rosso.

Ho continuato a seguire le imprese dei pirati somali e cingalesi su internet. Ho scoperto che hanno catturato decine di navi piene di armi, una super-petroliera e navi puzzolenti cariche di scorie tossiche, destinate al Terzo Mondo. Navi scomparse nel nulla, insieme a centinaia di marinai.

È come se fosse stata costruita una sorta di rete sull’Oceano Indiano, tesa ad intrappolare i tetri simboli della nostra ricchezza.

Il Barbarossa, il Corsaro Nero, l’Olandese attaccavano le navi cariche d’oro provenienti dal Sud America, oro rubato agli Incas, ai Maja, agli Azechi, attraverso indicibili atrocità.

Non vedo grandi cambiamenti anche se i pirati moderni non hanno nome, ma forse un giorno usciranno dall’anonimato e così sentiremo, magari, parlare delle imprese di “Mohammed il Terribile” o di “Alì Gamba di Legno” e forse, fra qualche anno, un altro bambino di prima elementare collezionerà le figurine con i loro volti e le loro avventure.

Se ciò avvenisse, non potrei far altro che augurargli, di tutto cuore, di poter completare la sua preziosa collezione di figurine.

 

Piermario Puliti


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