Siamo diventati una società di violenti? La violenza chiama violenza. -Il male non è di chi lo fa ma di chi lo subisce-. Quando la convivenza pacifica cede il passo alla violenza più spietata bisogna che la riflessione ci riconduca tutti alla ragionevolezza, per non perdere del tutto la razionalità che ci distingue dalla pura forma bruta. Se crediamo di essere ancora in tempo per riprenderci la nostra autorità su noi stessi, per dire -no- a quella violenza verbale che ci ha irretito e che giorno dopo giorno ci rende complici di una mentalità votata alla violenza che mai è stata nostra, dobbiamo consorziarci e agire, prima di venirne inghiottiti senza rimedio.
È necessario fare un mea culpa che ci ponga di fronte a un interrogativo che richiede da parte nostra una risposta immediata: siamo veramente violenti? Ci riconosciamo in questa espressione che è segno evidente di inciviltà? La violenza fa parte ormai della nostra quotidianità e, strisciando lugubremente, ci ha diviso sul piano umano, mostrandoci una diversità costruita sul pregiudizio che ci porta ad essere vittime e giustizieri. Perché la violenza dilaga oggi più di ieri e crea in tutti noi paura, diffidenza e timore? Perché siamo diventati guardinghi, timorosi e accusatori di coloro con i quali fino a ieri abbiamo convissuto tranquillamente? Il troppo parlare di diversità inculca il pregiudizio e lo fomenta! Leggi e decreti non servono a frenare la violenza, bisogna prima risanare il rapporto di comunicazione e di rispetto con noi stessi e con tutti gli altri; un rapporto che al momento risulta sordo e inesistente e che amplia a dismisura le discrepanze visibili nella nostra integrità. Ma i più compromessi sono i ragazzi e i giovani sia nell’agire che nel subire ed è questo ciò che ci obbliga a riflettere, prima che il tutto precipiti. È nostro il compito di educare, nostra la responsabilità di non fomentare la violenza, visto che si marcia su stupri e su altre forme gravi di violenza che sembra entrata, come standard, nel nostro sistema di vita.
Si chiede più sicurezza che al momento non c’è, più rispetto per le diversità, meno arroganza da parte di chi fomentando, crede in tal modo, di conquistarsi fiducia e merito, ma essenzialmente l’invito è a ritrovare il dialogo tra tutti i componenti della nostra società. Ci siamo immessi in un vicolo cieco e trasportati da parole che ci invitano ad essere -cattivi-, non abbiamo ancora compreso il danno gravissimo che abbiamo procurato a noi stessi, agli altri ma essenzialmente alla fascia di età più esposta, più fragile, -senza confini e senza colori-, che legge il messaggio come invito ad agire e nella maniera più efferata. Non è più tempo di meravigliarci. Non più il tempo di accusare e di rispondere con la violenza. L’invito è a ripensare per educare secondo principi e regole che appartengono alla nostra tradizione.
Ci siamo interrogati con spirito critico? Vogliamo ancora demandare ad altri le nostre responsabilità? Per sanare i problemi non basta tagliare, anzi non si deve tagliare affatto, ma curare, e la parola diventa il rimedio più efficace. La spirale di violenza è partita da lontano e ci ha gradualmente avvinti. Ma è proprio questo ciò che vogliamo? Questo vogliamo per i nostri ragazzi? Inculcare nelle loro menti la violenza contro il vivere civile? Come pensiamo di proteggerli contro la caccia alle streghe? Tutto risulta inefficace da parte nostra, se non ci rieduchiamo per educarli.
Di soppiatto sono state create divisioni e assurde discriminazioni; un timore esasperato si sta radicando e sta cambiando il nostro modo di vivere: rabbia, rancore, diffidenza e paura stanno armando la nostra mano e quella dei giovani, che stanno pagando il prezzo più alto. È tempo che ognuno guardi dentro se stesso. È tempo di non cercare ingannevolmente capri espiatori. È tempo di sottrarci al gioco di questa ondata di violenza che non ci appartiene e tentare di proteggere i nostri ragazzi da una deriva senza ritorno. Bisogna risvegliarci tutti da questo turpe sogno e affidarci alla parola per spiegare, persuadere, convincere ed educare perché la violenza non degeneri oltre, per riaprire il dialogo del rapporto umano. Nessuno di noi, fondamentalmente, ha bisogno di un polso duro per vivere tranquilli; siamo in grado, in caso di bisogno, di difenderci da soli e con raziocinio. Abbiamo bisogno di ritrovare tutti quella serenità di vita che allontani per sempre da noi la diffidenza e che crei una società armonica in cui i nostri ragazzi, non diventino vittime e strumenti della violenza per colpa nostra. L’invito alla riflessione è rivolto a tutti, perché in tutti noi è vigile quell’onestà di agire che nel tempo ci ha contrassegnato e che per ora si è soltanto assopita; il soffio della ragionevolezza, se lo vorremo tutti, la risveglierà. Ogni educatore senta questo compito come suo proprio.
Anna Lanzetta