Lisistrata
La morte di mia madre. E quella di Seneca
16 Febbraio 2009
 

Ho un amico cattolico per davvero, cioè credente, non anagrafico o sociologico come moltissimi, non “ateo devoto” di Ratzinger, come Ferrara, né “laico tenero” verso il Vaticano, come Pera: e dice: “non prego molto, però non dimentico mai di chiedere al Signore che mi doni una morte naturale” e penso che molti e molte esprimano desideri simili, rivolti al Signore, o alla natura, o alla sorte.

 

Non so come dirlo. In effetti morte naturale significa che a un certo punto della nostra vita non siamo più in grado, per malattia o età, né di bere, né di mangiare e ci spegniamo nel modo più tranquillo possibile per naturale venir meno di funzioni vitali. Se tutto ciò può essere accompagnato da sedativi del dolore, benissimo. Tali sedativi possono essere farmaci o il grande freddo che accoglie gli esquimesi vecchi lasciati indietro quando non ce la fanno più a tenere il passo della tribù e che si accasciano pian piano nella neve. Oppure la spugna imbevuta di aceto e fiele che il soldato romano compassionevole offrì a Gesù sulla croce oppure altre forme come quella di Giovanni Paolo II, che si fa trasportare dall'ospedale nella sua stanza in Vaticano e chiede di essere lasciato morire: come si potrebbe somministrare alimentazione e idratazione forzata a un papa e tenerlo in coma vegetativo irreversibile? Ecc. ecc.

 

Invece se passa la legge proposta dal governo e dal centrodestra e appoggiata da molti del Pd, diventeremo “morti resi immortali” da una legge, proprio così: quando il nostro organismo diventerà irreversibilmente incapace di sorbire liquidi o cibi magari anche resi liquidi o omogeneizzati, e se anche avessimo detto e scritto che non vogliamo essere tenuti in vita per forza, questa nostra volontà non sarà considerata valida e saremo tenuti a forza su questa terra (mi riesce impossibile scrivere: “tenuti in vita”). Già per fare un testamento biologico ci vorrà un notaio e un medico e il rinnovo ogni tre anni, una burocrazia noiosissima, una disperazione inutile, dato che non si terrà conto della nostra volontà anche solennemente espressa. Bisognerà rifornirsi di qualche veleno veloce per sottrarsi alla condanna alla “morte immortale”, magari una pillola di cianuro come avevano i nazi, un bisturi sotto la camicia, uno spillone, non so.

 

Insomma considero molto fortunata mia madre, che fece una ischemia cerebrale transitoria a 90 anni e poiché aveva grande voglia di vivere si rimise pedi in piedi in dieci giorni e campò ancora 2 anni tranquilla e lentamente declinante: e ci disse: “quando sarò arrivata al capolinea lasciatemi andare!” e siccome era una donna spiritosa e politicizzata, aggiunse ridendo: “non voglio fare la fine di Franco, tanto non devo lasciare la Spagna a nessuno!”, il dittatore spagnolo fu tenuto in vita artificialmente fino e che poté completare gli atti della successione del potere al re. Due anni dopo si assopì, perse la parola ma non la ragione, seguitò a dirci a cenni del capo che non soffriva e non voleva flebo, aspettò che mia sorella e mio fratello arrivassero da Novara a Bolzano dove viveva con noi e poi se ne andò dolcemente.

 

Non so se avere scritto questo pezzo può testimoniare che non voglio una morte immortale, e che dico qualcosa di sensato; ma comunque non intendo che altri cancelli questa mia volontà libera.

 

Gli esempi storici che vengono in mente sono o nazisti (il cianuro!) o neroniani: quando Seneca ricevette dall'imperatore l'ordine di suicidarsi perché era sospettato di aver fatto parte della congiura contro di lui, si tagliò le vene, e poi si mise in una vasca piena di acqua calda per facilitare e accelerare la morte: la moglie che volle seguirlo invece non poté perché i messi di Nerone la levarono a forza dalla vasca, le medicarono i polsi e la obbligarono a “vivere”: racconta Tacito che si aggirava anemica e triste come un'ombra nella casa.

Un orrore degno di Nerone per l'appunto.

 

Lidia Menapace


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