Suicidio/etica e religioni
Non sarò mai grata abbastanza, a Charlton Heston, di aver fatto dono al mondo della ‘normalità’ (‘sana’) della sua morte/ di non aver giustiziato l’immagine dei suoi personaggi carismatici e trascinanti/ di non aver tracciato una croce cancellante sul ricordo dell’indimenticabile Mosè che egli ha interpretato nel film di Cecil Blount De Mille (I Dieci Comandamenti)/ di aver lasciato che la sua vita seguisse il suo corso e terminasse, con la dovuta ‘dignità’ (quella vera), secondo il volere di Dio/ di aver accettato l’ultima sfida della ‘scultura’ che il Creatore aveva in mente per lui/ di non essersi sottratto allo scalpello finale del suo ‘cesellatore’ divino/ di aver osato il coraggio eroico di bere la coppa della vita fino in fondo/ di aver seguito il sentiero inteso per lui dalla notte dei tempi/ di non aver preteso di entrare nella vita del sempre con grimaldelli anticipati-forzati-sbagliati/ di non aver aperto brecce nei muri del dopo morte (in cui solo Dio può spalancare le porte maestre agli ospiti -ai quali Lui soltanto può chiedere di smettere l’abito-corpo ormai liso e di cingersi i fianchi con le tele di luce atte a rivestire la vitadopolavita).
Viviamo in un secolo in cui l’Occidente sta smarrendo la via (accecato da politiche-ideologie pretestuose e dimentiche dell’evangelico ammonimento su chi possa o non possa ‘passare nella cruna dell’ago’) e si sta ostinando a incedere nella direzione sbagliata, facendo finta che i colpi inferti ai valori non scardinino nulla e che ogni pilastro che cade non scandalizzi gl’innocenti (distorcendone la visuale del mondo/ della vita/ della morte e di tutti gli annessi e connessi). Ignorare dolosamente le chiare ‘indicazioni’ delle varie religioni è, forse, la causa del dilagare delle guerre e del male in generale (a livelli macroscopici) nel mondo. Non c’è religione che non ammonisca l’uomo sul rispetto per la vita (in tutte le sue forme e in tutti i suoi respiri-momenti) e non c’è anfratto-parola nei libri sacri mondiali che incoraggi ad accorciare l’arco prestabilito della vita/ a rifuggire dalla sofferenza (di qualsiasi entità)/ a suicidarsi (con la pretesa di ‘scegliere’ quanto soffrire/ come morire e quando)/ ad alterare l’ordine ‘cosmico’ che include le individualità.
L’Islam crede che la vita umana sulla terra sia una ‘prova’ (da sostenere nell’attesa de ‘la’ VITA vera, quella post mortem- che, come le religioni cristiane prevede il premio o il castigo eterno: l’inferno o il paradiso).
La prova della vita include la parte finale di essa e la tipologia dell’agonia (che non compete all’uomo scegliere o decidere); ‘scappare’ da essa, saltandola a piè pari, con il suicidio, non credo proprio che sia un concetto compatibile con il coraggio, in ogni caso.
Il Buddismo crede nel karma (e nelle religioni ‘nate per dare conforto ai sofferenti’); non include i ‘concetti negativi’; non potrebbe mai includere il suicidio (poiché ‘cercare la morte volontariamente è un concetto negativo’).
La religione cristiana non ammette in alcun modo il suicidio e fa di più: usa parole terribili contro chi commette ‘atti’ che sono di cattivo esempio per gli altri e, specialmente, per gl’innocenti. Riferendosi a chi scandalizza i “piccoli che credono”, dice: “… è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo” e lo si getti nel mare e continua: “… se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio… entrare ne ’la’ vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile”/ “… se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio… entrare ne ‘la’ vita zoppo, che con due piedi nella Geenna”/ “…se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio… entrare ne ‘la’ vita con un occhio solo, che esser gettato con due occhi nella Geenna, dove il… verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma, se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi…” (Mc 9, 42-48)
Dimostrano di ‘non avere sale’ in se stessi gli Stati e gli uomini (indipendemente dalle religioni in cui –eventualmente- credano o non credano), quando forniscono agli ammalati gravi (o a chiunque abbia un disagio che gl’impedisca di “vivere bene”) la possibilità di suicidarsi (con relativi alibi- argomentazioni-mezzi), per varie ragioni. Sono di “cattivo esempio”, come dice il Vangelo, vengono meno ai loro doveri più sacrosanti e irrinunciabili e si fanno istigazione al suicidio. Credo che fornire a chi è ammalato/ stanco/ sofferente/ sfiduciato la tentazione del suicidio sia come dargli un veleno ad effetto lento e sicuro, pronto a prendere piede in modo devastante insieme alla depressione/ che la società abbia la responsabilità di ‘tenuta’ contro la ‘esondazione’ del ‘negativismo’ e della disperazione/ che la lotta al suicidio sia un argine da rinforzare e non da abbattere (di qualunque suicidio si tratti). Concedere (sia pure a chi è ammalato) ciò che non è facoltà umana concedere è da stolti/ altera l’ordine della creazione/ spiana la strada a storture di ogni tipologia-livello.
Il video del suicidio di Craig Ewert è stato messo in onda come un qualsiasi spettacolo (un altro argine ‘intoccabile’ è caduto): l’agonia (il momento-mistero estremo destinato al rapporto tra l’uomo e Dio) è stata dissacrata due volte (quando è stata ‘indotta’ -come vero e proprio omicidio- e quando è stata spiata e violata). Non ci si scandalizzi della parola omicidio, poiché un uomo che pensi di non voler più vivere è depresso e stanco, ma un uomo che gli ‘dia corda’ e lo accontenti commette omicidio (checché ne dicano le vie di mezzo dei bla-bla-bla estenuanti dei nuovi sofisti e/o le posizioni ignave di chi si dica ‘disponibile’ per qualsiasi ‘indirizzo’ che vada di moda, tutti ugualmente privi di argini-misura quanto di effettivi apporti costruttivi).
L’Occidente farà bene a riflettere sulla direzione che sta prendendo, perché i ‘segnali’ di questo tempo orfano di Dio sono preoccupanti… I genitori di Daniel James (il giocatore inglese poco più che ventenne) hanno portato il figlio a suicidarsi (‘aiutato’ -in una clinica svizzera); la giustizia britannica ha deciso di non processarli; incoraggiati da tale ‘andazzo’, i ‘benpensanti’ di turno si sono sentiti liberi di diffondere il video del suicidio di Craig. Il caso di Daniel duole ancora dentro il cuore di milioni di persone, perché era giovane e forte e avrebbe potuto vivere per molte decine di anni, imparando ad ovviare agl’inconvenienti-menomazioni e ad eccellere in qualche altro campo, emulando le magnifiche-eroiche creature che non si lasciano sconfiggere dai corpi menomati e levano lodi a Dio e al creato nei modi più disparati (basti pensare a chi, senza arti, dipinge con la bocca cose spettacolari). Il caso di quel giovane svegliò l’opinione pubblica dal letargo, per un breve periodo, e fece venire a galla cose terribili, che il mondo scoprì con raccapriccio: più di 100 cittadini inglesi sono stati ‘portati’ in Svizzera a suicidarsi (come bestie al mattatoio)/ nessuno dei loro accompagnatori è stato incriminato dalla magistratura/ ben due terzi delle morti negli ospedali inglesi sono casi di eutanasia clandestina (ovvero di omicidi belli e buoni pensati autonomamente o ‘su commissione’ da personale medico che elimina i malati come cavalli azzoppati). Viene automatico pensare che il governo abbia pensato alla normativa del caso, forse, come a una ‘coperta’ pietosa da stendere su ciò che accade alla faccia sua ( e che dice che la governance più snob del mondo non governa, in effetti, più di tanto…).
Daniel James, giovane giocatore di rugby, si ruppe la colonna vertebrale (a 22 anni), durante un allenamento: la conseguenza fu la paralisi della metà inferiore del corpo. Subì numerose operazioni, passò otto mesi nei centri di riabilitazione e riuscì a recuperare in parte solo l'uso delle dita. Si può ben capire come potesse sentirsi un giovane che era stato atletico e prestante (tanto da essere descritto dalla stampa così: “…studying for a degree at Loughborough University, he had already represented England Students, England Universities and earned a call up to the England Counties squad. He had also played National League rugby for Nuneaton and Stourbridge”) e che si trovava a dipendere da una sedia a rotelle e dai genitori. Le continue terapie (che lo portavano a passare la gran parte del suo tempo negli odori e nelle atmosfere deprimenti delle strutture sanitarie) vessavano il suo spirito (abituato all’attività fisica e all’aria aperta) e l’incontinenza lo prostrava con un continuo senso di vergogna. Era il primo periodo della disabilità di un atleta, il peggiore di tutta la sua vita (quello del passaggio da farfalla a crisalide, un percorso inverso e contronatura). Ci sarebbe voluto qualche anno di assestamento e di normalità reinventata, in cui l’amore e l’appoggio di altra gente gli facesse scoprire che la vita non era finita e che aveva ancora cose da donargli (come il sole delle ore all’aperto, il sorriso e l’allegria degli amici, nuovi modi di passare il tempo piacevolmente). Sacrosante risultano (sempre e in questo caso più che mai) le parole del professor Melazzini: “I medici vogliono trattare e guarire le malattie, ma il cuore della professione medica è l’attenzione verso l’essere umano. Al Gemelli c’è cultura della persona, ma non è così ovunque”. Melazzini sa bene che cosa significhi ritrovarsi di colpo inerme e sta cercando di ‘socializzare’ (il più a largo raggio possibile) una coscienza-consapevolezza di come possa sentirsi un malato di quel livello se affidato a medici che sappiano soltanto imbottirlo di cure ma che non sappiano ascoltarlo, comprenderlo, tranquillizzarlo, informarlo (lanciandogli qualche àncora-speranza qua e là), tutelarlo nella propria dignità-identità-autonomia/ non sappiano “prenderlo in carico”, insieme alla famiglia, per alleggerirne la sofferenza/ non sappiano che “il malato ha bisogno di essere amato e affiancato”/ non sappiano che egli ha bisogno di spalle robuste cui appoggiarsi, per poter superare le indescrivibili sensazioni disorientanti, la paura, la vergogna… Quel medico straordinario (che è un paziente affetto da una delle malattie più tragiche del creato) esorta i medici a tener conto delle cose suddette e a trasformare il rapporto con i pazienti in un “patto” bipartito che faccia bene al medico (migliorando la sua professionalità e arricchendo la sua umanità) e al paziente (salvandogli letteralmente la vita).
Suppongo che il viatico-conforto rassicurante caldo come il sole non si sia materializzato (o che non lo abbia fatto in tempo) accanto a Daniel James che ‘si tolse di mezzo’ troppo in fretta e non ebbe modo di scoprire nuovi modi per superare il vuoto terribile che lo aveva avviluppato. La giovinezza di Daniel si arrese al buio/ chiese di essere portata a morire (forse immaginando un luogo simile al cimitero degli elefanti, tra dune striate di sabbia antica… ). Il giovane fu portato a Berna (ove fu ‘aiutato’ a uccidersi –Oh, se soltanto avesse potuto conoscere Melazzini… e scoprire che anche il senso di vergogna per la sua incontinenza altro non era che un ‘disagio’ superabile). La notizia del suicidio assistito si riseppe ai suoi funerali. La stampa riportò il turmoil da essa suscitato nella società e i vari movimenti di opinione, ma non riuscì a ‘schermare’ il disagio as thick as fog, che si tagliava a fette. Alcuni titoli (come 'Second-class life' not enough for injured rugby star) misero il dito nella ‘piaga’ che ha ucciso Daniel e che non si fermerà a lui (“se voli di saggezza non verranno”). Le malattie, a volte, non sono le sole responsabili delle ‘scelte’ (che tali non sono, in quanto legate a condizionamenti-indottrinamenti molto più profondi e lontani dalla causa-malattia scatenante). Famiglie, scuole, organizzazioni varie (la società, in senso lato) sono i seminatori di tutte le idee-principi che regolano, in pratica, la vita spicciola e… la morte (divenuta, d’improvviso, altrettanto ‘spicciola’) dei singoli e dei popoli. Un ragazzo che si trovi di colpo trasformato in un ‘mezzo uomo’ non sa fare altro che desiderare la morte, in un primo momento, e ciò non può che apparire ‘normale’. Ciò che mi ferisce e che non mi appare ‘normale’ è che gli adulti che gli sono accanto trovino ‘logica’ e ‘giusta’ una simile ‘cosa’ mostruosa e che si adoperino contro tutto e tutti per ‘realizzare tale ‘sogno’. Qualcosa stride troppo forte, da qualche parte. Il livore della madre dell’atleta suicida contro l’assistente sociale che, avendo scoperto la ‘fuga’ verso la morte, corse alla polizia, è come una dissonanza difficile da catalogare. La donna era indignata con quella persona e non perché non avesse eventualmente conosciuto-aiutato-confortato-dissuaso suo figlio dal suicidio, ma perché non aveva tenuto conto del ‘fastidio’ che creava, chiamando la polizia, alle due sorelle più giovani dell’aspirante suicida (che avevano visto soffrire il fratello e, dulcis in fundo, avevano dovuto ‘salutarlo’, il giorno prima/ -salutarlo…, lasciarlo andare a morire e… a morire ‘suicidato’ da esperti). I piani di lettura-meditazione di certi eventi hanno bisogno di sfaccettature lunghe e dolorose, ma… la cosa che mi confonde e mi ferisce di più è la sensazione di non conoscere parole di solidarietà adatte al caso (il disagio derivante dalla mancata necessità di ‘dare conforto’ a chi è probabilmente forte della ‘serenità’ guadagnata ‘ accontentando’ il figlio/ della ‘coerenza’ con i motivi ispiratori della vita propria e dei figli).
Non intendo mancare di rispetto a nessuno e mi sento dwarfed dalla portata degli argomenti di cui sto parlando, ma… non posso fare a meno di tornare a un episodio che ho vissuto, sulle rive del Fiume Indo, decine di anni fa… Conoscevo una signora australiana, che aveva ‘adottato’ (cioè catturato) uno scimpanzè e che lo trattava come un bambino. La trovai, anche nell’ultimo giorno in cui le feci visita, con l’animale in braccio, mentre si dedicava alle faccende domestiche. Mi disse parecchie cose e mi annunciò che sarebbe partita. Io ‘pescai’ quattro brevi parole nel fiume di frasi (che la donna fece cadere con voce dolce e molti sorrisi) e le portai con me; ancora le giro e le rigiro nella mente, come carboni accesi: …put him to sleep… Era un po’ logorroica quella gentile signora e io ero abituata a distrarmi mentre lei parlava: coglievo qua e là quanto bastava ad essere educata e dedicavo la mia attenzione agli oggetti che aveva in casa e al paesaggio. L’animale (che avvolgeva la donna nell’abbraccio delle sue lunghe zampe e che si guardava attorno con aria sonnacchiosa e innocente-fiducioso abbandono) è ancora un assiduo abitatore dei miei ricordi… Seppi, poi, che avevo sbagliato nel presumere che lo avrebbe deposto nella poltrona pensile di vimini, per l’abituale sonnellino: aveva voluto condividere con me la sua idea distorta di morboso amore; mi aveva comunicato che, prima di partire, avrebbe ‘messo a dormire’ (per sempre/ avrebbe ucciso) il suo pet ‘amato’, perché non soffrisse… (in sua assenza). Ero estranea a un simile concetto dell’amore (e… ancora non mi perdono di aver perso l’occasione di oppormi energicamente al gesto crudele). L’ombra di quella donna (che coccola lo scimpanzé, gli fa bere la morte, lo seppellisce ‘con amore’ e parte, senza sentirsi in colpa per avergli tolto la vita/ non averlo ceduto ad altri ‘genitori’/ non avergli dato la libertà sulla riva del fiume -ricca di ‘cibo’ idoneo all’animale in questione- e, anzi, sentendosi in pace con se stessa ‘per averlo amato tanto da ucciderlo per non farlo soffrire’) m’insegue ancora nei dormiveglia (in cui la mente intorbida i ricordi e porta a galla i ‘detriti’ sotterranei).
Il caso James causò, in Inghilterra, un’inchiesta che non portò a nulla (dicono che la legge inglese non sia “chiara sulle esatte circostanze che possono portare all’incriminazione”- Cosa abbastanza tragica, che potrebbe fare da paravento a qualsiasi tipo di ‘irregolarità’, per dirla eufemisticamente, soprattutto se si pensa a tutta la gente che ‘viene suicidata’ negli ospedali probabilmente/ sicuramente senza essere interpellata). Non c’è davvero di che stare allegri: cento (non uno!) cittadini di una nazione, nella quale favorire-praticare il suicidio ‘non era’ legale, sono stati ‘trasportati’ all’estero, vivi, e riportati in patria, morti, da individui (almeno duecento, se non trecento) che hanno praticato il ‘turismo’ della morte (in favore di una nazione straniera) e la magistratura non ha saputo fare di meglio che ‘non trovare’ basi per incriminarne almeno uno (…nonostante il Suicide Act del 1961,che ha depenalizzato il suicidio ma ha reso reato l'assistenza al suicidio).
I vescovi britannici hanno levato la voce contro la normativa sull’eutanasia (meglio detta ‘suicidio’), che il Parlamento britannico sta approvando/ hanno ammonito contro il rischio di “provocare una graduale erosione dei valori” (che, in verità… -se ancora ce ne sono- hanno ricevuto una bella botta), temendo che, con il tempo, potrebbero essere “rimpiazzati” dal “freddo calcolo dei costi connessi con un’adeguata assistenza ai malati e agli anziani”. Il loro timore, più che giustificato, è riassunto in queste parole: “Come risultato, molte persone malate o in fin di vita potrebbero sentirsi di peso per gli altri. Il diritto a morire potrebbe trasformarsi in un dovere di morire”. E vi sarebbe da aggiungere che i ‘badanti’ potrebbero sentirsi legittimati a spingere la debole psiche dei ‘badati’ a ‘scegliere’ la soluzione atta a liberare i badanti medesimi da un notevole peso. Il governo, anziché preoccuparsi di legalizzare una pratica contro natura, farebbe meglio a fornire agli ammalati luoghi pieni di amore (che li inducano a scegliere di vivere) e a perseguire i delitti ‘sotterranei’ che si consumano ‘insalutati’ negli ospedali del territorio ‘governato’.
Bruna Spagnuolo
...Fine seconda parte