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Lucio De Angelis. Al Teatro Argentina “Don Chisciotte” 
Quando un grande Artista ‘gioca’ con la sua voce
03 Febbraio 2009
 

Il teatro “Argentina” di Roma ha in scena fino all’8 febbraio Don Chisciotte, progetto di Franco Branciaroli, che ne cura anche la regia.

 

La lingua inglese e quella francese per tradurre il nostro verbo ‘recitare’ usano i verbi to play e jouer, che in italiano sta per ‘giocare’ e più che mai questo progetto è un gran bel ‘gioco’ di un grande Artista con la sua voce.

«Don Chisciotte è un enorme trattato sull'imitazione: così come lui imita i cavalieri», afferma «io imito i cavalieri della scena». Con questa premessa, dopo l'originale edizione di ‘Finale di partita’ in cui il protagonista parlava con la voce dell'ispettore Clouseau, è unico attore nel nuovo spettacolo tratto dal testo di Miguel de Cervantes.

Branciaroli è infatti impegnato nel doppio ruolo di Don Chisciotte e Sancho Pancia, cui darà, imitandole, le voci di Vittorio Gassman e Carmelo Bene. Il vagabondare verbale, divertente e commovente insieme, dei due mattatori ripercorrerà alcune delle scene più celebri del grande romanzo picaresco del ‘siglo de oro’ spagnolo.

«Li immagino nell'aldilà», spiega ancora Branciaroli «mentre confessano che avrebbero sempre voluto mettere in scena il libro più d'avanguardia che ci sia, il Don Chisciotte. Li faccio parlare e così, accanto ai personaggi dell'Hidalgo e di Sancho, riprendono vita anche i loro dialoghi, i loro battibecchi, il loro immaginario».

Ecco dunque che le “maschere verbali” dei due grandi protagonisti della scena teatrale italiana, danno anche occasione di ritrovare atmosfere di un gran teatro che non c'è più e che lo stesso Branciaroli, che con Bene ha recitato ai suoi esordi, ha preso per la coda: «Erano due avversari irriducibili» continua l'attore-regista «ma anche, al fondo, due artisti che si stimavano. E questa è una cosa che mi commuove».

E divertimento con un pizzico di nostalgia è infatti la temperatura emotiva dello spettacolo. Il finale? Non è una vera fine, cosa che sarebbe pertinente solo con il mondo dell'aldiqua, mentre nel tempo eterno i nostri due mattatori, e idealmente Branciaroli con loro, possono ripetere all'infinito, variandola e reinventandola, la rappresentazione. E così è.

 

«... Il procedimento corrisponde a un nascondermi», continua l’artista. «Come se escludessi i miei mezzi vocali. Ancora di più col Don Chisciotte evocante Gassman e Bene (o con Gassman e Bene che evocano il Cavaliere della Mancha e Sancio) in definitiva plasmo le voci degli altri, voci diventate mitiche, nobilmente manieristiche.

Non è un caso che loro due siano riproducibili, reinventabili (è molto difficile riprodurre me, che non ho nulla di particolare a livello di gola), e va aggiunto che il nostro è un momento in cui non si può più granché affermare una voce, per il semplice motivo che in realtà non ti stanno più ad ascoltare.

Un gruppo di persone decide cosa è giusto e cosa non lo è (e questo andrebbe bene se le opzioni e i culti fossero davvero giusti: purtroppo sono spesso sbagliati), e queste persone sono tutto l'apparato decisionale coalizzato (dal critico ai direttori di teatro).

La conseguenza è che la povera arte del teatro continua a pedalare a vuoto, il ricambio è costituito da fallimenti, e non c'è spazio per un contropotere. Allora ho sentito la tentazione di portare in scena i potenti: vedetevela con loro, con Gassman e Bene. Non è proprio esclusivamente un omaggio: è anche, quindi, una specie di resa dei conti.

Ossia, l'omaggio è ovvio, perché reputi alti coloro cui ti riferisci per mettere a segno la resa dei conti. Però è come se dicessi anche: bene, questi sono i miti che avete codificato, e io mi ci confronto, e questo produce anche l'idea teoretica di un Chisciotte che si trova nella condizione in cui mi trovo io, che deve parlare con/per voce altrui, che non vive una condizione romantica con slanci ideali ma subisce il destino d'un disgraziato alle prese con un mondo che non lo vuole, che non ha niente a che fare con lui. Il Cavaliere dalla triste figura impersona la deriva, l'ultima spiaggia cui viene costretto oggi il teatro. Rischiamo non più di vedere un'osteria come fosse un castello, ma di vedere un'osteria come fosse il teatro...»

«Ci si chiede cosa significhi essere attore, con distinzioni mai ben chiare tra attore di teatro, di cinema e di televisione. L’attore di palcoscenico “è” la voce. Cosa vuoi vedere con gli occhi a teatro? Le scene, e i corpi recitanti. Ma il teatro occidentale è fatto di testo, e il testo pone subito il problema di come debba essere detto, trasformato. La voce è il mezzo per trasmetterlo. Naturalmente io ho sempre avuto un dubbio sulla tesi per cui un attore ha una voce sola e che con quella interpreta tutto. Un po’ come dire che ho soltanto un abito e con quello vado in tutti i posti, da qualunque persona, in qualsiasi festa o cerimonia o sede d’una attività solidale. Non è così.

Io credo che bisogna avere, in materia di voci, una gamma più larga, estesa, modulata. Ci sono alcuni che ce l’hanno e altri no. Del resto, quelli che di voce ne hanno una sola, la possono anche elaborare e farne un mito, una risorsa leggendaria, inconfondibile. Io ho avuto per natura una potente e mutevole macchina vocale. È un dono, non me la sono costruita, non ho meriti. E uso questa voce, queste voci, adattandole alla cultura dei personaggi da interpretare, all’immagine che io ne ho. E allora la voce è un po’ come la musica».

 

Franco Branciaroli si afferma sin dalla sua prima comparsa in scena, nel Toller di Dorst per la regia di Chereau nel 1970, come uno dei talenti più originali del teatro italiano.

Nella sua carriera ormai quarantennale, ha lavorato con Aldo Trionfo (Gesù, dalla sceneggiatura del film di Dreyer, 1974; Nerone è morto, 1975 con Wanda Osiris), con Carmelo Bene (in uno storico Faust - Marlowe – Burlesque di Trionfo/ Salveti e in Romeo e Giulietta nel ruolo di Romeo), con Gianfranco De Bosio e, a lungo, con Giovanni Testori, mettendo in scena i testi dell'autore milanese per la compagnia de Gli Incamminati da lui fondata.

Con Luca Ronconi ha raggiunto sorprendenti livelli di interpretazione: si ricordano in particolare La Torre di Hoffmansthal, Medea di Euripide, La vita è sogno di Calderon de la Barca, Lolita di Nabokov. Al cinema ha lavorato con Michelangelo Antonioni, Tinto Brass e di recente con Roberto Faenza e Cristina Comencini.

Nel 2006 ha diretto e interpretato un'edizione molto apprezzata dalla critica e dal pubblico di Finale di partita di Beckett in cui interpretava il ruolo di Hamm, dandogli la voce dell'ispettore Clouseau di Peter Sellers. Nelle stagioni 2007 e 2008 è stato Galileo in Vita di Galileo di Brecht, con la regia di Antonio Calenda. Sempre per la regia di Calenda nel 2009 sarà Edipo in Edipo Re di Sofocle.

 

Teatro: Argentina

Città: Roma

Titolo: Don Chisciotte

Progetto e regia: Franco Branciaroli

Scena: Margherita Palli

Luci: Gigi Saccomandi

Costumi: Caterina Lucchiari

Musiche: Daniele D'Angelo

Produzione: Teatro degli Incamminati

Periodo: fino all’8 febbraio

 

Lucio De Angelis

(da radicaliroma, 28 gennaio 2009)



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