Oblň cubano
Yoani Sánchez. Un monosillabo smarrito
05 Dicembre 2008
 

Dal blog Generación Y

5 dicembre 2008

 

 

Un extraviado monosílabo

Un poema –en los años noventa– ironizaba sobre la desaparición de varios productos agrícolas de las mesas cubanas.* Su autor nunca firmó los simpáticos versos, pero el estilo mordaz señalaba directamente a un conocido escritor. Eran los años en que el CAME se había ido a bolina junto con el campo socialista y nuestros ombligos se aproximaban –dolorosamente– al espinazo. Las viandas parecían haber partido hacia el exilio, dejándonos un punzante recuerdo de su blandura.

El boniato, el plátano y la yuca regresaron más tarde, cuando la explosión social de 1994 obligó al gobierno a abrir los satanizados mercados libres. Encontramos sobre sus tarimas las variedades de tubérculos que habían acompañado asiduamente los platos de nuestros abuelos, pero a un precio que no se correspondía con los simbólicos salarios que recibíamos. Aún así, allí estaban. Con exprimir un tanto los bolsillos podía hacerse un suave puré de malanga, para iniciar a un bebé en las lides de la comida.

Mientras esos productos nacionales regresaban, llegaron algunos foráneos a suplantar a los criollos. En los hoteles comenzaron a comprarse naranjas y mangos de República Dominicana, flores de Cancún y piñas de otras Islas del Caribe. En las cocinas se hizo común un extracto importado de limón para suplir el perdido cítrico tan usado en salsas y adobos. La azúcar se trajo de Brasil y un paquete de zanahorias congeladas era más fácil de hallar que las larguiruchas que crecían bajo nuestra tierra. Sólo la guayaba no encontró competencia en las desacertadas importaciones y se irguió –dignamente– en sustitución de todas las otras frutas perdidas.

El colmo me ha llegado hace un par de semanas, cuando al recibir la cuota de sal que dan por el racionamiento, he comprobado que viene de Chile. No logro conciliar nuestros 5 746 kilómetros de costas con este paquete blanco y azul transportado desde el Sur. Si nuestro mar sigue igual de salado, qué fue lo que ocurrió para que sus minúsculos cristales ya no lleguen a mi salero. No ha sido la naturaleza –no le echemos otra vez la culpa a ella– sino este sistema económico disfuncional, esta apatía productiva y la tremenda subestimación a todo lo nacional que nos embarga. Tampoco ha sido el bloqueo.

Ahora, habría que rehacer el sarcástico poema de los productos extinguidos y agregarle un breve y extraviado monosílabo: sal.

 

*

La yuca, que venía de Lituana

el mango, dulce fruto de Cracovia

el ñame, que es oriundo de Varsovia

y el café que se siembra en Alemania.

La malanga amarilla de Rumania

el boniato moldavo y su dulzura

de Liberia el mamey con su textura

y el verde plátano que cultiva Ucrania.

Todo eso falta y no por culpa nuestra

para cumplir el plan alimentario

se libra una batalla ruda, intensa.

Y ya tenemos la primera muestra

de que se hace el esfuerzo necesario:

hay comida en la tele y en la prensa.

 

Yoani Sánchez

 

 

Un monosillabo smarrito

Una poesia negli anni Novanta ironizzava sulla scomparsa di vari prodotti agricoli dalle tavole cubane.* Il suo autore non ha mai firmato i simpatici versi, ma lo stile sferzante rimandava in maniera diretta a un noto scrittore. Erano gli anni in cui il COMECON era andato a farsi benedire insieme al campo socialista e i nostri ombelichi si avvicinavano dolorosamente alla spina dorsale. I tuberi sembravano essere partiti per l’esilio, lasciandoci un ricordo penetrante della loro dolcezza.

Il boniato, il platano e la yucca tornarono più tardi, quando le manifestazioni sociali del 1994 costrinsero il governo ad aprire i demonizzati mercati liberi. Cominciamo a incontrare sui loro scaffali le varietà di tuberi che avevano accompagnato assiduamente i piatti dei nostri nonni, ma a un prezzo che non andava d’accordo con i salari simbolici che riscuotevamo. In ogni caso si potevano trovare. Bastava spremere un po’ le tasche per riuscire a cucinare un delicato purè di malanga, per abituare un neonato ai cibi solidi.

Mentre tornavano questi prodotti nazionali, ne arrivarono alcuni forestieri a soppiantare gli alimenti creoli. Negli alberghi cominciarono a comprare arance e manghi della Repubblica Dominicana, fiori di Cancún e ananas di altre Isole dei Caraibi. Nelle cucine divenne di uso comune un estratto di limone importato per rimpiazzare il perduto agrume molto usato per salse e marinature. Lo zucchero si importò dal Brasile e un pacchetto di carote congelate era più facile da trovare dei prodotti che crescevano sotto la nostra terra. Soltanto la guayaba non trovò rivali nelle inopportune importazioni e si propose degnamente come sostituto di tutti gli altri frutti perduti. Abbiamo raggiunto il colmo un paio di settimane fa, quando, ricevendo la quota di sale che distribuiscono per il razionamento, ho verificato che proviene dal Cile. Non riesco a conciliare i nostri 5.746 chilometri di coste con questo pacchetto bianco e azzurro importato dal Sud. Se il nostro mare continua a essere salato, come mai i suoi minuscoli cristalli non arrivano alla mia saliera? Non è stata la natura non diamole ancora una volta la colpa ma a danneggiarci è questo sistema economico che non funziona, questa apatia produttiva e l’enorme sottostima di tutto il prodotto nazionale. La responsabilità non va data neppure all’embargo.

Adesso, voglio ricomporre la poesia sarcastica sui prodotti estinti e aggiungere un piccolo e smarrito monosillabo: sale.

 

*

La yucca, che veniva dalla Lituania

il mango, dolce frutto di Cracovia

il ñame, che è oriundo di Varsavia

e il caffè che si semina in Germania.

La malanga gialla di Romania

il boniato moldavo e la sua dolcezza

di Liberia il mamey con la sua struttura

e il verde platano che si coltiva in Ucraina.

Tutto questo manca e non per colpa nostra

per realizzare il piano alimentare

si sostiene una battaglia dura, intensa.

E già abbiamo la prima prova

che si sta facendo lo sforzo necessario:

c’è cibo alle tele e sulla stampa.

 

Traduzione di Gordiano Lupi

 

 

Nota del traduttore: Ho optato per non tradurre i nomi dei frutti tropicali e dei tuberi cubani che Yoani riporta nel suo pezzo di prosa, anche perché molti non hanno un corrispettivo italiano. Ho lasciato in spagnolo anche il termine platano, che avrei potuto tradurre con il termine banana, ma in questo caso si parla del platano verde che è diverso dalla nostra banana. Nella poesia lascio i nomi di frutti e tuberi (vianda) in lingua originale e cerco di conservare meglio che posso la musicalità. Consiglio la lettura in lingua originale per apprezzare ritmo e ironia di fondo. Resto con la curiosità di sapere chi sia il noto scrittore. Se qualcuno lo sa può postare il nome nei commenti… (Gordiano Lupi)


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