Diario di bordo
Canone/Imposta Rai. Vogliono aumentarlo, ma sono i primi che fanno evadere il Fisco alle aziende 
Interrogazioni, interpelli... occorre l'intervento del Parlamento
21 Novembre 2008
 

Botte in testa da soli in casa Rai che, purtroppo, è anche quella dei contribuenti, cioè di tutti noi. Ma non sono distratti e stolti, bensì solo ingranaggi di un violento potere economico e mediatico con cui credono di governare le coscienze degli italiani: non hanno nessuna vergogna di procrastinare la loro illegalità non riscuotendo oltre un miliardo di euro che sono lì a loro semplice disposizione.

Vediamo cosa accade. Il sottosegretario alle Comunicazioni, Paolo Romani, vorrebbe non aumentare l'imposta sulla tv, ma il vice-direttore generale Giancarlo Leone fa sapere che i conti non tornano e sarebbe opportuno il contrario, quantomeno seguendo il tasso inflazionistico. Nel bilancio 2007 i programmi del servizio pubblico (che dicono abbia una contabilità separata da, essenzialmente, il cosiddetto intrattenimento) sono costati 159 milioni in più di quanto incassato con il canone/imposta, con conseguente sbilancio nel triennio 2005-2008 di oltre 676 milioni di euro e un previsto prossimo ammanco di 106 milioni. L'aumento va deciso entro il 30 novembre e, al massimo entro il 10 dicembre vanno stampati milioni di bollettini con gli aumenti da inviare ai contribuenti. Il direttore generale Claudio Cappon (foto) ha scritto al sottosegretario e attende una risposta.

Le “botte in testa da soli” sono oltre un miliardo di euro all'anno che la Rai ha deciso di non riscuotere dalle aziende italiane (pubbliche e private) per il possesso di un computer, possesso che invece diventa motivo di ingiunzioni e ricorsi giudiziari se a non pagare è un qualunque nucleo famigliare. Due pesi e due misure, con la consapevolezza di violare la legge e di avere l'impunità governativa: a diverse reiterate interrogazioni parlamentari in merito, da noi sollecitate, i competenti ministeri non hanno mai risposto;* l'Agenzia delle entrate, interpellata da noi a livello centrale e regionale, ha sempre “scaricato la palla” a chiarimenti ministeriali, anche da loro sollecitati e mai arrivati. La Corte dei Conti esamina un nostro ricorso per danno erariale risultante dal comportamento omissivo dei dirigenti Rai e dell'Agenzia delle Entrate.

Nel contempo, siccome l'intento degli amministratori della Rai è quello di far tornare i conti pur violando la legge, continuano a proporre l'aumento del canone/imposta, ovviamente a carico di chi già lo paga.

Situazione scandalosa? Forse se vista con gli occhi di un non-italiano o di piccole minoranze legalitarie che come noi fanno riferimento più alla Costituzione che alle leggi. Queste ultime infatti sono ad hoc per rendere legale lo stato dei fatti, voluto da un Parlamento e da Autorità di controllo che, per esempio, trovano normalissimo che un'imposta si chiami canone o abbonamento, o che la commissione parlamentare di vigilanza che deve controllare l'operato della Rai, sia la stessa che nomina il consiglio di amministrazione di questa Rai. Due + due a scuola fa quattro, ma nei palazzi romani fa cinque o tre, dipende.

Le nostre campagne per la disdetta del canone/imposta ci sembrano ben motivate, anche dalle centinaia di migliaia di firme in calce alla nostra petizione per l'abolizione del canone. Ma la parola decisiva è del Parlamento, ai cui membri facciamo appello perché sposino le ragioni del diritto e non della sopravvivenza clientelare e partitocratica. Anche solo perché le leggi siano rispettate e sia recuperato il miliardo di euro di evasione annuale da parte delle aziende. Poi potrebbe accadere tutto...

 

Vincenzo Donvito, presidente Aduc

 

 

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