Giancarlo Narciso
Un’ombra anche tu come me
Perdisa Editore, pagg. 120, € 9,00
Giancarlo Narciso è autore che non ha bisogno di presentazioni. Pubblica da anni romanzi di spionaggio su Segretissimo, edito da Mondadori, sotto lo pseudonimo di Jack Morisco, ha vinto il Premio Tedeschi (1998) con Singapore Siling, il Premio Scerbanenco (2006) con Incontro a Daunanda, due romanzi inseriti nella trilogia di Rodolfo Capitani che si completa con Le zanzare di Zanzibar. Luigi Bernardi sceglie un romanzo breve di Giancarlo Narciso per continuare la serie di autori noir italiani nella elegante collana “Babelesuite”, che dovrebbe vincere un premio per la cura editoriale e il progetto grafico. Ho avuto modo di apprezzare Santanta di Danilo Arona (un vero autore horror italiano), Duri di cuore di Alfredo Colitto (un noir duro alla Scerbanenco), ma anche altri nomi della collana sembrano affidabili: Piergiorgio Di Cara, Elisabetta Bucciarelli e Loriano Machiavelli.
Un’ombra anche tu come me è un romanzo d’avventura all’americana, caratterizzato da un incedere narrativo costruito su dialoghi rapidi e realistici che danno ritmo alla storia. Uno sceneggiatore farebbe poca fatica per trasformare tutto in una pellicola mozzafiato. Sarebbe un problema trovare il produttore, invece, perché Narciso non si fa mancare niente, scrive una storia on the road che porta a vagare i protagonisti lungo buona parte dell’Indonesia. Un uomo e una donna stringono un patto, non si sopportano, ma decidono di convivere per rintracciare una persona scomparsa. Il protagonista è Jack, uno scrittore misogino che vive sull’isola di Lombok, ama il surf e le avventure, soprattutto ha bisogno di soldi. Suspense e sorprese sono assicurate fino a un inquietante doppio finale che ricorda le pellicole horror italiane degli anni Settanta. L’ambientazione del romanzo è molto curata e mi fa piacere che esistano scrittori italiani di successo ai quali è concesso ambientare le loro storie all’estero. Ne abbiamo abbastanza di chi racconta soltanto il suo ombelico e le indagini di commissari panzoni che vivono in provincia. Narciso è milanese, ma conosce l’Indonesia come la provincia di Trento (dove vive), grazie al suo alter ego di fantasia ci fa toccare con mano i paradisi naturalistici di Lombok, Bali, Timor Est. Timor Ovest, Giava, Flores e Jakarta. Leggevo il romanzo e facevo un tuffo nel passato, mi sembrava di essere in una pellicola dell’esotico-erotico italiano, cose come Incontro d’amore a Bali e Il Dio Serpente che hanno segnato la mia adolescenza. Narciso, però, ha qualcosa in più rispetto a Piero Vivarelli e Ugo Liberatore: il ritmo, la rapidità, lo stile essenziale e senza fronzoli, fino a risultare più cinematografico dello stesso cinema.
Ho avvicinato l’autore per porre alcune domande.
– Vuoi parlarci di questo romanzo?
Mentre lo scrivevo non sapevo ancora come sarebbe finito e, in parte, non lo so nemmeno ora, perché la storia è vista dagli occhi di Jack che non è un testimone del tutto attendibile, preso com’è dalla sua ossessione misogina. Daniela non è così assolutamente cinica e perfida come si potrebbe pensare, è una donna con disturbi della personalità. Nicola non è lo stinco di santo che dice di essere. I due si meritano reciprocamente.
– Non anticipiamo il finale. Cosa racconta la storia e da dove deriva l’esigenza di scriverla?
La storia racconta lo strano rapporto di Jack con le donne. Le sue paure coperte dal tono sicuro con cui parla di loro. Lui comincia a fare il duro, della serie, io da questa qui non mi faccio fare fesso, anche se è lei che lo paga, per cui è in posizione subordinata, ma mano a mano che si allontanano dai posti turistici è lui a riprendere il sopravvento, visto che è la guida e la donna ha bisogno della sua esperienza.
– Il protagonista ti somiglia un po’…
Ho volutamente fatto confusione creando un personaggio dalla biografia quasi identica alla mia (a parte la Folgore, ma mi serviva uno che sapesse sparare, la pistola era necessaria) e con il mio stesso nome, in modo da riproporre al lettore il dubbio che non tutto quello che si racconta in un libro è vero, ma è solo deformato. Se Narciso racconta di essere il personaggio di una storia non vera, allora anche il personaggio forse non racconta tutte le cose come stanno ma solo come le vive lui, allora anche Daniela e Nicola raccontano una realtà deformata. Insomma: la realtà non è mai come la si racconta, non può esserlo.
– Il futuro della narrativa italiana è nei generi letterari?
Non mi sembra di scorgere significativi segni di cambio all’orizzonte rispetto al passato, il genere è vivo e vegeto e svolge la sua funzione accanto a una letteratura che invece cerca di svincolarsi dai cliché. Che ci riesca è un altro paio di maniche.
– Per uno scrittore italiano è così difficile uscire dai cliché narrativi? Un italiano deve necessariamente scrivere un giallo ambientato in provincia?
Credo che il giallo di provincia sia alla frutta. Ce l’hanno rigirato in tutte le salse e ha davvero stancato.
– Meglio l’edicola o la libreria?
Dovendo scegliere, la libreria, anche se l’edicola fa numeri che in libreria nemmeno si sognano. Ma se vai in edicola non vieni recensito ed è quasi impossibile venire tradotti in altre lingue. L’ideale sarebbe uscire prima in libreria e poi in edicola in una collana economica, come certi editori fanno.
– Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Da un lato uscire dal genere con un romanzo di ampio respiro e dall’altro restare nello spionaggio usando l’esperienza maturata per raccontare intrighi italiani. Ho già fatto un primo tentativo nel racconto uscito sulla antologia Legion di Segretissimo, in cui pur usando il mio personaggio seriale di Banshee, lo collegavo alla realtà politica italiana, nella fattispecie agli anni di piombo. Mi affascina l’idea di usare agenti del Sismi come personaggi positivi, tipo Calipari, invece del solito stereotipo d’operetta dei bombaroli stragisti e golpisti. Penso per esempio a una storia che ponga la questione del perché, per salvare certi ostaggi, si mobilita l’intero paese pagando a volte prezzi pesantissimi (e non parlo di soldi, vedi il caso Sgrena o quello del giornalista rapito in Afghanistan dove l’interprete è stato lasciato a morire) mentre ci sono altri ostaggi per cui non si muove un dito, come i casi recenti in Africa. Qual’è il ruolo dei servizi di intelligence in queste storie? Ci sono ostaggi di serie A e di serie B? E se sì, perché?
Non perdiamo di vista Giancarlo Narciso, perché questa idea mi sembra molto interessante!
Gordiano Lupi