Diario di bordo
Maria G. Di Rienzo. Asparagi su Marte
Uniti come il papà voleva fosse unita la sua famiglia...
Uniti come il papà voleva fosse unita la sua famiglia... 
16 Ottobre 2008
 

C'erano una volta le parole. Le ascoltavi e le leggevi, ci riflettevi su.

Potevano commuoverti, o mandarti in collera, o divertirti, o spingerti a prendere decisioni. Le parole avevano dei significati. Ricordate quei tempi?

Sui quotidiani gli articoli potevano piacerti o meno, contenere menzogne o verità, pure erano scritti in modo da non sfuggire ai significati delle parole. C'era una bambina che leggeva quegli articoli, mi viene ora in mente, e che pensava con ammirazione alle persone che avevano scritto così bene tutte quelle parole: “Bisognerà essere molto intelligenti e studiare a fondo per diventare giornalisti”. Oggi, va da sé, l'ex bambina la pensa in tutt'altro modo, però continua ingenuamente a inorridire e ad indignarsi di come i massacri del senso coprano i massacri dei corpi.

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Ecco come cominciava un pezzo su un giornale nazionale qualche giorno fa: «Uniti. Così li hanno trovati insieme. Uniti come il papà voleva fosse unita la sua famiglia». A cosa vi fa pensare tale incipit, cosa vi viene in mente? Che qualcuno ha trucidato un'intera famiglia, forse per rappresaglia contro il padre. Invece è stato quest'ultimo a prendere i suoi figlioletti di 3 e 7 anni a martellate, ne ha dato notizia ai parenti, e poi si è ucciso. Altri articoli sulla vicenda si aprivano con frasi tipo “Un compagno e un padre esemplare”, “Non accettava la fine della relazione”, “In preda a raptus”, eccetera, eccetera (come disse Ambrose Bierce, «la sanità mentale è quella condizione che precede e segue immediatamente un omicidio»).

Adesso qual è l'immagine che vedete? Un galantuomo disperato, ridotto a tale follia dalla donna che voleva lasciarlo. Magari voltate pagina, perché siete di fretta o perché la storia è troppo triste. Certo è che ormai avete individuato il colpevole, anzi “la” colpevole, e non era il maggiordomo né, stranamente, quello che aveva il martello in mano. Le altre notizie dovreste cercarle più in basso, a fine colonna, dove leggereste ad esempio che il padre in questione aveva alle spalle un divorzio e un'altra figlia: stante il fatto che le relazioni a due si fanno funzionare o fallire in due, credete ancora che quest'uomo non avesse nessuna responsabilità nel fallimento delle proprie? Questo non toglie nulla alla pietà umana per una persona che ha violentemente messo fine alla propria esistenza, e però tale compassione non mi acceca al punto da non vedere che prima di suicidarsi la stessa persona ha ucciso due bambini a colpi di martello.

Il raptus. Il raptus gli fa montare i figli in auto, portarli in una zona dove non verrà disturbato durante gli omicidi, e lo costringe ad alzare ed abbassare ripetutamente il martello. Potete figurarvi la scena? Le piccole braccia che tentano di parare il colpo, gli occhi sgranati, le urla, il pianto? Non si è trattato di uno sparo rapido in testa, i due bambini ci hanno messo un po' a morire. Quanto durano i raptus davvero non lo so, dovremmo chiederlo alla famosa psicologa che a commento di questo fatto di cronaca non ha trovato di meglio che scrivere (in pessimo italiano, tra l'altro) contro la legge 180 ed ha reiterato per tutto il pezzo come «troppi segnali di follia non vengano visti».

Ma chi poteva vederli, signora, in un compagno perfetto e in un padre esemplare che voleva solo l'unità della propria famiglia? Forse la donna che viveva con lui. Forse per questo aveva deciso che era meglio separarsi. Prima che lui facesse del male ai bambini, per esempio. Qualcuno le avrebbe creduto, l'avrebbe ascoltata, o aiutata, se ne avesse parlato? O le avremmo consigliato di sopportare perché tenere unita una famiglia è più importante delle vite di coloro che la compongono? Nessuno degli articoli che io ho letto ha speso una parola di comprensione per la madre dei due piccoli assassinati. L'unica sua frase riportata, tuttavia, l'ho capita benissimo: «Me li ha uccisi tutti e due». Non si tratta di un errore, leggetela bene: li ha uccisi “a me”, per fare del male a me, per vendicarsi di me. Un gran bel padre, davvero. E pensare che io giudicavo pessimo il mio, di padre, per la sua abitudine di sfasciare facce e mobili. Direi che è stato solo un po' meno “esemplare”, infatti non ci ha ammazzati.

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Mi piacerebbe poter sostenere che lo scempio del senso, nella narrazione pubblica, è dovuto solo alla scarsa professionalità dei giornalisti, ma temo che questa si inserisca in un disegno preciso: la riformulazione del senso comune rispetto a tutta una serie di conquiste sociali e politiche. In cima alla lista delle priorità sembra esserci la libertà delle donne. Il 26 settembre u.s. i principali quotidiani italiani riportano senza commento alcuno le esternazioni di un alto prelato italiano, con titoli che variano di poco ed il cui leit motiv è: la pillola anticoncezionale fa male. Il monsignore sostiene che vi sono studi scientifici che lo provano e che vengono tenuti nascosti. Non cita quali studi, fatti da chi, quando, e con che metodi. Né chi li occulta e perché. Nessuno dei sedicenti giornalisti glielo chiede. Nessun sedicente direttore obietta: come posso passarti questo pezzo in cui non c'è uno straccio di evidenza a sostenere le affermazioni del monsignore? E non ti accorgi che c'è un'ipotesi di reato grave non verificata, e cioè il tenere nascosti dati relativi alla salute pubblica? Com'è che non hai chiesto conto di questo, quando tutti gli studi scientifici a nostra disposizione dicono da trent'anni il contrario? Ma se lo scopo è creare allarme sociale rispetto al controllo della fertilità, spingendo le donne a credere di essere in pericolo se usano la pillola, lo scopo si raggiunge strillando i titoli e mistificando. Le opinioni diventano fatti, la direzione politica indicata da monsignore diventa “scienza”.

Nel corso della stessa esternazione, il prelato si rivolge “ai giovani” (citazione letterale): «Tendete ad anticipare molto stili di vita che a lungo andare portano ad annoiarsi. Quando a 15 anni cominciate a vivere con una coetanea come marito e moglie, che accadrà quando ne avrete trenta?».

Permetta che la corregga, sig. giornalista, e creda, lo faccio umilmente. Il monsignore non si è rivolto “ai giovani” intesi come la gioventù italiana composta da ragazzi e ragazze, si è rivolto ai giovani maschi, la sola categoria del gruppo che gli interessi. La sola autorizzata a prendere decisioni in merito di sessualità. La sola che conti. Ed ha suggerito loro la vecchia solfa dell'uomo “cacciatore”. È ovvio che se stai con una tipa da quando avevi 15 anni poi ti stufi, è sempre la solita minestra no? La noia delle fanciulle non è contemplata, si sa che tutto quello che noi vogliamo è un uomo da adorare, a cui stirare le camicie e a cui dare tanti bambini. Sperando che poi non ce li ammazzi in un raptus, ma questa è un'altra storia.

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E guardate assieme a che altri titoli, lo stesso giorno, appaiono le belle pensate di monsignore: “Al Mi-Sex le donne nude entrano gratis”; “Bruni nuda scomparsa dalla mostra”; “Ripa di Meana e l'amore per un trans”; “Che beffa per Ronaldo: la sua ultima fidanzata è una escort di lusso”; “La capigliatura del premier” (probabilmente quest'ultimo è l'articolo più osceno del mazzo).

Ciò che l'informazione consuma è del tutto ovvio: consuma l'attenzione di chi la riceve. Quando un mucchio di informazione-spazzatura riempie le nostre teste, perdiamo le notizie vere.

Naturalmente chiunque di noi può cambiare canale, voltare pagina e persino coprire le “notizie” sullo schermo del computer con una mano mentre legge la posta dal server, ma questo non cambia il fatto che milioni di altri italiani vengono nel frattempo ipnotizzati da questo tipo di “informazione”.

C'è una guerra in Afghanistan in cui il nostro paese è coinvolto e noi non ne sappiamo niente. Non sappiamo niente di dove va a finire l'immondizia ammassata sulle strade del napoletano. Non sappiamo niente dello stato reale del nostro paese, in termini economici e sociali. Siamo sommersi da corpi nudi, corpi massacrati, corpi infiocchettati di lustrini, corpi imprigionati, corpi privi di vita. Corpi muti di donne e parole di uomini.

Non so voi, ma io da tempo soffoco come se mi trovassi dentro ad un film horror.

A volte, nel tentativo di respirare, cercavo le notizie cosiddette “scientifiche”, ma ho dovuto arrendermi. Hanno la stessa fattura delle notizie su Ronaldo. Gli articoli sulla sonda Phoenix, al lavoro su Marte, mi hanno dato il colpo di grazia: la sonda ha recuperato ed analizzato un metro cubo di suolo marziano, trovandolo ricco di sostanze alcaline (per cui potrebbe sostenere la vita), ed il titolo del pezzo sul giornale è “Si potrebbero piantare asparagi su Marte”. Eh, gli affari sono affari, vedi come la mano invisibile del mercato si protende attraverso le stelle.

Potremmo costruire sul pianeta rosso centri di detenzione abusiva (pardon, di soggiorno temporaneo) per immigrati e deportarvi gli insegnanti in soprannumero della riforma Gelmini, e tutti potrebbero coltivare asparagi in allegria.

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Quanto ho me, visto che la lingua italiana mi sta abbandonando, sto imparando il cinese. La parola per “buono” (il suono è un “ho” di gola) è composta dai segni che indicano una donna e un bambino insieme. Penso che sarebbe fantastico se quella donna fosse felice, su un pianeta che la rispetta e la ama e che lei ama e rispetta; sarebbe fantastico se quel bambino crescesse sino a diventare un uomo che ama e rispetta i suoi simili e le sue simili. Ma temo che molto prima di vedere quel giorno vedrò qualcuno mangiare asparagi marziani.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Nonviolenza. Femminile plurale, 16 ottobre 2008)


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