In tutta libertà
Gianfranco Cercone. “Decameron pie” di David Leland: la Toscana come paradiso del sesso
17 Settembre 2008
 

Quando ho saputo che il produttore Dino De Laurentis aveva messo in cantiere un nuovo film tratto dal Decameron di Boccaccio (anche in ricordo del celebre film che ne aveva tratto Pier Paolo Pasolini negli anni Settanta), l’idea mi è piaciuta. Non è il Decameron una ricca riserva di storie congeniali al cinema (alcune allegramente erotiche, ma altre avventurose, umoristiche, e qualcuna anche tragica)?

Mi piaceva inoltre che il progetto fosse affidato al regista inglese David Leland, di cui ricordo di aver visto parecchi anni fa un film niente male: Vorrei che tu fossi qui. Ma, dice il saggio, chi si illude è soggetto a delusioni! E la delusione di questo Decameron pie è stata per me totale, senza eccezioni.

Chi ha visto il film di Pasolini, o chi ha letto almeno qualche novella del capolavoro di Boccaccio, ricorderà probabilmente l’episodio di Masetto, il giardiniere che si fa credere muto, in un convento di monache. Certe che egli non possa tradire il segreto, due monache sperimentano con lui per la prima volta i piaceri del sesso. Seguono il loro esempio, le consorelle; e per ultima, la madre badessa.

Ora, il lettore capirà bene che un ingrediente fondamentale dell’episodio, quello che più di ogni altro gli dà tensione, è il clima repressivo che preesiste nel convento: è quel clima che crea le tentazioni; che fa del sesso un frutto prelibato e proibito, improvvisamente e insperatamente a portata di mano; e che fa poi del rapporto sessuale, un momento di incontenibile allegria (che deve però restare celata).

Se quel clima è sotteso alla versione cinematografica di Pasolini, in questa di Leland, le monache, tutte giovani e belle (e perché mai le suore in un convento devono essere tutte belle?), alla vista del grazioso fanciullo finto muto che trova rifugio presso di loro, si sfilano le tuniche subito, senza ombra di remora, con la disinvoltura con cui ci si sfila l’accappatoio per tuffarsi in piscina. Con il risultato che, come monache, sono del tutto irreali; semmai, sembrano modelle che posano con un costume “trasgressivo” per una rivista di erotismo patinato.

Eppure l’episodio di Masetto, così svilito (a cui, però, l’attore Hayden Christensen aggiunge un tocco più autentico di grazia adolescenziale), è uno dei più riusciti del film, forse perché conserva una qualche impronta della fantasia di Boccaccio.

Per il resto, Decameron pie, che racconti di pirati pettoruti, di cavalieri delle steppe russe che storpiano buffonescamente l’italiano o di nobili biechi e vanitosi; che mostri scorsi turistici delle città e delle campagne toscane; che ci intrattenga con duelli o con avventure libertine interrotte sul più bello; ha tutta la convenzionalità, la falsa allegria, il senso di cartapesta nei luoghi, nei corpi e nelle psicologie, dei peggiori film di fiction prodotti dalla Walt Disney (un po’ più audace, forse).

Il personaggio di un pittore di chiese, che fa da voce narrante, e che afferma di divertirsi a dipingere il sesso degli angeli, vuole essere probabilmente un omaggio di Leland a Pasolini (che nel suo film interpretava proprio un pittore). Ma i due film sono di qualità incomparabile.

E il mio consiglio non può che essere: lasciate perdere Decameron pie, e, magari per festeggiare il 20 settembre, procuratevi la versione restaurata in DVD del Decameron di Pasolini.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie radicali, 17 settembre 2008)


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