Per millenni e fino a poco tempo fa si è fatto credere al popolo che il potere dei re, degli imperatori, della nobilaglia in genere, discendesse da un dio, uno qualsiasi, ma riconosciuto da un culto, da una religione. Oggi, che ci siamo svegliati e siamo moderni e acculturati, a queste imposture crediamo di non crederci più, ma cadiamo sempre nel solito imbroglio. Chi ha il potere non ha più il coraggio di dire che l’investitura gli viene da un dio: semplicemente dice che gli viene dal popolo elettore. Come prescrive la democrazia. Anche gli ultimi grandi dittatori hanno sempre detto che il potere gli veniva, dal popolo, dalla classe operaia, eccetera. Berlusconi lo ripete continuamente che il suo diritto a governare gli viene dalla nazione che lo ha votato a maggioranza. Non è vero. Il potere di chi governa non viene dal popolo, viene da una casta molto ristretta che sottobanco si accorda per decidere di volta in volta chi sarà il governante di turno con la contropartita di non perdere il posto. Il popolo “sovrano” non sceglie i propri rappresentanti, conferma gli scelti. Ecco che allora possono esserci cittadini che dicono di non voler votare più.
Il Parlamento italiano, formalmente, è eletto dal popolo ma in realtà è “nominato” da pochissimi potenti che detengono il vero potere. Che decidono quale debba essere la politica che il “palazzo”dovrà attuare; quali dovranno essere le iniziative che gli potranno dare maggior consenso. È un parlamento concesso “per grazia”, come accadeva in certe monarchie assolute. Chi detiene “il vero potere” riesce perfino a timonare le elezioni primarie; perfino quelle interne ai partiti sono imposte dall’alto e se qualcuno tenta di ribellarsi e di autoproporsi come candidato, non trova nessun sostegno, anzi rischia, come qualche volta e successo, l’espulsione dal proprio partito. Si sono perdute, è vero, identità collettive come la classe operaia, per esempio; molti non sanno più in chi riconoscersi, ma nonostante non credano più alla partecipazione di base -perché sembra quasi che la partecipazione di base sia un fastidio- lo sforzo di andare a votare lo fanno ancora. Salvo restare delusi e dire poi, come dice quel tale che si lamenta qui, a votare non ci vado più. Io dico che il voto più che un diritto è un dovere, ma come non capire quel cittadino deluso e arrabbiato. Le cupole della politica discutono tra loro, tra loro si accordano, poi fanno il teatro del contrasto e della contrapposizione ma contemporaneamente si spartiscono le cariche nei centri di potere.
Cinquecentomila soggetti vivono oggi esclusivamente di politica; una nuova categoria di lavoratori; con redditi da sogno e gratifiche inimmaginabili per noi comuni. Gente che non sciopera, anzi asseconda il capo con l’aspettativa di una carica migliore: in una clinica prestigiosa, nella Rai, nelle società partecipate dalla Stato; una raccomandazione per un parente per un amico per un’amante… Un refugium peccatorum di arrivisti senza scrupoli, di trombati di cortigiani di portaborse. E il peso di tutta questa masnada ricade sulle spalle del cittadino suddito elettore. Che se vuole migliorare la propria condizione sociale ed economica, o se vuole far carriera nel lavoro non ha che i suoi meriti. Che non contano più niente.
Qualcuno ha detto che hanno sempre governato i ricchi, che governando diventano più ricchi e da più ricchi si prendono sempre più potere. E nonostante si tratti di soggetti che non hanno più nessun rispetto; personaggi impresentabili, la società continua a lasciarli governare E paradossalmente si rassegna alla propria impotenza e all’indifferenza, sopraffatta com’è da un sistema d’informazione asservito e interessato. E infine c’è la mancanza di alternative, nei soggetti e nella politica, che ci fa dire che sono tutti uguali. E non ha proprio tutti i torti chi lo dice: basta guardare, per esempio, come non riesce a ben marcare le proprie differenze e a recuperare la sua immagine, questa rissosa pretaglia della sinistra che si lascia sorpassare perfino da Famiglia cristiana.
Piero Chicca