Lo scaffale di Tellus
Ovidio Della Croce. Replica al Corriere della Sera 
Sul libro di Carioti e sulla polemica a San Giuliano Terme
08 Agosto 2008
 

Alla cortese attenzione del Direttore

e di Pierluigi Battista, 

con preghiera di pubblicazione

(e con quasi certezza che non sarà pubblicata)

 

Vorrei dire a Pierluigi Battista che ho letto i resoconti e i commenti sulla polemica sorta a San Giuliano Terme intorno al libro sugli Orfani di Salò, compreso il suo articolo “La contestazione (a prescindere)...”, (Corriere, 21 luglio). Sono abituato alle critiche e le considero preziose specialmente quando colgono nel segno, ma il suo pezzo non tiene conto di alcune nostre ragioni.

Lei scrive: «La solita sceneggiata promossa da chi è allergico alla libera discussione culturale». Al contrario, noi eravamo favorevoli a una discussione aperta sulla memoria collettiva in un consiglio comunale pubblico tra i consiglieri, le associazioni, i testimoni della memoria antifascista, l’autore del libro, la rappresentante della casa editrice e i cittadini di San Giuliano. Le limitazioni poste alla libertà di discussione e allo svolgimento dell’assemblea hanno portato i gruppi della sinistra ad abbandonare l’aula. Quanto alla sua affermazione sulla «contestazione a prescindere dal contenuto», le dirò che noi non siamo entrati nel merito del libro (introvabile in quei giorni nelle librerie pisane, efficacia del boicottaggio alla rovescia) e i consiglieri comunali di maggioranza hanno scritto, in una lettera all’editore Mursia in cui manifestavano il loro disappunto: «Noi non abbiamo letto il libro in questione, ma neanche abbiamo dato giudizi a priori… Quella che si profila però non è un’iniziativa culturale o storica, ma una manifestazione politica, perché tale è il contesto in cui è stata presentata».

La pregherei di considerare almeno questa obiezione: non si è trattato di un «riflesso pavloviano» alla parola «Salò», ma di una protesta ampia non verso un saggio di storia e un giornalista a cui nessuno nega il diritto di esporre le sue ricerche, bensì contro una precisa strumentalizzazione della presentazione del libro da parte di An per attestare la sua identità di partito. In Consiglio comunale il capogruppo di An, nell’annunciare l’iniziativa, esaltò Almirante e questo fece scattare una protesta immediata per evitare che un luogo pubblico fosse trasformato in una riabilitazione di personaggi legati all’eredità della Rsi. Nel pomeriggio della presentazione del libro è stato negato l’accesso al palazzo comunale persino ai consiglieri comunali. E durante la presentazione è stata infangata la memoria di un capogruppo storico del Pci degli anni Sessanta in Consiglio comunale apostrofandolo come appartenente alla «peggior feccia». Io penso che a volte si usa la storia per uno scopo piccino: per assottigliare la differenza tra i repubblichini e i partigiani, tra i missini e i comunisti, tra il Sessantotto nero e quello libertario. Per questo ci sembrava più adatto un altro luogo che non quello istituzionale per lo svolgimento della conferenza.

Nello stato attuale del paese in cui molti si sentono completamente estranei alla lotta partigiana è bene tenerci stretta la “santa memoria antifascista”. Se lei ha trovato che abbiamo esagerato sappia che è per questo motivo, togliendo il primo attributo “santa”. Non so dire invece perché i nostri avversari abbiano esagerato nel dipingerci come “nemici dei libri e della democrazia”. O forse sì: per la pigrizia mentale di porsi domande di questo tipo: perché fanno così? Questo sforzo è necessario, per uno sguardo attento sul passato. Che fatica la democrazia, se vogliamo trovarci d’accordo su una morale.

28 luglio 2008

 

Ovidio Della Croce

Consigliere comunale Prc Comune di San Giuliano Terme (Pi)

 

 

La contestazione (a prescindere) per esistere. Che brutta fine...
di Pierluigi BattistaCorriere della Sera, 21/07/2008

 

C’è qualcosa di grottesco e sconfortante nello psicodramma inscenato in questi giorni a San Giuliano Terme, alle porte di Pisa, per protestare contro la presentazione del libro di Antonio Carioti dedicato agli Orfani di Salò. Urla, minacce, cortei, sonore contestazioni rivolte persino all’editore Mursia. Addirittura una giunta messa in crisi dalla sinistra massimalista a causa della saggia decisione del Partito democratico locale di non negare una sala consiliare alla discussione del libro. La solita sceneggiata un po’ truce promossa da chi è allergico alla libera discussione culturale. Stavolta con un’aggravante, però: che i manifestanti non avevano la benché minima idea di che diavolo ci fosse scritto nelle pagine di Carioti. Una contestazione a prescindere dal contenuto. Solo un’occhiata al titolo, e poi il riflesso pavloviano, l’istinto incoercibile alla mobilitazione purchessia, la ripetizione lugubre del sempre uguale, gli stessi slogan appresi nel corso di una vita spesa senza requie nelle piazze della protesta, l’attaccamento morboso a una liturgia antica e collaudata.

Grottesco, appunto. Sconfortante. È stata sufficiente una parola, «Salò», per sospettare una malvagia intenzione apologetica del fascismo da parte dell’autore del libro. Come per le vittime di un sortilegio, prigioniere di un’ipnosi che travolge e cancella ogni parvenza di ragionevolezza, il suono demoniaco racchiuso in quella parola, «Salò», ha risvegliato lo spirito esorcistico di chi conosce solo due reazioni quando sembra manifestarsi la presenza insidiosa del Maligno: la scomunica e l’anatema. Nel libro di Carioti, è ovvio, non si tesse l’apologia di Salò ma si descrive, con un apparato documentario frutto di un impegnativo studio sull’argomento, l’atmosfera esistenziale e culturale che durante i primi anni dell’Italia democratica attirò nel partito dei fascisti sconfitti tanti giovani affascinati dal richiamo romantico di una causa perduta. Ma cosa poteva importare agli esorcisti della protesta? Bastava «Salò» per denunciare il sacrilegio. Non occorrevano altre fastidiose prove per biasimare in coro la «provocazione», l’«oltraggio» alla santa memoria antifascista. Grottesco. Sconfortante.

E deprimente. Deprimente perché questi riti risuonano oramai come fiacca esibizione epigonica di un’era che si è (fortunatamente) spenta. E sembrano richiamare, più che la febbre di un movimento comunque radicato nella coscienza diffusa di almeno una parte degli italiani (come avveniva nel passato), la disperata ostinazione di chi crede di poter accedere così, attraverso il fischio e l’urlo, a una visibilità pubblica con il passar del tempo sempre più angusta. Fischiare per esserci, o esserci almeno, in mancanza d’altro, per mezzo di un fischio. Un cartello, uno striscione, l’interruzione di un discorso o di una presentazione editoriale come antidoto alla marginalità e all’invisibilità: e non importa se il bersaglio sia mediaticamente immenso, come la visita del Papa nell’ateneo romano, o meno appariscente, come un libro dedicato agli orfani di Salò. Per scoprire, lezione amara per i professionisti della contestazione, di essere figli, più che di un’eroica età dei furori ideologici, della tanto vituperata società dello spettacolo. Una brutta fine.

 

 

Antonio Carioti

Gli orfani di Salò

Mursia, pagg. 296, € 17,00


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