Diario di bordo
Cina: “piccole” notizie di cui non si parla (o si parla male e poco)
04 Giugno 2008
 

Oltre seicento le vittime a piazza Tienanmen.

L’ex presidente cinese Yang Shangkun, in carica nel 1989, e morto nel 1998, secondo l’organizzazione umanitaria di Hong Kong Centro Informazioni per i Diritti Umani e la Democrazia, avrebbe confidato a una persona in visita a casa sua che «più di seicento persone erano morte in piazza Tienanmen fra il 3 e il 4 giugno del 1989», quando l’esercito represse le proteste degli studenti.

Il Partito Comunista Cinese da diciannove anni tiene top secret il numero delle vittime; varie fonti hanno fornito i dati più disparati, da alcune centinaia ad alcune migliaia.

Yang nel 1989 era presidente della Cina e vice-presidente della Commissione militare centrale, l’organismo che controlla le Forze Armate, e fu tra coloro che sostennero lo sgombero della piazza con la forza. Secondo l’ONG di Hong Kong, che cita una fonte anonima vicina al defunto presidente, Yang avrebbe confidato che le persone arrestate per le proteste furono circa ventimila, quindicimila poi furono accusate di attività controrivoluzionarie e altri crimini. Una settantina di giovani furono condannati a morte, e immediatamente uccisi. Secondo numerosi gruppi che si occupano dei diritti umani, decine di condannati per le proteste sono ancora in carcere o richiuse in campi di lavoro e rieducazione.

 

Le madri di Tienanmen chiedono verità e giustizia.

L’associazione delle madri di Piazza Tienanmen, costituita da donne che hanno avuto figli uccisi nel massacro del 4 giugno 1989, ha chiesto al governo cinese di dire quante furono le vittime dell’intervento militare contro gli studenti che occupavano la piazza centrale di Pechino. Invocare il «segreto di stato», sostengono le donne in un sito web creato per l’occasione (www.tiananmenmother.org), «non ha alcun fondamento legislativo», e il governo di Pechino dovrebbe compiere «un atto di coraggio e di responsabilità».

Il massacro, avvenuto nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 sulla piazza che da due mesi era occupata dagli studenti, mise fine al movimento democratico cinese. I fatti del 1989 portarono alla caduta dell’allora segretario comunista Zhao Ziyang che aveva disapprovato l’intervento dell’esercito. In seguito furono bollati come un «moto controrivoluzionario» dal Partito Comunista Cinese.

Quest’anno le madri di Piazza Tienanmen, un’organizzazione fondata nel 1991 dalla professoressa Ding Zilin, non diffonderanno una lettera aperta alle autorità, come avevano fatto negli anni passati. Hanno invece pubblicato sul sito web una mappa dei luoghi dove sono state uccise i loro congiunti, e insistono perché il governo dia una versione veritiera dei fatti di quella notte. Secondo le autorità di Pechino, ricordano le “madri”, sono morte in tutto 200 persone, per la maggior parte militari, e solo 36 studenti. Le “madri” ricordano di aver individuato 189 vittime, 71 delle quali erano studenti universitari.

 

Appelli per il rilascio dei detenuti della Tienanmen.

«Decine di persone sono ancora rinchiuse nelle prigioni cinesi solo per aver contestato il Governo. Il Governo cinese non è in alcun modo giustificato a continuare a tenere rinchiuse quelle persone». È la denuncia di Sam Zarifi, direttore di Amnesty International per la zona Asia-Pacifico.

Non si conosce il numero esatto delle persone detenute per il ruolo avuto nelle proteste di piazza Tienanmen, perché le autorità cinesi non hanno reso pubblica la cifra, la secondo l’organizzazione Dui Hua Foundation sarebbero tra i 60 e i 100; mentre per Human Rights Watch sarebbero 130: «Il governo cinese dovrebbe dimostrare al pubblico globale delle Olimpiadi quanto sono serie le sue motivazioni in tema di diritti umani, rilasciando i detenuti delle proteste di piazza Tienanmen», sostiene Sophie Richardson, direttrice di Human Rights Watch per l’Asia.

 

Alle Olimpiadi vietate bandiere e slogan insultanti.

Durante gli eventi olimpici in Cina sarà vietato esporre «bandiere o slogan insultanti». È quanto prescrive il Comitato Organizzatore dei Giochi Olimpici (BOCOG) in una sorta di vademecum per stranieri durante le Olimpiadi del prossimo agosto a Pechino.

Il vademecum è stato diffuso dal sito web del BOCOG (www.beijing2008.cn). Il comitato ricorda che i cittadini stranieri hanno acquistato biglietti per le Olimpiadi, «non hanno automaticamente il visto», ma che devono «presentarsi alle ambasciate e ai consolati cinesi e fare richiesta per un visto secondo le regole vigenti». Dalla Cina, precisa il BOCOG, verranno banditi i trafficanti di droga, e tutti coloro che si dedicano alla «sovversione», che hanno «malattie mentali o veneree» o che sono «dediti alla prostituzione». Per mantenere «l’igiene e l’immagine civilizzata della città è proibito dormire in luoghi pubblici come gli aeroporti, le stazioni, i marciapiedi e le cinture urbane di verde». Gli stranieri devono «sempre portare con loro il passaporto» e registrarsi alla polizia entro 24 ore dal loro arrivo nelle zone urbane, mentre chi soggiorna nelle aree rurali ha 72 ore di tempo.

 

a cura di Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 4 giugno 2008)


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