A 75 anni compiuti, scrittore e attore che ha cambiato il volto della comicità italiana, protagonista del teatro di Strehler, del cinema dell'ultimo Fellini e di Olmi, Paolo Villaggio è in scena al Teatro della Cometa di Roma fino al 1° giugno con Serata d’addio, che raccoglie tre pezzi di bravura.
Villaggio drammaturgo ci propone, infatti, dopo averli fatti propri mediandoli con il suo stile inconfondibile, tre atti unici suggeriti da Il tabacco fa male e Il canto del cigno di Cechov e L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello.
La disperazione, la ribellione e la solitudine di un uomo, ma allo stesso tempo la sua trascinante carica comica e grottesca sono il filo conduttore e l’anima di queste tre situazioni.
Tre uomini e uno solo allo stesso tempo. Tre tipi che sembrano incarnarsi e vivere con straordinaria intensità nell’attore stesso che li adotta e li anima, con formidabile immedesimazione.
Il primo intervento “Il fumo uccide”, ispirato a Il tabacco fa male, è una dura accusa contro i danni provocati dal fumo. Una conferenza di denuncia morale e di grande responsabilità civile.
A sipario chiuso si spengono le luci in sala e, da dietro le quinte, si sente sommessa la voce del protagonista che rassicura la moglie sull’esito e l’efficacia del suo monologo antifumo, antialcol, e antidroghe varie. La voce della moglie non si sente mai, ma solo la voce angosciata e per nulla rassicurante del poveretto, che sembra decisamente succube della donna.
A proscenio, poi, compare e narra che è un ex tabagista, spiegando quali sono i terribili danno del fumo. Ogni tanto, sommessamente, si rivolge alla quinta di destra dove “c’è” la moglie in agguato. Dirà quindi spesso: “Va bene così vero? Come sto andando?” insomma sembra che più che a ricevere l’approvazione del pubblico, lo interessi convincere la moglie che lo sta controllando. Poi, sempre monologando con il pubblico, il suo rapporto con la moglie va a calare e riconosce che alcolisti, fumatori accaniti si rimane per tutta la vita e si intuisce che per lui c’è in agguato un futuro con una terribile dipendenza da quei vizi di cui non è mai riuscito a liberarsi.
“Una vita all’asta” da Il canto del cigno è, invece, la confessione e il congedo dell’attore giunto alla fine della sua carriera o comunque al momento in cui sembra ora di dire basta lasciando spazio ad altri.
I ricordi di tanti episodi e aneddoti tornano alla mente per diventare una specie di suo testamento artistico. Lui spiega che quella non è una serata d’addio, ma semplicemente la sua ultima comparsa in un palcoscenico di teatro. Ha accanto a sé una valigia piena di oggetti e ricorda un episodio della sua vita in teatro legato ad ognuno di questi. Si commuove per momenti di trionfo e si umilia per serate con un pubblico feroce, per papere clamorose ecc.
Terzo pezzo di bravura “L’ultima fidanzata” da L’uomo dal fiore in bocca. Ipocondria, paura della morte. Un uomo solo col suo destino subdolo e crudele. L’angoscia di un responso medico preoccupante e la strana sensazione di venire proiettato in un’altra dimensione dove la vita con i suoi problemi assume un significato completamente diverso.
Un medico gli ha appena detto che ha una brutta malattia ad un polmone. “Quanto mi resta da vivere?”, chiede fingendo molto coraggio. Il medico senza guardarlo negli occhi e mentre gli scrive il referto alza l’indice della mano sinistra. E lui, “Un anno?”; il medico scuote la testa, “Un mese?” fa lui angosciato, e il medico: “Si, ciccia!”.
Lui capisce che ha una sola settimana di vita. Spara un cazzotto con rabbia sul naso del dottore e va via senza pagare il conto. Ma qui spiega al pubblico che quella notizia terribile, invece di buttarlo in uno stato di prostrazione profonda, lo libera da tutte le sue paure: l’insuccesso, la mancanza di una grande storia d’amore. Capisce che si è liberato di una famiglia ormai insopportabile. Insomma, non è certo felice, ma si è liberato di tutto.
Racconta poi di come ha cercato di farsi convincere dell’esistenza di una vita dopo la morte contattando un grande psicologo, poi il capo di un monastero sulle colline della città e, infine, buttandosi a leggere libri sacri e scientifici nei quali c’è scritto che l’anima dell’uomo sopravvive alla morte del corpo.
Racconta al pubblico che in questo suo girovagare, lui che era vigliacco, è diventato coraggioso, racconta anche che lui, in questa nuova condizione, riesce quasi a fare innamorare una ragazza bella e intelligente. Al punto che la ragazza gli dice: “Lo sai che io vorrei fare un figlio con te? E anche se sei vecchio vivere al tuo fianco tutta la vita? Sei d’accordo?”. Si rivolge al pubblico: “Non le ho neppure risposto e l’ho lasciata inebetita”.
Le richieste di bis alla fine sono persistenti e l’attore, prendendo a pretesto l’incontro con l’astrofisica Margherita Hack, atea dichiarata, chiude lo spettacolo con la lettura del Cantico delle Creature di San Francesco d’Assisi, lode a Dio che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l'immagine del Creatore.
Teatro: Teatro della Cometa
Città: Roma
Titolo: Serata d’addio
di e con Paolo Villaggio
composto da tre monologhi:
“Il fumo uccide”
ispirato a Il tabacco fa male di Anton Cechov
“Una vita all’asta”
ispirato a Il canto del cigno di Anton Cechov
“L’ultima fidanzata”
ispirato a L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello
Regia: Andrea Buscemi
Periodo: fino al 1° giugno
Lucio De Angelis
(da Notizie radicali, 16 maggio 2008)