Diario di bordo
Francesco Pullia. L’eclissi dei verdi
19 Aprile 2008
 

All’indomani dei risultati elettorali si è tanto parlato dell’estromissione dalle aule parlamentari delle ali più estreme della sinistra e dei socialisti. Nessuno, però, ha considerato che ad essere assenti dalla nuova legislatura saranno anche i verdi.

Si tratta di un aspetto che non può essere affatto trascurato soprattutto da noi radicali.

Il desolante riscontro ottenuto dalla compagine di Pecoraro Scanio, Paolo Cento, Angelo Bonelli, Grazia Francescato giunge al culmine di un percorso involutivo che ha contrassegnato, purtroppo, una formazione nata trent’anni fa da una costola radicale ma penosamente finita stritolata da alleanze innaturali.

Poco, infatti, ha da spartire un discorso ambientalista con quello dei cascami del totalitarismo comunista. Lo strano connubio ha comportato uno snaturamento della storia e delle motivazioni da cui è scaturito l’ecologismo, l’appiattimento in una posizione, tanto retorica quanto sterile e improduttiva, di aperto e preconcetto negativismo, un’incapacità di fondo progettuale manifestata in modo eclatante in ambito governativo nonché un’ideologizzazione di contenuti che, invece, per essere portati avanti in modo costruttivo richiedevano e richiedono (sono tutt’altro che superati e seppelliti) una diversa predisposizione.

In altri termini, i verdi sono stati giustamente puniti dall’elettorato perché divenuti di tutt’altro colore.

Nelle tante, davvero tante, occasioni in cui hanno avuto l’opportunità e la possibilità di agire concretamente per imprimere una svolta e uno slancio si sono sempre dimostrati più sensibili a logiche di bottega che all’interesse generale.

Non solo. Hanno finito per essere espressione di bolso, retorico, settarismo anziché di reali, vitali, esigenze. La sequela delle occasioni mancate, sprecate, è lunghissima e va dal modo con cui (non) hanno saputo affrontare la questione energetica all’emergenza idrica, dall’incomprensione di un fenomeno come quello della globalizzazione, sempre unicamente demonizzato e mai valutato nei suoi risvolti da governare (che è ben altra cosa dall’accettazione acritica), o di eventi internazionali (si pensi alla scelta, soltanto per principio, pacifista) alla questione, ormai cruciale anche per loro (ir)responsabilità (Napoli docet), dello smaltimento dei rifiuti e via dicendo.

Su questa strada, i verdi sono andati sempre più digradando e degradando, assumendo l’aspetto di estrema propaggine della partitocrazia. Altro che forza alternativa!

Tuttavia la loro sparizione non significa affatto inattualità delle tematiche ambientali. Al contrario, è proprio sull’ambiente che si gioca il destino della politica, a partire dall’immediato. Ambiente visto non soltanto in chiave conservativa e esclusivamente naturalistica ma anche geopolitica, demografica, di interdipendenza tra uomo e altri esseri senzienti, di (sotto)nutrizione e (iper)alimentazione.

In altri termini, una politica ambientale è chiamata ad affrontare certamente ma non solo le conseguenze dell’inquinamento. L’ecologia ha senso se è ecosofica, se esprime, appunto, conoscenza, saggezza dell’oikos, dell’abitare in quanto essere-all’interno-di-una-fitta e complessa-rete-di-nessi e interessi. Lo abbiamo già scritto altre volte. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Del pensiero verde dovremo farci carico noi e in modo maturo, cioè incentrando l’analisi e l’azione in chiave olistica. Non può darsi tutela ambientale se immiserita all’interno di un arrogante antropocentrismo. C’è molto da lavorare. Rimbocchiamoci le maniche.

 

Francesco Pullia

(da Notizie radicali, 18 aprile 2008)


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