Sì, viaggiare
Bruna Spagnuolo: La grande Cina (la 'mia' / 1991) – 3. Dentro e fuori i magnifici templi...
17 Aprile 2008
 

I tetti sono l'apoteosi della bellezza architettonica di queste costruzioni-gioiello uniche e rare.

 

 

L'interno dei templi è zeppo di arazzi preziosi e di dipinti dal valore inestimabile. Ogni tempio è una sorta di banca nella quale nessuno fa l'inventario delle molte ricchezze. Il divino vi aleggia insieme all'odore di burro di yak. Gli altari di Budda hanno balaustre lignee, ad altezza di gente inginocchiata, sul pavimento, e sono unte del burro benedetto che abbonda nelle bacinelle davanti al Dio (la gente porta da casa le nuove provviste e le deposita sugli altari e preleva piccole quantità di quello benedetto da portare in seno alle famiglie). Simbolo di ricchezza e di benessere, il burro di yak è come una benedizione. La gente ne fa molti usi e se lo spalma anche sulla pelle. I Monaci si avvolgono tutto il corpo nei tessuti e lasciano nudi una spalla e un braccio da usare in tutta libertà, ma vi spalmano sopra il burro provvidenziale, che li isola dal freddo e ne attenua il morso invernale.

L'odore rancido del burro di yak fluttua nell'aria, dentro e fuori i magnifici templi. In una di queste incredibili chiese buddiste, dipinte e raffinate fin negli angoli più nascosti, un'intera stanza contiene sculture incredibili (4ª foto allegata in calce) e inimmaginabili realizzate in burro di yak. Abbiamo rubato una foto ricordo di un solo angolo di tale meraviglia, scattandola, a caso, dalla macchina fotografica che penzolava sul petto, contravvenendo a un severo divieto (ma non mi pento di aver portato con me questo piccolo aiuto per la memoria).

 

Dietro la bellezza e la funzionalità di tutto il lamasery, si nasconde la vita delle comunità di monaci che, come api operose, sovrintendono a tutto e ad ogni cosa, non risparmiandosi nessuno dei lavori, a partire da quelli più umili e pesanti, come fare il bucato, con acqua fredda, all'aperto, in pieno inverno, e trasportare l'acqua da lontano, nei secchi appesi a un bilanciere sulle spalle.

Nei momenti di “riposo”, i monaci si dedicano a lavori leggeri (come -vedi foto 8ª- lucidare le ciotoline di ottone). I più giovani, dietro il muro, imbrigliano la loro baldanza giovanile, stremandosi con esercizi ginnici sconosciuti al mondo occidentale: tenendo tra le mani due manopole-appoggio di legno, siedono sulle gambe ripiegate e, arcuandosi, si stendono sul pavimento, scivolando sulle manopole, fino a trovarsi supini; ripetono il movimento, a lungo, come un mantra gestuale.

 

Immersa in tanta bellezza, io cerco d'ignorare il mal di testa e il forte senso di nausea dovuto all'altitudine (e aggravato dall'odore rancido e onnipresente del burro di yak); quando penso di alleviarlo, cerco i bagni pubblici (ed è un errore irreparabile per il mio stomaco). Salgo una scala e seguo le indicazioni ricevute dal monaco di passaggio. A sinistra li trovo. Sono vari buchi in un pavimento rialzato (tipo palafitta), divisi da muretti ad altezza di uomo accovacciato. Dei vari occupanti si possono vedere le teste. I loro escrementi cadono direttamente sul terreno sottostante, all'aperto, dove sono raggiungibili da eventuali animali (magnifica soluzione dal punto di vista ecologico). Giungo soltanto fino all'ingresso e torno precipitosamente sui miei passi: l'idea di una latrina collettiva non è esattamente quella che avevo in mente, anche perché vorrei lavarmi le mani e rinfrescarmi il viso. L'odore nauseabondo è forte e insopportabile ed è il colpo di grazia per la mia nausea già accentuata...

 

Leggermente più a valle, troviamo una specie di albergo-ristoro per pellegrini (e un bagno), poi siamo pronti al viaggio di ritorno.


Bruna Spagnuolo (testi) e G. Ferrari (foto)

 

Continua...


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