Malpensa
Non è per dire, io ti ricordo al duty free
della Malpensa, con il vestito, come tutte
perché uno sguardo come quello non si scorda:
di chi da terra ha sollevato un corpo
ancora caldo e l’ha piantato, l’ha ricoperto,
ha omesso, ha tolto. Senza parlare, nulla.
È un mondo a parte la Malpensa,
coi tabelloni bianchi
coi profumi, le sigarette a stecche da 50,
il brandy che ti guarda e sembra un viso
che conosci, sparato in volto, decapitato
chiuso dai capelli, misto alla polvere,
che implora di riemergere.
Devi diventare più aggressivo col lavoro
perché oramai va forte anche l’usato
e un poco ovunque spuntano degli outlet;
devi andare (avrai capito) nei luoghi del dolore,
in clinica oncologica ad esempio, e dire:
“Lei è incurabile per caso? E quanto tempo ha
[a disposizione,
un anno? E alla bara ha già pensato? Io le vendo da
[20 anni,
importo il legno dalla Svezia, sono bravo, costo poco”.
O ancora meglio ti dovresti fare forza e suonare
porta a porta nel paese, e chiedere a chi t’apre
se per caso è a conoscenza di qualcuno che sia morto
o lì per farlo o se quello in primis (pure in ottima salute)
non volesse già decidere la cassa.
Perché tanto “quella” arriva e non fa sconti,
e per lo meno allora la tua bara sia economica e curata,
di buon gusto, fatta a mano, da un esperto del settore.
Devo prendere gli antipsicotici,
è quello che ha detto Nazzoli alla clinica.
I motivi già li conoscete:
ho reazioni scomposte ed attacchi di panico.
Alle volte mi pare qualcuno mi fissi
sull’autobus, è a quel punto che cerco
di sfondare il vetro scappando per strada.
Fingo d’essere un terrorista due volte ogni anno,
minaccio l’autista con il tagliaunghie,
gli dico di portarmi in Piazza dei Servi:
lui ormai mi ha presente (è lo stesso da anni)
in fretta mi lascia nel luogo richiesto,
chiede scusa alla gente sul mezzo
e riparte. Ridendo.
In televisione rivedo Pier Carlo,
cuoce una bernese di sgombro.
Quello che presenta domanda:
“anche i grandi poeti mangiavano il pesce sovente?”
Ed ecco che lui gli risponde. E sorride.
Pier Carlo a vent’anni se lo contendevano tutti,
era la grande promessa, il nuovo Leopardi.
Montale perfino voleva cenasse con lui
ogni volta possibile, lo chiamasse “nonno”:
lo amava come fosse un figlio.
Ma un giorno una tv privata gli chiese
di partecipare a un dibattito:
e lui era bello, spigliato, ci sapeva fare,
“è perfetto” dicevano
“sa proprio bucare lo schermo”.
Di comparsate Pier Carlo ne ha fatte 240 a quest’oggi:
scalato montagne, visitato malghe, accudito delfini,
camminato sui carboni ardenti, inviato ai mondiali di
[rutti.
Esce un suo libro ogni anno, ma li scrive Sandro,
[ragazzo di Sondrio
pagato profumatamente per tacere, lavorare. basta.
A volte Pier Carlo mi chiama
la notte, mi dice che ancora una volta
Montale gli è apparso nei sogni
ai piedi del letto
e lo ha preso a schiaffi.
Risponde mia moglie,
gli dice che sono a Milano,
o Varese per qualche convegno,
che è solo un fattore nervoso, di prendere
un bel latte caldo e rimettersi a nanna.
dimmelo mamma:
che sono bellissima, come le ballerine alla televisione,
anche se in classe mi chiamano
scimmia e mi gettano in faccia le arachidi.
ma tu dimmelo. dimmi che io sono
intelligentissima meglio dei miei professori
che mi urlano “scema perché non capisci che è così
[semplice: è ovvio! ”
che mi hanno affidato a una tizia che insegna le cose
[più semplici.
ed io te ne prego tu dimmelo: dimmelo
mamma, ti prego, e smetti di piangere. basta.
Ti parlai di Apocalisse nell’ultima mia lettera,
e ancora oggi sono convinto della cosa:
non ho pensato più alla possibilità di trasferirmi.
In effetti non è che pensi a molto ultimamente
sono bloccato da qualcosa che mi umilia,
forse le immagini del dramma
oppure un insistente insinuazione del ricordo.
Il lattaio di via degli Ori
chiuse nel ‘938
per scappare in Francia
dove aveva parenti.
Per anni sulla vetrata
rimase a vernice la scritta
latte ebreo
E io ero un bimbo,
senza un’idea precisa di quello
che stesse accadendo:
credevo si trattasse soltanto d’un gusto,
come la grattachecca all’arancia.
Un giorno ne domandai
al nonno per fare merenda.
Lui mi lasciò cinque dita sul volto.
Dimmi se hai presente
quant’è stretta via Valdonica,
schiacciata tra le mura
del quartiere ebraico
che per assurdo ad uno lì
potrebbero sparare in pieno volto
verso sera all’imbrunire senza nemmeno
un testimone, perché tanto quella strada
anche se in centro è fuori mano,
perché da lì non passa quasi mai nessuno
se non si ha un obiettivo, un luogo
dove andare, dove attendere per ore.
da Kobarid, Raffaelli Editore, Rimini, 2008
Postfazione di Gilberto Finzi