Diario di bordo
ROSA NEL PUGNO. Bene per il simbolo, ma il nuovo Partito deve indicare chiaramente la sua strategia
31 Dicembre 2005
 

È indubbio che il processo per la costituzione di un nuovo soggetto laico, socialista, liberale e radicale, abbia suscitato non pochi entusiasmi e aspettative. Non soltanto fra i sostenitori di questa o quella tradizione politica, ma – in una misura straordinaria – fra persone e realtà organizzate che mai, o da tempo non più, avevano fatto alcuna scelta di campo e di militanza attiva. Non è un caso se, dopo l’iniziale “fuga di notizie”, è subentrato una sorta di calcolato ostracismo e, ora, l'inizio di una vera e propria persecuzione con la “nuova” legge elettorale, che obbligherà la rosa nel pugno, se vorrà essere presente sulla prossima scheda, ai triplici salti mortali. Nulla di nuovo sotto il sole. E, lo sappiamo, né dobbiamo farci illusioni: questo non è che l’inizio.

Ma non è quest'ultima, pure attualissima, emergenza ad ispirare queste mie brevi note. Piuttosto, proprio in ragione del moto di partecipazione, della volontà di contribuire che suscita l’iniziativa, vorrei entrare subito nel merito delle questioni per così dire costitutive. La scelta del simbolo, in qualche misura scontata, è stata adottata d’emblée e facilmente tutti vi si possono riconoscere, sia i promotori che tutti gli altri che costituiranno il nuovo soggetto. Non così mi è parsa la scelta del nome. E poi, ora, si pone quella della forma organizzativa.

Per il nome, mi sembra abbastanza evidente che averla liquidata con Rosa nel pugno si sia trattato di una non scelta. La questione non è puramente nominalistica come potrebbe apparire. Si tratta di enunciare in modo chiaro, così come giustamente si è fatto col simbolo, la direzione di marcia. Ebbene, che questa scelta, allora, si faccia! E la si faccia nei tempi veloci, anche se non frettolosi, che la dinamica richiede. Per parte mia non mi dispiacerebbe Partito d’azione, che lo stesso Marco Pannella aveva evocato nei prodromi di questo processo evolutivo. Se il richiamo alla storia è troppo forte e magari, in parte, distorsivo, perché non Partito socialista d’azione o, se il termine “socialista” venisse considerato troppo riduttivo (e diverrebbe qui lungo spiegare perché invece non lo sarebbe), Partito d’azione democratica? Non sono le mie semplici boutades, avendo su ciascuna di queste proposte adeguatamente meditato e avendo per ciascuna diverse e appropriate considerazioni da proporre. Non ne piace nessuna? Se ne trovi una migliore, ma per favore non fermiamoci né contribuiamo ulteriormente al florovivaismo di questi tempi!

Anche per la questione della forma, la sbrigativa indicazione della “federazione” non mi sembra adeguata per due ordini di ragioni. La prima e decisiva ragione deriva dal fatto che in questo modo protagonisti attivi della costituzione del nuovo soggetto politico verrebbero ad essere soltanto le quattro formazioni “promotrici”, mentre verrebbero ad esserne esclusi, o relegati ad un ruolo meramente passivo di adesione, tutti quegli altri soggetti cui ho fatto cenno in premessa. Si scelga allora con coraggio la costituzione di un “partito” (come ho voluto sottolineare anche a proposito del nome), si dia avvia all’iscrizione per il 2006 con una quota provvisoria di cinquanta o cento euro e si programmi la convocazione del congresso di fondazione per l’estate 2006 o subito dopo. Per le regole congressuali e precongressuali, Segreteria e Direzione nazionali provvisorie predispongano una bozza che tenga conto e concili entrambe le tradizioni (quella che consente partecipazione e voto ad ogni iscritto e quella dei delegati espressi dai congressi provinciali/regionali).

Il secondo motivo, più di opportunità se vogliamo, riguarda la prospettiva di medio termine che rimane (e con quanta maggior forza lo diverrebbe!) quella del Partito democratico – sì, proprio quella che vede come altri protagonisti i Ds e la Margherita e dalla quale il nuovo soggetto non può né potrà distrarsi con la scusa che ha molto altro da fare – necessitante, quella sì, di un processo federativo. E trovarsi a dover fare una federazione di federazioni complicherebbe inutilmente un percorso di cui il nuovo soggetto politico potrebbe al contrario farsi battistrada.

Tutto ciò non toglie, e la contraddizione è soltanto apparente, che si possa scegliere e adottare un modello federativo per il nuovo costituendo Partito nel solco della tradizione (teorica almeno) radicale, delle associazioni tematiche e territoriali, e della non meno feconda tradizione socialista delle leghe e via dicendo. Il rischio da scongiurare da subito è invece quello che, con la cosiddetta “federazione”, le vecchie formazioni si costituiscano in componenti permanenti dentro il nuovo soggetto, obbligando anche i nuovi e futuri aderenti a schierarsi anziché poter liberamente esprimere quel “di più” (la famosa moltiplicazione di fattori anziché semplice somma di elementi) che al contrario è la ragione prima a muoverli oggi, ed è facilmente prevedibile ancor più domani, in questa direzione.


Enea Sansi


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