Le montagne divertenti
Cima di Castello (m 3386)
La Cima di Castello vista dalla Sella di Castel
La Cima di Castello vista dalla Sella di Castel 
27 Gennaio 2008
 

Itinerario

 

Partenza. Parcheggio all'inizio della Val di Mello, in località Gatto Rosso (m 1050).

Come arrivarci. Da Sondrio si segue la S.S. 38 in direzione Morbegno fino ad Ardenno, dove si imbocca sulla destra, prima del ponte ad arco sull'Adda, il bivio per la Val Masino. Si percorre quindi la SS 404 che risale la valle fino al paese di San Martino (m 916), dove si incrocia il bivio per la Val di Mello. Lo si imbocca e si risale la valle per circa 1 km fino ad incontrare un ampio parcheggio dove la strada carrozzabile termina.

Via. Rif. Fiorilli – Cascina Piana (m 1092) – Bivio per Val di Zocca e Rif. Allievi Bonacossa – Cascina Zocca (m 1725) – Baita Zocca (m 2016) – Pianone di Zocca (m 2070) – Rif. Allievi Bonacossa (m 2385) – sella del Castel (m 3000) – Cima di Castello (m 3386) – Rientro per la stessa via di salita.

Tempo di percorrenza previsto. 12 ore per l'intero giro.

Attrezzatura richiesta (percorso completo). Scarponi, ghette, piccozza, ramponi, frontalino, utile uno spezzone di corda.

Condizioni meteo trovate il 4 novembre 2007 Vento e molto freddo (-4/-6°C) a tratti, 20 cm di neve oltre i 3000 metri di quota.

Difficoltà. 3+ su 6.

Dettagli Alpinistica. f += Salita con passaggi di arrampicata di I grado oltre il rifugio Allievi Bonacossa, pietraie e pendii glaciali poco impegnativi oltre la sella del Castel. Prestare molta attenzione se scarsamente innevati. Oltre 2300 m di dislivello. Punti d'appoggio: Rifugio Allievi Bonacossa(m 2385).

Bilancio.

 

 

(4 novembre 2007) Dopo l’ascensione lampo al Pizzo di Rodes di sabato, oggi la nostra meta e la vetta regina, se non per fama quantomeno per elevazione, della Val Masino, è la Cima di Castello. Rispetto a ieri perdiamo Fausto, ma compensiamo con la valida presenza di Andrea.

Alle ore 7:30 scendiamo assonnati ed infreddoliti dal Panda, che ci aspetterà al parcheggio all’inizio della Val di Mello, poco dopo San Martino. Altre auto sono già li con i passeggeri a bordo, probabilmente arrampicatori che attendono l’arrivo dei primi raggi di sole per aggredire i numerosi massi che circondano la piana. Noi invece non indugiamo oltre e ci incamminiamo come fantasmi lungo il selciato che pavimenta la mulattiera che porta nel cuore della Val di Mello.

Il clima è decisamente rigido e l’autunno ha definitivamente cancellato gli ultimi ricordi dell’estate.

Pianeggiamo con tranquillità lungo l’agevole stradella fin’oltre il rifugio Fiorilli e la cascina Piana, dove incrociamo il bivio dove si diparte il sentiero per il rifugio Allievi-Bonacossa e la Val di Zocca (sx). Lo imbocchiamo e subito questo si impenna, e con ripidi traversi e tornanti prende quota.

Il caldo comincia a farsi sentire, e qualcuno ha addirittura la brillante idea di sfoderare la tenuta estiva: maglietta e calzoncini. Attraversiamo il torrente che scende dalla valle su un ampio ponticello di legno, e macinando i gradoni che caratterizzano il fondo ci lasciamo alle spalle la cascina Zocca (m 1725), giungendo di buon passo alla croce panoramica posta su di un grande e levigato masso, poco sotto la baita Zocca (m 2016, 2 ore).

Qui ci concediamo una pausa ristoratrice, ma oggi il tempo ha deciso di prendersi gioco di noi. Il cielo, al mattino terso e limpido, si è infatti rapidamente velato e una gelida brezza scende dalla testata della valle. Risultato, pausa breve e repentina ripresa del cammino verso l’Allievi.

Passiamo lungo una sorta di gola che introduce allo splendido pianone di Zocca (m 2070), pianeggiante pascolo d’alta quota ancora incontaminato. Dopo averlo attraversato, il sentiero si impenna nuovamente. Non si arriva mai! Superando le ultime balze erbose che precedono il rifugio Allievi (m 2385, ore 3), dove giungiamo flagellati dal vento. Al riparo della struttura che ospita il bivacco, completiamo la breve pausa precedente rifocillandoci con il solito ben di dio che appesantisce i nostri zaini.

Sono le 10:30 e la meta è ancora lontana. Non ci attardiamo oltre e dopo esserci attrezzati contro il temibile vento con i vestiti pesanti riprendiamo il cammino. Sfruttando una costa erbosa a mezza luna subito a monte del rifugio evitiamo una ganda e attacchiamo gli sfasciumi che scendono dalla sella che permette l’accesso al ripiano glaciale di Castello sud, appena a sx della punta Allievi. Ci portiamo rapidamente al piede della bastionata rocciosa che precipita dalla sella, e qui iniziamo la facile arrampicata lungo la cengia che ci permette di raggiungerla.

Ci affacciamo al valico (m 3000 ca, ore 1:30), sul versante svizzero, e dove avremmo dovuto trovare la vedretta di Castello sud c’è solamente una immensa pietraia scarsamente innevata.

 La cima è lassù, apparentemente vicinissima; sono ottimista ed in forze: «Mezz’ora e siamo su», dichiaro spavaldo. Ma la via per raggiungerla è impervia e non priva di insidie.

La neve cela infatti i buchi tra i massi e soprattutto i lisci lastroni scoperti dal ritiro del ghiacciaio, rendendoli cosi degli invisibili scivoli diretti a strapiombo nella sottostante conca glaciale, cosa che ci fa optare da qui in avanti per l’utilizzo dei ramponi. Dopo averli calzati decidiamo comunque di proseguire il più possibile sul filo di cresta sfilando sotto la punta Allievi, e rimontando il dosso quotato 3228 per poi ridiscendere di nuovo a una finestra fra questo e la Cima di Castello. Da qui, quello che un tempo era segnalato come un facile e ripido pendio glaciale porta alla vetta. Ora però il ghiaccio non c’è più, e al suo posto ci sono i soliti lastroni di granito levigato e leggermente spolverati di neve.

La mia spavalderia è sparita, e con essa anche le energie, e la mia “mezz’ora e siam su” si rivelerà una valutazione quanto mai ottimistica. In aggiunta si è tornati a scoppiare di caldo.

Zigzagando alla ricerca della via più agevole siamo però finalmente in cima… anzi, non proprio. C’è ancora un ultimo scoglio da superare per arrivare a toccare la madonnina nera posizionata sul cocuzzolo sommitale.

Un brevissimo ma molto esposto tratto di cresta sospesa tra la valle del Forno a E e lo spaventoso baratro che precipita sulla Val di Zocca ad O. Io e Mario ci guardiamo preoccupati, ma Beno ha già raggiunto la madonnina e trovato la soluzione: una cengia abbastanza comoda e protetta sul versante della vedretta del Forno che permette di aggirare il sottile spuntone roccioso della cresta e guadagnare finalmente la sommità della maggiore elevazione della Val Masino.

Andrea non ci pensa due volte e si lancia come un gatto, io e Mario un po’ più titubanti lo seguiamo: siamo finalmente tutti in vetta (m 3386, ore 2:00 dalla sella). Il grande ghiacciaio del Forno sembra però volere dimostrare che nonostante questi anni di magra è ancora vivo e potente, ululando con un vento gelido e teso risalente dal suo bacino.

Giusto il tempo quindi per gli scatti di rito e appagare la vanità di Beno, desideroso di farsi fotografare con i suoi nuovi occhiali da Rocco Siffredi, e via di nuovo ad affrontare la cengia che ci riporta sul pianoro riparato e soleggiato.

Siamo tutti davvero provati, le fatiche del Rodes si sono alla fine fatte seriamente sentire.

Solo ora però ci guardiamo realmente intorno e riempiamo gli occhi di ciò che ci circonda: davanti a noi, ad O, sfilano i celebri giganti di granito della Val Masino, tra i quali spiccano le inconfondibili sagome del Cengalo e del Badile, con la sua liscia lavagna nera che sprofonda fino al ghiacciaio della Bondasca. Più vicina la formidabile muraglia delle Sciore con la valle d’Albigna ai suoi piedi. Dietro, lontanissimi ma ben visibili, buona parte dei 4000 delle alpi ammantati di ghiacci. Ad est ecco invece l’intero gruppo del Bernina e tutta la bassa Engadina, messi però in secondo piano da una guglia elevatissima che pare quasi a portata di mano: il Disgrazia. Da qui sembra un ago di roccia e ghiaccio che punta dritto al cielo.

È tardi, e il sole che comincia la sua parabola discendente verso la cima della Bondasca e delle nubi che stanno velocemente sfondando dal versante svizzero ci intimano di rientrare.

Scendiamo la rampa che porta alla vetta e questa volta mettiamo piede su ciò che rimane della vedretta di Castello sud, addentrandoci nella conca glaciale. Con qualche difficoltà di troppo riguadagniamo attraverso un ripidissimo canalino ghiacciato la sella e da qui riscendiamo verso la Allievi.

Il sole ci sta salutando, ma prima di tramontare decide di premiare la nostra fatica con un ultimo regalo, colorando di rosa pastello le granitiche pendici della Punta Rasica… uno spettacolo di fronte al quale anche il celebre Rosengarten altoatesino impallidirebbe.

Ormai è una corsa contro le tenebre: il buio sta rapidamente cancellando anche gli ultimi riflessi turchese del cielo e ancora siamo all’Allievi: abbiamo ancora 1300 m di dislivello da coprire. Fortunatamente abbiamo almeno un frontalino in quattro, e nonostante qualche indesiderato scivolone alle 19.30 arriviamo tutti sani e salvi alla macchina, pregustando già la lauta cena che ci aspetta a valle.

 

Enrico Benedetti e Vittorio Sciaresa


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