Luisa Rinaldi
Come l’acqua che scorre
Autoanalisi per il recupero
di una soggettività critica perduta
dopo l’esperienza in una setta religiosa
A & B, 2006, pagg. 128, € 18,00
L’autrice, torinese, è una pittrice, fotografa, scrittrice e poetessa. In questo libro da lei concepito in funzione liberatoria dopo una sua dolorosa esperienza, c’è autoanalisi ma c’è molto di più. Tutti possiamo ritrovarci nelle sue descrizioni di esperienze che segnano la vita, anche se non in modo così drammatico come è accaduto a lei, molti di noi hanno ceduto alla suggestione di personalità “carismatiche” che hanno condizionato il nostro modo di pensare e di vivere, giungendo fino al plagio e questo libro, nella sofferta denuncia dei metodi di una particolare “setta” ci invita a pensare colla nostra testa e a non affidare ad altri la nostra vita. “Sia lode al dubbio” direbbe Brecht, al di là del fascino che possono avere esotiche correnti filosofiche o pratiche assolute di antimedicina o un cristianesimo disincarnato che pratica il culto del dolore come sola via di perfezionamento.
Ma il libro è di piacevole lettura perché contiene molti motivi che rimandano alla ricca personalità dell’autrice. Osservazioni della natura fresche e coinvolgenti: il paesaggio, sia della collina torinese sia quello dei luoghi visitati dall’autrice è rappresentato con gusto pittorico e con una non comune sensibilità per le sfumature (le nebbie) o con forti espressioni (le rocce a picco). Appare in più punti il gusto per l’arte e per la musica di cui vengono colti aspetti non comuni. In un continuo flash back l’autrice presenta il passato, il Friuli dei suoi genitori, le difficoltà e l’educazione sessuofoba e discriminante delle ragazze di un tempo, che ha tristi conseguenze nel suo presente ed anche qui ci si può riconoscere, se non si è giovanissime…
Luisa non s’arrende: cerca la felicità perduta o mai veramente gustata, cerca la pienezza di vita, l’incontro gratificante coll’altro, col maschile soprattutto, e sa anche essere autoironica nel rappresentare questa sua spasmodica ricerca ed il rimpianto per ciò che non è avvenuto.
Lo stile è un joysiano flusso di coscienza: da un particolare del presente si ricade nel passato, nei ricordi familiari e non, superando le barriere di spazio e tempo. Ma la particolarità di questo stile è quella di usare un linguaggio non aulico ma attuale. Scabro, essenziale, specialmente nelle descrizioni di paesaggi rocciosi e aspri, stile che si ritrova anche in molte sue poesie e nei disegni e pitture degli anni della sua sofferenza. Il lessico è non solo curato, ma ricco nella ricerca del termine più appropriato, anche scientificamente, tale da rappresentare e far condividere al lettore le esperienze visive e psicologiche dell’autrice.
Andreina Cafasso
(da Newsletter Ecumenici, 26 dicembre 2007)