Lisistrata
Lidia Menapace. Oltre gli auguri: vi parlo del sistema elettorale
23 Dicembre 2007
 

Vorrei dire qualcosa sugli auguri, lasciando a più matura riflessione le ultime vicende in Senato, dove a furia di fiducia siamo arrivati ad approvare tutto a tempo, evitando l'esercizio provvisorio.

 

In ogni società organizzata una ricorrenza viene sempre dedicata agli auguri, una specie di rassicurazione sul futuro. Va bene, è giusto pensare al futuro e augurarsi di averlo. Non il futuro dell'universo, che non ha bisogno di noi, anzi noi rischiamo di accorciarglielo, ma per la nostra terra, per noi. Bisogna voler avere un futuro e questo può essere un buon patto per gli auguri. Oggi è più difficile, dato che siamo molto appiattiti su un presente fine a se stesso e alle sue miserie e quasi non ci ricordiamo più di avere un futuro, così come cancelliamo il passato. Ciò pesa soprattutto sulle giovani generazioni, che senza futuro e in mezzo alla noia non vivono e infatti si uccidono, uccidono, distruggono, vandali e bulli che sono, certo non tutti, ma solo i più deboli e sfiduciati. Intanto gli adulti soccombono sotto valanghe di (spesso stupidi) regali e di cartoncini di auguri: ne ricevo appunto valanghe da colleghi coi quali mi trovo di solito da dire quasi solo buongiorno, da funzionari che non so nemmeno chi siano, da capi di tutte le armi corpi specialità ecc. Non rispondo a nessuno e spero che capiscano.

 

Ma oggi, appena fatta la premessa sugli auguri, dei quali tuttavia ben più d'uno mi è graditissimo e rispondo, vorrei parlare del sistema elettorale, che oggi sembra a molti quasi solo l'unico futuro che possiamo avere. Mi pare triste non avere altre speranze, tuttavia vorrei dire sul sistema elettorale, senza che tutto il dibattito politico sia concentrato sull'unico tema nè per rispondere a chi ha lanciato l'ultima proposta. Non è bello giocare sempre e solo di rimessa. Premetto che non mi intendo della questione sotto il profilo tecnico e perciò ne parlo solo da un punto di vista politico.

 

Il sistema elettorale serve per sapere come è fatto politicamente il paese in cui vivi: deve perciò rappresentarlo il più precisamente possibile. Siccome non si può applicare la democrazia diretta, votando su ogni cosa tutti (nelle antiche città greche e nei cantoni svizzeri questo è stato possibile, anche perché votavano solo gli uomini liberi nati lì e quindi il numero, escludendo donne e schiavi o immigrati, non era alto), si è scelta da lungo tempo la rappresentanza, che è sempre approssimativa: la difficoltà è scegliere il sistema che rappresenta il più precisamente possibile. Sembra che assegnare i seggi in proporzione ai voti raccolti sia il sistema più immediatamente significativo, da questo punto di vista, ma poiché può dare e dà grande frammentazione della rappresentanza stessa, ha lo svantaggio di produrre risultati di difficile composizione e non garantisce un esercizio significativo del governo. Allora si prende in considerazione il maggioritario che assegna il seggio a chi ha vinto nel territorio considerato. È il sistema inglese, per il quale può succedere che chi vince non abbia la maggioianza dei voti complessivi. Si cercano composizioni tra i due sistemi di fondo: e qui siamo.

 

Tuttavia non si può scegliere astrattamente solo in base alle tecniche, se prima non si fa una analisi dei bacini di cultura politica, che si debbono rappresentare, altrimenti si decide in base a interessi e quasi predeterminando i risultati, ciò stravolge la democrazia. E si vota per conservare il proprio potere, per escludere alcuni (la conventio ad excludendum il Pci per decenni) ecc. Il termine “legge truffa” non per caso è stato coniato per una legge elettorale.

 

Detto in breve, a me pare che oggi in Italia è possibile vedere un enorme bacino di opinione moderata, vagamente di centro, ma separata da non indifferenti opzioni culturali ed etiche, e potremmo dire che dunque una rappresentanza corretta di tale bacino è che se lo contendano due partiti non antagonisti tra loro, ma rappresentativi di interessi non facilmente componibili, e che possono competere tra loro giocandosi i margini frastagliati dell'area di centrodestra e centrosinistra, avendo sempre la riserva possibile del governo istituzionale o della grande coalizione. Ma esiste anche una destra molto radicata e con propri apparati organizzativi e culturali. Esiste ancor più una sinistra derivata da storie molto lunghe e diverse, che però ha sempre conservato almeno una spinta all'unità e che oggi sta cercando di costituirla.

Tutte queste opzioni possono essere lette come bipartitismo o quadripartitismo; come bipolarismo o multipolarismo. E di conseguenza offrono una opzione verso sistemi volti a semplificare o “ridurre la complessità” secondo la ricetta luhmanniana) oppure lasciare che i risultati abbiano carattere di polarità, (bipolarismo o mutipolarismo) cioè costituiscano alleanze o coalizioni abbastanza omogenee, ma non coatte. A me pare che questa seconda ipotesi dei poli sia più rispettosa della realtà senza violentarla, sia perciò di gran lunga la più democratica. Può passare attraverso tecnicalità anche sofisticate, ma prima di tutto ha un segno politico chiaro, che non soggiace a tecniche manipolatorie.

 

L'ho detto, auguri caldi forti futuribili a tutte e tutti

 

Lidia Menapace


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