Pochi sono attualmente i poeti svizzero-italiani conosciuti e apprezzati in Italia. Non sfugge alla regola Angelo Casè (Locarno1936-2005), nonostante egli abbia goduto, per un certo periodo, della stima e degli incoraggiamenti di Sereni e Raboni: nomi importanti, come si vede. Grazie a quei contatti era riuscito a pubblicare la raccolta I compagni del cribbio (1965) proprio dalla prestigiosa Mondadori. Nei versi Casè ci parla del proprio mondo contadino, il Locarnese, di «una realtà e una storia», come scriveva Raboni, «fatte di movimenti antichissimi, di ripetizioni, di gesti alari intensi, veri e al tempo stesso astratti come proverbi». Sul piano stilistico, si è richiamato al suo riguardo l’influsso di Pavese, soprattutto per l’uso del verso lungo.
Il recente volume Taedium Vitae (Lugano, Casagrande 2005) – curato e presentato a Locarno dal sottoscritto – costituisce l’opera testamentaria di Casè. Un’opera vasta, che mette a fuoco un periodo difficile della vita dell’autore, culminato nella grave malattia che lo porterà alla morte. Il titolo accenna a una tematica familiare ai lettori di Casè: il fastidio della vita, l’accentuato pessimismo. L’esperienza del dolore trova qui accenti più aspri che in precedenza, solo in parti leniti dal sentimento della pietas e dagli ultimi bagliori di vitalismo. Sul piano formale Casè conferma una grande sensibilità verso il linguaggio e le sue infinite risorse espressive.
Scelgo, da quest’opera, un componimento esemplare.
Gilberto Isella
Dei defunti l’ombra
Ci sfugge la vita che a lungo ci trattenne sul culmine
solivo della piazza – poco in là, uno stormire
di foglie tempestoso, un litigio nasce d’uccelli: amica
l’eco d’uno sparo ne disperde l’ira. Così dei defunti
l’ombra commossi crediamo di seguire nel transito
finale, l’arresto impensato tra spade d’ireos, taciti
aneliti d’infanzia tra noi e loro duellanti fino a sera.