Fabiano Alborghetti trova Raimondo Iemma Cercando l'oro 14 | | 01 Dicembre 2007
Eccoci nuovamente, Cercando l’oro prosegue. Lasciando il Nord-Est di Simone Lago ci spostiamo all’opposto – ma restando bene o male in asse – verso il Piemonte, Torino per la precisione, città di Raimondo Iemma.
Raimondo Iemma vive a Torino, dov’è nato nel 1982. È uno dei sette poeti under 35 dell’antologia La riqualificazione urbana e altre poesie, Coen Tanugi Editore 2005, curata da Valentino Ronchi. È uno dei poeti inclusi nella pubblicazione a cura di Subway Letteratura Le vene del mondo, mini-antologia che avviene grazie ad un concorso la cui giuria è presieduta da Davide Rondoni, Milo De Angelis e Daniele Piccini che sfocia –come detto– in un librino in libera distribuzione nelle metropolitane di Milano, Roma e Napoli per la modica tiratura di 3 milioni di copie!!!
Tra i riconoscimenti ricevuti annotiamo la segnalazione del Presidente all’edizione 2005 del premio “Città di Corciano”. Il “Sandro Penna” per l’inedito, XVII edizione, in virtù del quale pubblicherà la silloge Ultime questioni aperte nel 2006 (con una introduzione di Elio Pecora, edito per le Edizioni della Meridiana). Ancora nel 2006 è nella cinquina dei vincitori del premio “Lago Verde”. Nel 2007 è vincitore assoluto del Premio “Fabrizio De André” (qui un riferimento stampa in file pdf, ndr) con l’inclusione nel volume Parlare musica. Premio Fabrizio De André 2007 (AA.VV. – Edizioni Pigreco, Roma) e mi fermerei qui, anche se i premi vinti o le segnalazioni – a dire il vero – sarebbero qualche decina. Nota aggiuntiva: più volte è stato pubblicato da Maurizio Cucchi nella rubrica che ha in cura su Specchio de La Stampa e su TTL e sulla rivista Le Voci Della Luna (Sasso Marconi). È inoltre collaboratore della rinata rivista La Gru di cui ci siamo occupati in più riprese nelle passate edizioni.
Parlare della poesia di Raimondo Iemma. Apparentemente è cosa semplice: gli equilibri sono bilanciati, il verso è piano. Inoltrandosi nella lettura ci accorgiamo però di quanto questi equilibri siano quasi una cura alla pena, cura che avviene in bilico tra versificazione puramente da osservatore e ironia. È una scrittura sfaccettata, che –ovviamente– nulla lascia al caso. Iemma è capace di più piani di profondità, supera l’apparente esposizione piana: non di rado infatti avviene un tentativo di dire l’indicibile (come ben dice Elio Pecora nella nota a Ultime questioni aperte) tramite una elencazione di luoghi, mestieri, cose, fatti che agiscono come un assortimento (o una antologia) di indizi più che una dichiarazione. Il corpo della narrazione poetica di Iemma è totalmente recuperabile proprio nella sua prima pubblicazione (ottimamente curata devo dire), che si deriva dall’avere vinto il premio Sandro Penna ma che in parallelo è la sintesi del percorso sino ad ora intrapreso.
A tratti ritroviamo poi quella che parrebbe palesarsi come una sottile crudeltà e che era ben più evidente nei passanti inediti ma che nell’edito ancora persiste, riaffaccia come un monito: ancora, ripeto, è osservazione schietta, dirittissima. Non sono in uso gli “occhi concettuali”, il logorio della parola sperimentale bensì l’immersione in un gioco di rifrazioni, Tutto è chiuso in recinti e tutto ne sfugge e quella dolorosa grazia che è l’accadimento minuto viene esposto, nudo. Ed è qui che si gioca la partita vera: i due piani, l’indizio e la specifica, la sottrazione e l’esposizione avvengono contemporaneamente cosi come singolarmente, coesistono indipendentemente l’uno dall’altra arrivando alla totalità, alla chiarezza, a “quel mare di trasparenza sconfinata” di dantesca memoria.
Fabiano Alborgetti
Senza titolo (da Le vene del mondo – Subway, 2007) Confluendo nell’atrio dei residui –
come al centro dell’organo vitale
è il passaggio cellulare, la dogana
d’ogni flusso – il pomeriggio è dentro. E denso di messaggi, informazioni
nel codice dell’uomo:
parole parlanti colori accesi
punte di freccia cardinalità. Così eravamo presenti quando
è stato corretto a pennarello
l’orario di visita, l’indicazione
(non si capiva quale fosse
la porta da imboccare). Abbiamo
visto la mano sul muro, sentito
lo sbuffo dell’infermiere. Io voglio dire tutto declinando.
Essere più grande, essere
nel mezzo. Stare durante. Oppure lontano, in un luogo che dimentico. L’annuncio Un uomo pazzo non può lavorare per questo non esiste nella storia. 23 maggio: raccontare un colloquio di lavoro è impossibile: non è del mondo quella frazione cieca di parole quel pericolante vuoto sociale. Non era questo infatti esattamente ciò che intendevo dire. Tra una domanda e la risposta è trascorsa l’eternità dei secoli. Il luogo dell’incontro – fissato con cura in precedenza – si è rivelato fittizio, un pretesto dell’antimateria. Il primo compito del nuovo commesso della libreria è di togliere l’annuncio dalla vetrina. Cena al ristorante indiano Come brilla forte la gente, oscilla come vuole girare il vento sulla strada un attimo – si fa un passo e da quella vetrina all’altra è un angolo da fare. Carlo all’indiano stende il suo manuale io il mio basso istinto ed è una buona ordinazione da riempirci i piatti e la bocca. Chissà i gatti di fuori dove s’infilano, le case alte quale raduno intorno alla tovaglia. Con i bicchieri pieni c’incastriamo giusti allo schienale – siamo una forma come diventa Carlo un bell’albero secolare che s’impiglia le braccia ai rami il cameriere quando sfila – una vegetazione all’istante s’insinua su per le pareti, risaputa sale. Di quella cena conservo ancora il conto. Il giorno che i miei si separarono Il giorno che i miei si separarono a dire il vero fu una finta infatti rimasero seduti sul divano un divano giallo un poco scomodo. Fu così che imparai la distinzione semplice esistente fra i luoghi della mente e lo spazio fisico dei corpi: con mia madre che guardava i titoli del regionale in silenzio e mio padre il muro appena intonacato. Avevo ventidue anni sulla dolcevita stirata e la rubrica quasi vuota. Il giorno che i miei si separarono comunque non dovetti preoccuparmi di andare a comprare il giornale perché da qualche anno eravamo abbonati. Una specie di domenica (da La riqualificazione urbana e altre poesie - Coen Tanugi Editore, 2005) Guardavano tutti il cielo: il cielo che non serve a niente alle tegole rotte. Ognuno aveva il suo dentro il vaso di fiori e un elenco nero di rinunce alti silenzi la sera inutili. C’era quel pezzo di Battisti molto bello, futurista: mi dicevo avrei bisogno di un’attesa di altro tipo domani – qualcuno che mi consegni un foglio con la lista della spesa. Una specie di domenica che tracci il confine del morbido e protegga i fianchi dagli urti, ibrido di carne e minuti: un maglione indietro sempre all’altezza del gomito, un vinile fermo per le note chiuse, un rendez-vous urgente di vetro inderogabile rinviato all’eterno con le scuse. Vivalitalia Insieme sono molto bene come va? Mi vuoi stringere in catene ancora un po’? Vorrei un verbo da dire all’infinito di non so : un vento dritto per la valle che ululi la nota d’imprevisto. Oppure: ho indovinato in anteprima: il romanaccio non fa più ridere ahò ma li mortacci! tutti in piazza: sono a dire il vero molto sospetto, un bambolotto di Natale in ghiaccio accanto a un fuoco ferragosto a Ostia. Aspetto. Qualcuno poi mi canta una canzone? Un genere ballabile: ragazze che trovan l’amore d’estate in città l’anno duemilacinque dopo Cristo: sole a picco e niente voja de studia’. Ho della frutta bacata nel cesto mangiamo il lato buono, che mi annoio? Ho un albero con la vela bucata: partiamo con il turbo per la terra? Ahi come sono triste, triste come una mela. Attenzione Tempo fa ho annunciato di volere un cappotto avevo anche preso le misure ma poi, chissà perché, non se n’è fatto più niente. E una cometa è sempre una cometa e un discorso sempre un discorso con un suono suo che rimane all’aria e nessuno saprà dire l’altro verso. Un concerto di parole alle pareti della stanza, poi il silenzio che fa l’eco: cambia l’ambiente e la postura mentre uno s’immagina la vita tra le mura di una casa o l’altra del quartiere certe sere di settembre ad arrivare. Ma un’assenza si ricama sulle porte fa la macchia trasparente dei ricordi e una pila di giornali è sempre quella seduta in piedi nel suo angolo morto. Intendo dire: facciamo attenzione. Sono diventato comunista perché mio padre ha fallito la mia educazione. Lautunno La via che collega la stazione a piazza B. e più avanti all’autostrada per il mare è stata percorsa per intero a passo d’uomo. Un incidente all’Unità d’Italia: coprono i feriti a terra per il freddo. Sono morti? – mi chiedi. Li lasciamo così, distesi sul selciato. No – dico io – li ho visti muovere la testa. Ma penso: si può morire anche oggi se il riscaldamento s’inceppa, se la strada fa una curva brusca. Si può morire anche l’autunno senza fiato nei polmoni pizzicati nella lana dei maglioni a un passo dall’ingorgo della luce. Proseguiamo e all’incrocio il traffico riprende. Novembre le vendite di gelati in città calavano vertiginosamente.
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