Cosa resterà di noi, di questo tempo che arde e si consuma come un fuoco di paglia?
Cenere. Montagne stratosferiche di cenere che ci toglieranno la luce del sole. E quando la cellulosa sarà stata tutta utilizzata per fabbricare carta convertita in libri destinati fin da prima della nascita al macero, cosa resterà se non l’odore di bruciato e la vaga memoria dei tempi in cui ogni foglio di carta racchiudeva una goccia d’inchiostro tramutata in conoscenza?
Che ci è preso a tutti quanti, si può sapere? Perché stiamo divorando tanta carta, perché non ci stiamo dormendo la notte per l’affanno di dover a tutti i costi tirare fuori ogni giorno almeno un verso, una minima riflessione, l’incipit di un racconto da spalmare subito su carta prima che l’idea si dilegui, senza peraltro darle il tempo di formarsi, chiarirsi, consolidarsi, forgiarsi al fuoco della passione che da solo si alimenta. Perché siamo tutti presi in questa battaglia del dire, chi scrive e chi pubblica, in un mercato che solo sa di mercato, fra sfruttatori e sfruttati che si trattano in guanti bianchi nell’illusione di fare ognuno il proprio affare, chi pagando chi riscuotendo, chi tirando le sue trecento copie pagate profumatamente in partenza dallo scrittore-poeta-illuso, chi regalando i suoi libri mai messi in distribuzione da incredibili editori e reali gatto-volpe della carta stampata che se le inventano tutte per restare a galla in un’acqua tumultuosa.
A volte può anche accadere che un nome della grande editoria, magari in crisi, possa inventarsi una formula come questa: mettere il suo nome e il suo marchio a disposizione per fare da specchietto per le allodole, gli autori “prescelti” si vedono arrivare a casa l’invito personalizzato per aderire alla realizzazione di un’antologia poetica che non arriverà mai in libreria, ma che farà la felicità di anime sensibili in cerca della comunicazione profonda. Non vi dico se anch'io sono entrata in questa favola senza lieto fine.
E il poeta, vistosi pubblicato dal prestigioso editore, conserverà ancora a lungo l'illusione di essere stato individuato fra le innumerevoli voci della poesia contemporanea in quanto rappresentativo di un valore che va continuamente riaffermato. Salvo poi fare il botto quando – a consegna dei libri avvenuta – si renderà conto che tutto l’apporto del prestigioso marchio consiste in realtà in un “coordinamento” nella realizzazione del volume, e ciò scritto all’ultima pagina in una mezza riga in caratteri appena leggibili.
C’è da interrogarsi sul senso di tutto ciò e prima di tutti dovrebbero farlo gli autori, quelli che alimentano un mercato che non conosce e non rispetta regole. INTERROGATIVI DI CERTO ANCHE INTERROCATTIVI!
Forse si dovrebbe fare come le sagge mucche, che ruminano e ruminano per trasformare l’erba in latte, rilasciando alla terra ottimo concime che a sua volta riproduce erba.
Forse, il poeta illuso, dovrebbe decidersi alla fame della parola scritta e stampata, per non alimentare il mercato degli editori stampa e fuggi e dei sognatori impenitenti delusi.
Maria Lanciotti