Antefatto: lo scorso anno, in occasione delle celebrazioni dei cinquecento anni della morte di Andrea Mantegna, (Isola di Carturo (PD) 1433 - Mantova, 1506) portai a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta la mostra Il Cristo del Mantegna e oltre, realizzata insieme a Carlo Fabre. La mostra è un “viaggio” narrato in 19 fotografie, ispirato al Cristo morto e tre dolenti del Mantegna, custodito presso la Pinacoteca di Brera a Milano. Rinvio, in proposito, alla lettura di due articoli comparsi su TellusFolio: “Il Cristo del Mantegna e oltre”, “Viaggio nel Cristo morto del Mantegna” e al mio testo “Tre viaggi per Mantegna” In Tellus 27, Dalla Torre Pendente alle Alpi, 2006, Labos Editrice.
Dunque, nel corso della mostra, che rimase aperta tutta l’estate, uno “spettatore appassionato di arte devozionale”, come si definì, mi telefonò per esprimermi i suoi complimenti. Poi, dicendo che era cremonese, mi chiese se conoscevo il Compianto presente nella Cattedrale di Cremona. Confessai la mia ignoranza, e appena mi fu possibile andai alla scoperta dell’opera. Si trattava dell’affresco di Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone (Pordenone, 1484 - Ferrara, 1539), presente nella controfacciata della meravigliosa fabbrica, raffigurante appunto il Compianto sul Cristo morto: una elaborazione di straordinaria abilità prospettica, poco più tarda del lavoro del Mantegna, e ad essa presumibilmente ispirata. L’affresco del Pordenone mostra una innovazione - propria del Rinascimento - nel rappresentare la figura umana senza simbolismi. L’artista si è concentrato sul modo specifico di narrare il trauma sia fisico che emotivo senza idealismi, esaltando il pathos della tragedia avvalendosi proprio della coraggiosa prospettiva.
A proposito del Pordenone, Vasari nel suo celebre trattato Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, lo definì «il più raro e celebre [...] nell’invenzione delle storie, nel disegno, nella bravura, nella pratica de’ colori, nel lavoro a fresco, nella velocità, nel rilievo grande et in ogni altra cosa delle nostre arti».
A dire la verità conoscevo molto poco questo artista mio conterraneo. Per inciso, io sono nata a Sacile nella provincia di Pordenone, appena qualche secolo più tardi…
Ebbene, quest’anno che ricorrono i 900 anni dalla fondazione del Duomo cremonese, ho saputo che la Fondazione Città di Cremona intendeva celebrare tale ricorrenza, e sottolineare il rapporto tra l’istituzione solidaristica e il territorio, evidenziando il legame tra la comunità cremonese e i valori che nella Cattedrale hanno trovato nei secoli compiuta e splendida espressione. Mi è parsa una straordinaria occasione per proporre la mostra Il Cristo del Mantegna e oltre che, infatti, dal prossimo martedì 20 novembre farà parte dell’esposizione Domus Dei, Templum Vitae: 900 anni di storia e di fede dal “Cristo morto” di Andrea Mantegna alla contemporaneità. L’esposizione è a cura di Tiziana Cordani, e si terrà fino al 22 dicembre presso la Fondazione Città di Cremona.
«Come sottolineare» spiega la curatrice «la contiguità spirituale tra i Maestri del passato, sia esso quello remoto di 900 anni fa, quando si diede inizio ai lavori per l’erigenda Cattedrale, sia quello più vicino, anche se risalente a più di 400 anni fa, e il tempo dell’oggi? In questa ricerca, un grande ausilio mi è venuto da un intenso lavoro di elaborazione che, fissato in immagini di grande pathos, è stato eseguito nel 1985 dal fotografo Carlo Fabre e dall’artista performativa e multimediale Alessandra Borsetti Venier, i quali hanno rivolto la loro attenzione a una delle più straordinarie opere d’arte di ogni tempo: il celeberrimo Cristo morto di Andrea Mantenga. I due autori hanno “visitato” il quadro, impadronendosi dello spazio interno all’opera, ma soprattutto ricreando e rivivendo, in forma di performance teatrale (chi non rammenta le sacre rappresentazioni, al proposito?), con la spiritualità propria alla contemporaneità, l’eternità del dramma della morte del Cristo, una morte che il Mantenga addita con estrema forza e semplicità come “la morte” tout court, sottolineando la familiarità, la domesticità intima di quel piangere della madre sul figlio perduto. Mantenga ha, dunque, portato la morte del Figlio di Dio a identificarsi con la morte di ogni uomo, Borsetti & Fabre l’hanno condotta ad essere un momento del nostro quotidiano…».
Naturalmente non potevo che approfondire la conoscenza del Pordenone, artista per certi versi sfortunato. Infatti, a Venezia nel 1528 perse contro Tiziano il concorso indetto per la realizzazione della Pala di San Pietro martire, per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. Per anni il confronto e la competizione tra il Pordenone e Tiziano animarono la scena artistica veneziana, concludendosi però con l’emarginazione del nostro e, dopo la morte, con il silenzio sulla sua opera da parte di molti storici, soprattutto quelli veneti. La sua formazione, secondo il Vasari, avvenne sotto l’influsso del Giorgione e, agli inizi, fu influenzato oltre che dall’esempio di Andrea Mantegna, probabilmente anche dalla conoscenza delle incisioni del Dürer e di altri artisti nordici. Fu a contatto anche con l’opera di Raffaello e Michelangelo, ma soprattutto fu attivo in diversi paesi della sua regione di origine, il Veneto. Ma fu proprio a Cremona che, intorno al 1521, il Pordenone firmò il suo capolavoro, composto da cinque grandiosi affreschi. I primi occupano altrettante campate, Cristo davanti a Pilato, la Salita al Calvario, Cristo inchiodato alla croce, e il Compianto. L’ultimo, nella controfacciata, è la gigantesca Crocifissione: un capolavoro moderno di eccezionale impatto drammatico dove l’artista sviluppò una nuova forma di narrazione, insieme solenne e discorsiva, caratterizzata da virtuosistici scorci prospettici.
Recentemente, durante i lavori per la messa in sicurezza della Cattedrale, per caso è avvenuto un ritrovamento di grande importanza: è stato scoperto all’interno di un armadio della sacrestia un cartone su tela dipinto dal Pordenone all’inizio del 1500. L’opera, che serviva alla preparazione di un altro affresco per la Cattedrale, raffigura la Deposizione del Cristo. Il cartone, alto 4 metri e largo 2,45, era collocato nell’armadio con la superficie dipinta rivolta verso l’interno, probabilmente per evitare che si rovinasse. Si trovava in quel luogo dal 1787, anno in cui subì l’ultimo restauro come certifica la scritta apposta sul retro. Il Pordenone non eseguì mai l’affresco, completando la trilogia di Gesù, che avrebbe dovuto decorare la controfacciata del Duomo. Si pensa che, dopo l’invasione di Cremona da parte dei francesi, il Pordenone abbia lavorato in altre città vicine e che per questo non abbia eseguito l’opera. Per fortuna il cartone non venne distrutto, come era d’uso a quell’epoca, proprio perché l’affresco non era stato realizzato.
La mostra Domus Dei, Templum Vitae. 900 anni di storia e di fede dal “Cristo morto” di Andrea Mantegna alla contemporaneità è articolata in due sezioni:
- La prima, raccoglie le opere di 11 artisti: i pittori Roberto Bedani, Graziano Bertoldi, Angelo Bertolini, Giuseppe Castellani, Giordano Garuti, Giorgio Mori, Sergio Tarquinio; gli scultori Graziano Carotti, Mario Coppetti, Vanni Roverselli, Giovanni Solci.
- La seconda, ospita la mostra fotografica di Borsetti & Fabre Il Cristo del Mantegna e oltre. Catalogo Morgana Edizioni, www.morganaedizioni.it
Info: Fondazione Città di Cremona, piazza Giovanni XXXIII, 1 - Tel. 0372 421011 - mail: segreteria@fondazionecr.it
Orari: dal lunedì al venerdì 9-12:30 e15-19, sabato e festivi 17-19, chiusura speciale 8 e 9 dicembre.
Mostra e catalogo generale sono a cura di Tiziana Cordani.
L’esposizione si avvarrà di due visite guidate nei giorni festivi ad opera della curatrice.
Alessandra Borsetti Venier