Diario di bordo
Valter Vecellio. Quattro “favolette” di La Fontaine 
Ogni riferimento a persona e vicenda di queste ore è voluto
09 Novembre 2007
 

L’editoriale di oggi è composto da quattro “favolette” di Jean de La Fontaine, la cui aria svagata non deve tuttavia ingannare. Joubert ne parla come del «nostro vero Omero, l’Omero dei francesi». Quattro “favolette” che, anche grazie alla traduzione di Emilio De Marchi (e magari accompagnate dalle illustrazioni di Gustavo Doré), sono intrise di arguzia scherzosa, che tuttavia non impedisce fulminanti quartine come: «Se lo guardi in ogni lato / questo nostro viver corto / è la storia del curato / che fa i conti sopra il morto».

Ogni riferimento a persona e vicenda di queste ore che con queste “favolette” si può cogliere, sia chiaro, è voluto.

 

La Rana e il Bove

 

Grande non più d’un ovo di gallina

vedendo il Bove e vello e grasso e grosso,

una Rana si gonfia a più non posso

per non esser del Bove più piccina.

Guardami adesso”, esclama in aria tronfia:

Son ben grossa?”. “Non basta, o vecchia amica”.

E la Rana si gonfia e gonfia e gonfia

Infin che scoppia come una vescica.

Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto,

signori ambiziosi e senza testa,

o gente a cui ripugna stare a posto,

quante sono le rane come questa!

 

 

La Montagna che partorisce

 

Una Montagna presso a partorire

di tali strida l’aria riempiva

che la gente, che udiva da lontano,

diceva: “Il fantolino

una città sarà come Milano”.

E nacque in quella vece un topolino.

Pensando a questa favola

così falsa di fuori e vera in fondo,

mi raffiguro certi poetonzoli

che promettono cantare il finimondo

e Giove e il tuono e i fulmini e i Titani.

E d’una cosa sì straordinaria

non ti resta allo stringer delle mani…

che cosa? Un poco d’aria.

 

 

L’Asino vestito della pelle del Leone

 

Un Asino, sebben asino tondo,

vestito della pelle del Leone,

il terror divenuto era del mondo.

Ma gli sbucò un orecchio e bastò questo

Per svergognar quell’animal poltrone;

mastro bastone poi faceva il resto.

Vedendo che Martino,

il mugnaio, menava al suo molino

i leoni, stupì naturalmente

per via tutta la gente.

C’è in Francia e c’è in Italia dei messeri,

che tornan questo apologo di moda.

Lusso e sfoggio e di servi una gran coda

Tengon luogo dei meriti sinceri.

 

 

La carrozza e la Mosca

 

Per una strada lunga, era, sassosa

e tortuosa, esposta a pieno sole,

sei robusti cavalli ivano a stento,

tirando una Carrozza. La pietosa

gente era scesa, vecchi, donne e frati:

e i cavalli sudati

e trafelati

eran lì lì per credere,

quando arrivò una Mosca, che volando,

punzecchiando, e di qua, di là ronzando,

pensa che tocchi a lei spinger la macchina.

Posa al timone, sulla punta siede

dal naso al carrozzier e, quando vede

che la macchina o bene o mal cammina,

si ringalluzzì tutta la sciocchina.

Va e viene e si riscalda colla boria

d’un capitan di vaglia,

allor che muove in mezzo a una battaglia

i dispersi soldati alla vittoria.

E non vi pare indegno”

pensava quella stolta bestiola,

che a spingere sia sola,

mentre legge il fra taccio in pace santa

il breviario e questa donna canta?

Forse che col cantar si tira il legno?”.

Intanto che l’insetto ronza queste

note moleste, il legno arrivò su.

E la Mosca: “Buon Dio, ci siamo alfine

Su queste alte colline.

Ehi, signori cavalli, ringraziatemi,

la strada ora va in piano,

non vi rincresca a far la buonamano”.

Così fanno quei certi faccendoni,

che nelle imprese sembran necessari,

e guastan gli affari – in ogni cosa,

gente importuna, inutile e noiosa.

 

Valter Vecellio

(da Notizie radicali, 8 novembre 2007)


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