Marco Furia: L'onirico canto di Silvia Comoglio. Otto poesie inedite. | | | Silvia Comoglio |
29 Ottobre 2007
Con grande piacere, presento ai lettori-navigatori le calibrate scansioni poetiche di Silvia Comoglio, autrice dell’articolata raccolta Ervinca (LietoColle, 2005), nonché di pregevoli inediti.
Si tratta di un’attenta versificazione, tale da coniugare ben controllate cadenze e spontanee offerte integre, disponibili, rese sulla pagina con l’intensità propria della poesia migliore, quella che non si abbandona a impulsi emergenti, ma nemmeno li tradisce.
In siffatto àmbito si svolgono le affascinanti opzioni di una poetessa capace di proporre, vigile, mondi onirici e fiabeschi, vividi e magmatici, la cui consistenza, per nulla labile, trae indubbiamente origine da tenace fiducia, da (conscio) credito concesso al peculiare mezzo espressivo.
Un gesto poetico, insomma, che richiama vivifici enigmi senza risultarne vittima, padroneggiando una materia non facile, nella consapevolezza di quanto sia necessario (e arduo) affinare uno specifico idioma per offrire, nitide, sensazioni e immagini interiori che la normale etichetta linguistica riesce a indicare soltanto in maniera superficiale.
Suggestivi versi, davvero.
Marco Furia
ONIRICO CANTO I
fu acqua - in vólo rovesciata
l’álbero che crebbe enorme come arco,
da un polo - estremo - all’altro ---
---
“óra sono io, l’álbero del cardo,
quésto solo bacio
sénza - mia coscienza, che cresce
crésce - e ancora abbonda
déntro - il suo silenzio,
“l’álbero che tace
soffiandosi di tempo, e debordando
sémpre - in questo tempo
[ ]
ONIRICO CANTO III
fu vásto términe di voce
il réfolo che tuona
déntro - la sua eco ---
---
come dire - che tutto
è già vicino, in ómbra solo fatta
a dónna - sulla porta? come dire:
sono corvi! - le nótti
senza sogno, óffe - dove fosti
quésta sola alba, il fúmmo
del témpo - di una stanza —
come dire: non il sogno
ma la luna è lábile nel canto,
la lúna - che è tónda,
e tónda e tónda
ONIRICO CANTO IV
vegliarvi —
è farvi ancora un giorno
- nel nulla - sémpre
sempre amato ---
---
enórme - è questo
solo tempo - di álbero più alto —
quésto solo lungo - sórgere del fuoco
da órchi - e nómi - e córsi
condivisi
enórme
l’ángelo dell’alba,
la líte - dell’ómbra che già disfa
máschere e terrazze, térre solo erette
nel lámpo di caduta
In do maggiore XX.I
L’élmo - è quésto solo elmo
al buio - già sognato. Quésto
strídulo ridire il niénte che risveglia
foláte sempre scosse - da últimi segreti,
in cui chiedi e mi richiedo
se già è narrata quésta sola ferma
érba sulla terra, e la pianta
tutta già discussa, e il témpo,
quel témpo del non-dire, che divenne
nuovo e - mirabondo!
in nótti - già turchine…
...
Canto
ébbro fu cercare
ó-ttimi consigli
tútto fu allora - differente,
il péso - e il tuo dormire, e quánto qui già tarla
il bordo della carta. fu rónda
dal témpo contenuta
in fiévole tua eco, il vágo
sogno a risalire
págine di sghembi - fásci -
della luce: → l’álbero di sera
appena accantucciato déntro la montagna,
nel fondo - duro - della pietra
---
Piccola fiaba in do minore
…l’ángelo disperso è saldo,
sáldo - sopra al mare…
amare voi, mio píccolo signore,
è un rívolo di voci a néve trascinato —
è scégliersi di sera un’altra sola storia
álta - sulla luna, per éssere del grido
l’último sorriso: núda - térra -
a meraviglia —
__________
Re diesis VII. 9
“il mio sempre - sapete -
è ombra di soggetto, básso
sogno basso in cui solo
io cospiro, scendéndomi stanotte
a lénto - amore aperto,
guádo - perfétto - di respiro
---
INFINITO TEMPO
Verrebbe ancóra, per sémpre silenzioso,
sotterráto - sémpre - nella luna, sémpre solo a dirci
come il bósco - appénda sulla terra
crépide di soffio
[ ]
Silvia Comoglio
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